Le “drammaturgie urbane” di Gabriele Basilico hanno avuto come punto di partenza Milano. Una parte molto particolare della città: quella delle sue (ex) aree industriali, al tempo degli scatti fotografici sul punto di essere dismesse, o quanto meno vicino ad esserlo. Il lavoro infatti avviene fra il 1978 e il 1980.
Il lavoro è nato già come progetto editoriale, il fotografo aveva già pensato che le immagini sarebbero state raccolte nel volume che sarebbe poi diventato “Milano, ritratti di fabbriche”, un formato e un supporto di lavoro molto importante per l’artista stesso, poiché era stato iniziato al suo lavoro proprio attraverso libri di fotografia, determinanti nel ” nel farmi pensare, più che alle singole foto, a ipotesi di libri, di mondi raccontati attraverso un libro”.
Nella descrizione del lavoro effettuata dallo stesso Basilico in “Architetture, città, visioni” l’opera è un “catalogo di immagini della periferia milanese che presenta una ricomposizione visiva di un paesaggio urbano poco noto, risultato di una lunga indagine fotografica “. Il lavoro è stato iniziato nel weekend di Pasqua del 1978, caratterizzato da vento e di conseguenza da aria tersa, cielo blu e luci che creano contrasti netti sugli edifici.
“Per la prima volta ho “visto” le strade e , con loro, le facciate delle fabbriche stagliarsi nitide, nette e silate su un cielo inaspettatamente blu intenso, grazie al quale la visione delle forme diventava improvvisamnete inusuale” scrive Basilico in “Architetture, città, visioni”. Senza contare che i giorni di festa garantiscono un ambiente privo della presenza umana, immerso in un’atmosfera sospesa.
“Ho potuto vedere così, come se non l’avessi mai visto prima, un lembo di città senza il movimento perpetuo quotidiano, senza le auto in sosta, senza persone, senza suoni e ruomri. Ho visto l’architettura riproporsi nella sua essenza, filtrata dalla luce, in modo sorprendentemente scenografico e monumentale” riflette il fotografo sempre nel libro appena citato.
Un passaggio in particolare è importante, dedicato alle ombre degli edifici che non entrano nell’inquadratura ma sono presenti sotto forma di ombre sui muri di quelli inquadrati e che esprimono presenze “nascoste” e al contempo reali.
“Anche l’ombra diventava-come insinuando, suggerendo, e poi svelando – un elemento compositivo e la fotografia acquistava la stessa importanza e lo stesso peso specifico del disegno e anche la capacità di rappresentare quasi andando oltre l’esistente. Quando fotografo un edificio illuminato dal sole e davante c’è un imponente ombra nera, questa fa capire che c’è un altro edificio alle mie spalle. Un edificio che non si vede, ma ce è altrettanto concreto e preente quanto quello inquadrato.”
Basilico insiste sull’importanza delle interazioni fra luci e ombre come elementi che servono a percepire le modificazioni dello spazio nel tempo:
“La luce, le ombre, il controluce, consentono di rilevare e leggere le modificazioni dello spazio, di capire meglio la realtà, anche quella che, pur non essendo visibile tuttavia c’è, esiste ed è presente”.
Basilico, sempre in “Architetture, città, visioni” parla di “ipervisibilità” della luce, ovvero l’opportunità di vedere qualcosa che in realtà è fuori campo: “attraverso la luce ho immaginato prima e reso poi concreto e percepibile qualcosa che non era visibile, e che tuttavia esisteva e che la luce suggeriva,”
Questa scelta enfatizza un dato di fatto e lo trasforma in un elemento concettuale e simbolico, in una complementarità fra drammaturgia della luce, drammaturgia degli spazi e drammaturgia urbana:
“Uno dei compiti della creazione artistica consiste nel rendere visibile, scavando nella realtà e nell’immaginario, qualcosa che normalmente non si vede, che è come se fosse invisibile, ma che naturalmente in realtà esiste”.
Durante il lavoro durato due anni, si era basato su una cartina topografica 1/5000 su cui comparivano le aree industriali della città, percorse “blocco per blocco”. Gli scatti sono stati effettuati di domenica, quando le condizioni di luce erano compatibili con quanto desiderato dall’autore, spesso senza cavalletto. Carlo Tognoli, sindaco di Milano all’epoca decise di pubblicare il lavoro, seguito da una mostra al PAC nel 1983.
Dopo questo lavoro molto importante e innovativo, dove le fabbriche di Milano si trasformano in elementi quasi metafisici, proprio grazie alla scelta di fotografare gli edifici in momenti di “stasi”, di non apparente funzionamento, senza i loro “abitanti”, ovvero gli operai e gli impiegati. Sono scatti che valorizzano le architetture industriali, non parlano di come sono vissute al loro interno, né di rapporti di lavoro, di potere e di classe. Non c’è l’idea di denunciare sfruttamento o scontro di classe. In primo piano ci sono gli edifici e la luce. Cattedrali di una città industriosa e industriale.
Gabriele Basilico, Architetture, città, visioni. Riflessioni sulla fotografia. a cura di Andrea Lissoni, Bruno Mondadori, Milano 2007.