Magari qualcuno si sarà domandato perché abbia scelto il titolo “Nidi, nodi. Fluidi” per il mio progetto di drammaturgia montana partecipata in Valsesia, a cura di Gabi Scardi. La prima parola evoca un luogo “protetto”, accogliente, dove ci si trova bene. La riferisco al rapporto affettivo ed estetico che le persone instaurano con l’ambiente in cui vivono di solito, con il paesaggio, con la dimensione domestica. Penso a un nido con un significato allargato.
Il concetto di fluido l’ho scelto per fare da contrappeso a quello di nido-recinto, perché i nidi se sono troppo chiusi, stretti, possono diventare anche prigioni, gabbie, luoghi in cui si rimane per inerzia, per evitare di mettersi in discussione, per stare a dormirci dentro, per nascondersi.
L’idea di fluidità, legata all’acqua e alla rigenerazione, al cambiamento, allo scorrere, al trascolorare e al cambiamento mi sembrava un elemento importante, anche in relazione alla rilevante presenza di acqua che caratterizza il territorio di accoglienza del progetto. In Valsesia piove in abbondanza, sebbene con il cambiamento climatico in corso questa “certezza” inizi a essere messa in discussione. L’anno scorso per esempio le precipitazioni sono state molto inferiori alla media. Quest’anno pare vada meglio.
Veniamo ai nodi. Si riferiscono al puncetto, un altro elemento caratterizzante la valle e che rimanda da una parte all’idea di legame, di rete di relazione, di contatto con la tradizione e la sua valorizzazione, dall’altra alle criticità che possono emergere nell’indagine di un territorio.
Questo antico pizzo valsesiano farà la sua comparsa ufficiale nel progetto “Nidi, nodi. Fluidi” in un’installazione che stiamo allestendo insieme ad alcune signore della valle e probabilmente in un’altra che preparerò io stessa, se mi riesce di imparare i rudimenti necessari a creare una figura che mi piace (non rivelerò ancora di quale si tratta).
Anticipo che non si tratterà di un uso canonico del puncetto. Nessuno si aspetti centrini apprettati. Il puncetto in questo caso mi interessa per evidenziare il senso di trama e di relazioni che si instaurano fra le persone, il filo infatti è simbolicamente il legame fra le persone e fra queste ultime e il loro territorio.
Nel corso di quest’ultimo anno ho avuto modo di parlare di puncetto con molte persone molto diverse fra loro è sono emerse sostanziali differenze di vedute e di approcci rispetto all’uso di questo pizzo tradizionale eseguito con strumenti di base molto semplici: ago e filo ritorto (più un paio di forbici).
Si potrebbe dire proprio due visioni opposte nel porsi in generale con un’eredità preziosa e forse un po’ “ingombrante”: un sentimento reverenziale, molto rigoroso e un approccio più giocoso e creativo. Personalmente preferisco il secondo e sarà quello che adotterò e chiederò di adottare alle persone che mi aiuteranno a realizzare le installazioni.
Nel frattempo, abbiamo dedicato un primo workshop da poco a Carcoforo, grazie all’organizzazione di Marta della Vedova e alla partecipazione dell’esperta puncettaia Giovanna Riva Ragozzi che hanno saputo introdurre e spiegare in modo molto avvincente alcuni elementi di base di questo merletto.
Una delle questioni che mi ha colpito è il desiderio di tutelare in modo molto rigoroso figurazioni e realizzazione dei punti attraverso una “certificazione” ufficiale, al di fuori della quale pare molto difficile agire. In sostanza si cerca di garantire la circolazione di pizzi realizzati al puncetto, più o meno come avviene, con un vino pregiato, o con un altro prodotto commerciale di alto livello.
Questa forma di protezione/tutela, da una parte garantisce esecuzioni perfette e omologate, dall’altra temo rischi di inibire la realizzazione di creazioni sperimentali che potrebbero originare lavori interessanti e avvicinare un pubblico più esteso, comprendente anche studenti di fashion design, artisti, designer.
Soprattutto quando si pensa che questo pizzo, un tempo – quando lo si praticava con regolarità in tutte le case – era tramandato da una generazione all’altra direttamente attraverso la pratica e i relativi errori. Non si sentiva la necessità di “tutelare” con marchi la biancheria domestica che usciva dagli aghi da cucito.
Certo, ci sono persone che eseguono meglio questo pizzo rispetto ad altre, come è normale che sia, così come si trovano livelli diversi di approcciarsi alla maglia o all’uncinetto, ma la qualità del risultato appare con una certa evidenza agli occhi di chi lo guarda.
Che cosa ci si aspetta- e mi aspetto – da un approccio più “disinvolto”, giocoso e creativo? I punti base potrebbero essere utilizzati per inventarsi forme, figurazioni nuove. Possono esserci varianti nella realizzazione delle figure di base.
Per esempio, il “ragno” prevede di essere inscritto in una gabbietta quadrata, ma a me personalmente piace di più inserito in un contorno rotondo o ovale. Sarà poco puncettistico in senso canonico, ma la figura che ne esce è interessante e si adatta al supporto che ho in mente di utilizzare.
Si possono modificare i materiali adottati in funzione di usi diversi del puncetto rispetto ai suoi impieghi storici (costumi tradizionali dei diversi paesi della Valsesia e delle sue laterali (Val Sermenza, Val Mastallone), centrini, inserti per tende, tovaglie, asciugamani, lenzuola, sottopiatti, vestiti, colletti, polsini).
Da questo punto di vista è interessante vedere che cosa si possa ottenere cambiando tipologia di filati, al di là del tradizionale cotone, lino, o seta, sebbene ci siano dei “limiti” imposti dalla tecnica in sé, poiché serve un filo ritorto, altrimenti il punto non viene eseguito nella sua forma caratteristica.
I punti dovrebbero essere realizzati molto stretti, ovvero con il filo ben teso in modo da dare una consistenza compatta al tutto. Resta, quindi, di primaria importanza capire fino a che punto si possano utilizzare certi fili, certe consistenze e in rapporto a quali forme.
Fra le principali figurazioni del puncetto ci sono i ragni, i ragni superbia, le teste di morto, rosetta, girandola e le alternanze di pieni e vuoti che servono a creare disegni geometrici complessi.
Negli ultimissimi decenni per quanto riguarda la reinterpretazione degli oggetti in cui inserire il puncetto si intravedono tentativi di ricerca da parte di alcune appassionate puncettaie, creative e coraggiose (non è facile opporsi al gruppo che impone le sue regole di appartenenza in piccoli paesi), impegnate a inventarsi cinture, bigiotteria, borsette realizzate con fili particolari, anche in cachemire.
Le aperture verso la sperimentazione di materiali, funzioni d’uso e forme possono garantire una sopravvivenza e una diffusione a questa lavorazione preziosa, esteticamente interessante, anche al di fuori della nicchia di persone affascinate da pizzi tradizionali per biancheria e decoro della casa.
Per mantenere viva una tecnica occorre aggiornarla alle esigenze dell’oggi e far sì che sia imparata e impiegata con una certa regolarità dalle generazioni più giovani. Per questo mi sembra importante assicurare uno spazio alla sperimentazione.
Il puncetto è geometrico, per realizzare lavori con schemi complessi occorre eseguire disegni preparatori su fogli quadrettati così da disporre di una guida per la realizzazione dei punti con la massima precisione. Disegni che sono in sé opere d’arte inaspettate.
Quando si mettono accanto al lavoro tridimensionale eseguito con il filo si crea un dialogo fra i due tale da originare vere e proprie narrazioni visive. Questo è uno degli aspetti emersi durante il workshop realizzato a Carcoforo il 14 agosto, in occasione dell’inaugurazione della seconda tappa di “Nidi, nodi. Fluidi”-Atto Secondo.
Ci congediamo per questa settimana con una domanda aperta:
Preferireste utilizzare un filo ritorto grosso per realizzare un ragno gigante “contemporaneo” magari da utilizzare poi per un’installazione, o scegliere un filo ritorto DMC n° 60 e attenersi agli schemi previsti dalle regole e confezionare un centrino da inserire in una tenda?