Come ultima parte della residenza artistica da trascorrere a Rossa, nell’ambito del mio progetto di drammaturgia montana partecipata “Nidi, nodi. Fluidi”, curato da Gabi Scardi, ho assistito alle iniziative con le quali gli abitanti festeggiano il Carnevale.
Una festa, quest’ultima, particolarmente sentita in tutta la Valsesia, per quanto gli avvenimenti più noti si collochino a Varallo e a Borgosesia dove le sfilate dei carri hanno una lunga tradizione storica, così come il festeggiamento conclusivo il mercoledì delle ceneri festeggiato con una rituale serie di libagioni (Mercu Scurot).
Rossa, piccolo Comune della Val Sermenza (o Val Pitta, per differenziarla dalla Val Grande, ovvero la Valsesia vera e propria) prevede per il suo Carnevale tre momenti significativi: il tradizionale ballo in maschera, la pulitura e preparazione delle verdure per la Paniccia, il pranzo di Carnevale a base di Paniccia, con l’intervento beneaugurante della Società Filarmonica, ovvero la banda musicale comunale, un’istituzione fondata nel 1882.
A differenza di quasi tutti i luoghi dove si festeggia il Carnevale, però, nel ballo in maschera e, in generale, negli altri giorni del periodo dedicato, i travestimenti qui riguardano solo le maschere che costituiscono i rappresentanti “ufficiali” del Comune. Gli adulti non si mascherano, quindi, la licenza del travestimento è data solo ai bambini e alle persone “deputate” a rappresentare gli abitanti anche nei Comuni della valle.
Il fatto non deve stupire, perché se si pensa alla fatica quotidiana e al carico di lavoro ai quali erano sottoposti gli abitanti di queste piccole comunità, appare evidente che non ci fossero le risorse di tempo disponibili e a volte nemmeno quelle economiche per recuperare il necessario ad essere adeguatamente mascherati.
In ogni caso, in Valsesia, a ogni ballo mascherato che si tiene i vari personaggi rappresentanti i diversi Comuni si scambiano visite e doni. Nel caso di Rossa, si tratta di una coppia giovane di origine popolare. La maschera ufficiale è La Ita (diminutivo di Margherita), con il suo compagno Carlo.
I costumi indossati sono ispirati alle linee degli abiti popolari tardo settecenteschi e, a differenza di tutte le altre occasioni ufficiali dell’anno, i costumi tradizionali del paese restano nell’armadio per tutti. Durante il ballo mascherato di Carnevale, a Rossa, oltre agli abitanti del paese quindi, salgono quelli dei comuni vicini e i rappresentanti “ufficiali” di tutti i piccoli centri della valle.
Appuntamento in teatro (ebbene sì, da queste parti c’è una rete di piccoli teatri “in quota”) a partire dalle 22.00 fino a notte fonda, con musica dal vivo (liscio e pop). Moltissimi giovani, ma anche anziani, tutti molto impegnati a divertirsi nelle danze.
La seconda tappa del Carnevale prevede un evento molto particolare: la pulizia e la preparazione delle verdure ad opera di molti abitanti del paese, in vista della cottura di piatti tradizionali: la Paniccia e il puré di patate (qui servita con spezzatino).
La prima è un minestrone a base di verdure, in particolare patate, zucca, porri, sedano, cipolle, carote, erbette, fagioli, affidato a una cottura molto lenta: pare che debba cuocere circa quattro ore e mezza-cinque per acquistare il gusto “giusto” e la corretta consistenza. Infatti il fuoco sotto il pentolone che la contiene è acceso all’alba ed è alimentato con cura e amore fino a mezzogiorno.
Poiché la partecipazione al pranzo a base di questi ingredienti coinvolge tutti gli abitanti si intuisce facilmente la necessità di procedere a una rituale forma di cucina comunitaria di grande impatto anche sul piano visivo.
In questa occasione viene utilizzato il piccolo teatro che costituisce anche il locale più grande e ospitale del paese, ma anche gli spazi antistanti dove sono collocati sia i pentoloni per la cottura, sia i contenitori per pulire le verdure, sciacquarle fra una fase e l’altra della lavorazione (sbucciatura, taglio a cubetti).
La platea, sgombra di file di posti a sedere, ospita una serie di tavoloni sui quali si tagliano le verdure, in diverse fasi, a cicli, così da procedere speditamente. Il lavoro ha un’organizzazione ferrea, quasi militare, o anzi, da linea di produzione vera e propria. Il pomeriggio è scandito dal battito regolare dei coltelli sui taglieri.
Così si passa dall’affettare cipolle, porri, alla fase della preparazione di carote e zucca, fino al taglio dei cubetti di patate e dei gambi di sedano. In questa occasione, gli abitanti impegnati nei lavori sono stati più di quaranta che, per una piccola comunità di 166 abitanti ufficiali (il cui numero effettivo di residenti è ovviamente inferiore) è una bella cifra.
Terminata questa impresa, c’è una prima cena informale come “ricompensa” del lavoro eseguito. Appuntamento per la rituale accensione dei fuochi per la mattina successiva all’alba, che, in questo caso, si rivela un po’ piovosa. Per fortuna il tempo volge in seguito al bello, in modo che il resto della giornata non subisca spiacevoli fasi di arresto.
La domenica di Carnevale, infatti, riserva l’evento clou: il pranzo a base della Paniccia, appunto, preceduto dall’intervento trionfale della banda musicale del paese, diretta dal M° Davide Ferrarato e composta da una ventina di elementi circa.
A questo punto, infatti attorno alle 12.30 o l’una, i pentoloni possono essere spenti e i loro contenuti possono essere distribuiti all’interno del teatro per chi ha scelto di aderire al pranzo comunitario e ha a tempo debito riservato un posto, o a casa propria, se ha preferito una soluzione da asporto a impatto zero per quanto riguarda il packaging.
Le persone si portano, infatti, da casa i contenitori che preferiscono, di solito pentole di varia dimensione, a seconda del nucleo famigliare e si fanno versare direttamente dal pentolone quel che serve loro. Il pranzo comunitario si protrae invece per buona parte del pomeriggio ed è un momento di forte impatto sul piano sociale, così come lo è stata la preparazione delle verdure il giorno prima.
E’ un momento importante per la comunità e soprattutto molto sentito, come rivelano le adesioni. Non si tratta, in sostanza, di un evento finto, ma una “festa intima” a cui partecipano gli abitanti che lo desiderano.
A differenza quindi di molti Carnevali posticci, trasfigurati da operazioni di marketing a mero uso turistico finalizzato a un immediato incasso, o di luoghi dove il Carnevale non è più sentito (a Milano per esempio negli ultimi due decenni si può osservare una sua uscita di scena, se non per i bambini) in Valsesia gli abitanti sono molto legati a questa tradizione.
In un piccolo paese di montagna come Rossa una festa che in molti altri posti è diventata marginale, o al contrario, commerciale, evento di “massa”, qui resta l’espressione del desiderio di festeggiare in compagnia e di divertimento condiviso.
La conclusione in bellezza: musica dal vivo con fisarmoniche, da metà pomeriggio, fino a dopocena (i festeggiamenti sono stati senza soluzione di continuità, il pranzo è trascolorato in cena). In particolare grazie a due meravigliosi musicisti: Gianni con la sua fisarmonica e Giancarlo con un vastissimo repertorio di canzoni popolari (bellissima “Val pitta bella”).