Tommy Malekoff è un giovane videoartista statunitense, nato nel 1992 e attualmente residente a New York. Abbiamo scelto di parlare di lui per il genere di problematiche che affronta nel suo lavoro. In particolare, si occupa, infatti, dei conflitti e delle incongruenze, delle ambiguità, delle contraddizioni insite nel rapporto fra ambiente, sua difesa/tutela, il genere umano, lo sfruttamento turistico dei luoghi, la progettazione urbana.
Nella fattispecie avanziamo alcune riflessioni a proposito di tre dei suoi lavori più noti: “Forever and forever” (2022), “Desire lines” (2019) e “Perennial shadows” (2017), esposti nella maggioranza dei casi fuori dall’Italia (sue personali nel nostro Paese hanno trovato spazio da Galleria Zero a Milano, “The geography of nowhere”, “Night sun”).
La più “antica” delle tre, “Perennial shadows” si incentra sull’espansione fuori controllo di una pianta invasiva, la kudzu, una vite rampicante proveniente dal Giappone, inizialmente usata per scopi ornamentali e come al solito sfuggita al controllo umano, come molte altre sue simili (dalla fitolacca, alle robinie-acacie, agli ailanti) e al contempo per prevenire fenomeni di erosione.
Le riprese sono state effettuate con telecamera fissa, così da creare una sorta di fotografia in movimento. Il contrasto fra intenzioni, destinazione d’uso della pianta e la sua “invasività” sgradita, la perdita di controllo su questa specie intorduce il modo di lavorare di Tommy Malekoff.
Nel secondo lavoro qui considerato “Desire lines” (vedi i tre frame dell’immagine sopra), i protagonisti della video installazione sono i parcheggi americani, incontrati dal suo autore durante un viaggio di esplorazione del territorio statunitense durato circa due anni. In questo caso, l’artista visivo ha lavorato sul concetto di “non luogo” di Marc Augé in una sua personale reinterpretazione degli spazi definiti come appunto “non luoghi”, quali appunto i parcheggi.
Malekoff, infatti, mette in luce le potenzialità di questi spazi anonimi, utilizzati in alcuni casi in modo inaspettatamente “creativo” dalle persone. Nel video compaiono azioni sorprendenti di artisti di strada, passanti, punti di ritrovo e di aggregazione sociale a sorpresa, tutti ambientati negli spazi enormi destinati alle auto parcheggiate.
Spazi spersonalizzati si trasformano magicamente in palcoscenici improvvisati e inattesi. Resta in ogni caso il problema dell’espansione urbana fuori controllo, con il relativo consumo del suolo, della cementificazione e della copertura con asfalto di ettari ed ettari di prati che nessun video e nessuna operazione artistica può cancellare.
In questo caso, anzi, la videoinstallazione cerca in qualche modo di trovare un “appiglio” che alleggerisca i sensi di colpa legati allo spreco di risorse naturali effettuati nella società contemporanea.
RIvestire la terra di asfalto non è una necessità, è solo una conseguenza di operazioni finanziarie e della volontà di trarre profitto da attività ad alto impatto ambientale, in modo stupido e irresponsabile da parte di tutti coloro che fanno fatica ad accettare una limitazione alle proprie “comodità” (di spostamento, di rifornimento, di svago).
Sempre legata a questo lavoro, Tommy Malekoff costruisce installazioni-plastici architettonici di case americane, illuminate dall’interno (Roadsite).
“Forever and forever” è, infine, una videoinstallazione multicanale site specific, allestita nel Rockfeller CEnter di New York., in uno spazio che in origine era un deposito. I visitatori dopo aver attraversato un atrio locale Art Deco devono scendere in un seminterrato. I video sono sei e le immagini scorrono in loop.
Le riprese sono state effettuate nella zona degli Everglades, nella Florida meridionale, in una zona umida subtropicale, con terreni paludosi abitati da alligatori e da lemantini – grossi mammiferi acquatici – ma dei quali la metà circa è stata invasa da coltivazioni che hanno distrutto l’ecosistema originale di una zona rimasta per secolo “impenetrabile” grazie alla sua particolare configurazione e vegetazione.
Non a caso, in questo lavoro di Malekoff emerge il conflitto fra coesistenza e resistenza della natura rispetto alla presenza umana sotto forma di aziende agricole e di presenze turistiche. Alligatori, lamantini inoltre convivono in un territorio dove trovano spazio anche centrali termiche inquinanti, funzionanti a carbone.
Immagini particolarmente drammatiche e laceranti sono quelle dove i lamantini – inconsapevoli e disarmati nella loro innocenza – si radunano al caldo di un impianto di carbone che oltre a “scaldarli”, ovviamente, li intossica. La centrale termica a carbone crea un “microclima” artificiale che diventa un punto di attrazione per i lamantini infreddoliti che si raggruppano e sostano proprio all’uscita delle acque di riflusso, contenenti sostanze nocive.
A ciò si aggiunge la presenza di turisti che restano attoniti dalla presenza di queste creature raccolti in gruppi di una certa densità. Queste immagini si affiancano a quelle di enormi incendi, parte del processo di raccolta della canna da zucchero.
Roghi apocalittici sollevano grandi quantità di ceneri e costringono gli uccelli a scappare (o a morire arrostiti), creano immagini di grandissimo impatto estetico tanto da essere di sicuro richiamo per essere osservati a diversi chilometri di distanza da turisti, affascinati dal paesaggio infernale.
L’inconciliabilità fra gli interessi della società industrializzata, quelli della protezione degli animali e dell’ambiente, soprattutto di una società basata su un’economia capitalista molto aggressiva e competitiva come quella degli USA, attraverso questi lavori risulta in tutta la sua evidenza.
Sarebbe importante sapere se e quanto sia possibile trovare un dialogo possibile fra i due mondi, posto che la maggior parte degli umani sembra molto poco disposta a farlo. Le contraddizioni e i conflitti messi in luce acquistano ancora più forza, data la situazione attuale e, al contempo, rischiano di rimanere un prodotto estetico da guardare solo per fare un po’ di green-washing.