Gabriele Basilico

Nel riflettere attorno alle possibilità infinite per una drammaturgia degli spazi e nello specifico attorno al concetto di drammaturgie urbane (al plurale), il labriele Basilico sulle città è una tappa obbligatoria del percorso.

Credo che per me, come per molti altri, le cose siano cambiate davvero dopo il ’68, l’interesse per il sociale aveva sostituito quello per l’architettura. In quel periodo ho iniziato, quasi per caso, a fare fotografie (…) il fascino della fotografia come mestiere nuovo e avventuroso, in una Milano molto impegnata nella cultura e nell’arte oltre che nel sociale sommato all’ammirazione per pesonalità cruciali come Ugo MULAS E Gianni Berengo Gardin, è stata forse la ragione determinante di questa scelta.

Nel suo libro “Architetture, città, visioni” (Bruno Mondadori, Milano, 2007), l’architetto-fotografo rivela come per la sua formazione sia stata essenziale la scoperta dei fotografi della Farm Security Administration – organizzazione governativa USA – impegnati a documentare le condizioni di vita delle persone nelle aree degli Stati Uniti più colpite dalla Depressione (1935-44).

In particolare, identifica in Walker Evans l’autore che più l’ha impressionato, sia per la qualità delle immagini scattate, sia per la sua figura, umana e morale. Lo definisce, infatti, il suo “vero grande maestro segreto, un riferimento etico ed estetico” che ha “molto influenzato” il suo lavoro. Il motivo risiede nel fatto che la proposta del modello di Evans è “fare dell’immagine fotografica un documento. Fare che quel documento diventi arte, e dare a quell’arte un incommensurabile valore sociale. E tutto nel più grande rispetto delle persone e delle loro condizioni, senza atteggiamenti pietistici, ma sempre con comprensione.”

Una fotografia di Gabriele Basilico
Gabriele Basilico: Isola. Milano.

Altri punti di riferimento dichiarati attraverso le parole del medesimo libro di Basilico sono stati i New Topographics. Si tratta, anche in questo caso ancora di un gruppo di autori, non solo quindi di una singola personalità. Incontra i loro lavori in un’esposizione a Rochester, in Inghilterra nel 1975.

Così come sono molto importanti Bille Brandt, il suo Shadow of light e il lavoro su Londra durante i bombardamenti. A questo proposito Basilico in Architetture, città, visioni scrive: “Quelle immagini scure, piene di nebbia e di carbone, povere e dure ma nello stesso tempo delicatamente romantiche, mi avevano insegnato a capire la magia del bianco e nero”.

Altro grande autore che ha esercitato influenza sul suo lavoro è WIlliam Klein. Un lavoro come “Milano, ritratti di fabbriche” è stato influenzato dal lavoro di Bernd e Hilla Becher, in quanto “della loro ricerca mi aveva sedotto il linguaggio essenziale, frontale, con il quale descrivevano i manufatti industriali.

Ma anche il processo sistematico di catalogazione, la coerenza della ricerca, la serialità delle tipologie (…) Mi colpiva anche la netta percezione che la loro era un ricerca senza fine (…). Qui sta forse la ragione prima del mio interesse nei loro confronti: l’idea di non finito, di una finitezza decisa più dal numero illimitato dei soggetti che da altre cause, ha sicuramente esercitato fascino sul mio lavoro milanese”.

Il paesaggio urbano, italiano, francese, libanese e infine del mondo intero, è diventato il protagonista pressoché assoluto degli scatti dell’autore. L’architettura, il segno artistico dell’antropizzazione dell’ambiente è il centro dell’attenzione del suo lavoro.

Una fotografia di Gabriele Basilico
Gabriele Basilico: Berlino. Scattered City.

Come ammette egli stesso “da parecchi anni, forse dall’inizio del mio percorso, fotografo l’architettura con un’evidente e speciale predilezione per il paesaggio urbano.” Da questo punto di vista il libro fotografico “Milano. Ritratti di fabbriche” ha inaugurato un modo di “vedere” lo spazio urbano come un vero e proprio personaggio.

Le architetture industriali, sul punto di essere dismesse, o già dismesse si succedono pagina dopo pagina, proponendo un percorso fra le vie delle aree industriali. Così come, al contrario, gli edifici disastrati, erosi dai proiettili congelati emergono dalle foto scattate a Beirut nel 1991 (nel libro Beirut 1991, uscito nel 2003), “documentazione” della devastazione causata dalla guerra avvenuta fra il 1979 e il 1990.

O ancora i “ritratti” fotografici di “Scattered city”, dove sono raccolte più di cento immagini di città sparse per il mondo, catturate dal fotografo fra il 2001 e il 2004, un lavoro concepito come un work in progress che unisce l’amore per l’architettura, a quello per la dimensione urbana e sociale.

I dettagli fanno sempre la differenza, in un’opera esteticamente e artisticamente densa. Così nelle fotografie di Basilico acquistano rilievo e intensità diversi elementi del paesaggio urbano: oggetti funzionali, l’arredo tecnico, la scelta degli edifici, le loro superfici, la sequenza delle loro aperture, le proporzioni, oltre evidentemente, all’uso fondamentale della luce.

Una fotografia di Gabriele Basilico
Gabriele Basilico: Edilizia popolare, Milano. Via Pascarella. 1970

 

Per lasciare la parola all’autore:

Dall’altra sono interessato anche a tutto quello che sta oltre, fuori dal profilo e dalla massa degli edifici, e che contribuisce al disegno “urbano” dello spazio, come la segnaletica stradale, i cartelli, le corsie e le zebre sull’asfalto, i pali dell’illuminazione e la trama dei cavi elettrici che distribuiscono l’energia e consento la viabilità di tram e filobus”.

 

 

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato.

error: Content is protected !!