DANIEL BUREN – III

Oltre alla drammaturgia della luce, alla drammaturgia degli spazi pubblici, quando si considera il lavoro di Daniel Buren bisogna anche fare alcune riflessioni sul concetto di prospettiva e di punto di vista.  Se i lavori più recenti insistono soprattutto sulle interazioni fra luce, colori e corpi dei cittadini, o dei visitatori di spazi museali, c’è una parte della produzione dell’artista francese legata alla tridimensionalità più “solida”.

Complementare all’evanescenza e alla temporaneità della luce solare e dei riflessi colorati su vetri, stoffe, materiali plastici, ci sono lavori complessi che vedono convivere forme geometriche e una dimensione ludica legata all’uso della prospettiva. Questa serie di opere è stata creata soprattutto a partire dall’inizio degli anni Novanta del XX secolo e nei primi anni del XXI.

In realtà, a ben guardare, già Les deux plateaux, realizzato per il cortile d’onore del Palais Royal nel 1986, uno dei lavori più noti e controversi di Buren, si incentra sulla gestione e la convivenza dei punti di vista. Le 260 colonne che compongono l’opera, sono di altezze diverse, alcune poste sulla pietra, altre si riflettono sulla superficie bagnata della medesima, posto che alcune sono immerse nell’acqua.

25 Porticoes, di Daniel Buren
Daniel Buren: 25 Porticoes, 1996 Tokyo.

Nel camminarci in mezzo il cittadino è contornato e immerso in un paesaggio di colonne accennate, che riprendono in parte quelle del porticato del Palais. Al contempo le colonne delimitano e misurano lo spazio aperto, immenso, creano percorsi geometrici, una griglia.

Dieci anni più tardi, nel 1996, gli elementi che compongono i 25 portici (25 Porticoes, The color and its reflections Travail in situ permanent, Juin 1996, baia di Tokyo, Saerea Odaiba), ovvero da strutture colorate con le strisce, guidano chi cammina in un percorso ancora più “costruito” e tridimensionale.

La serie di archi segna una strada contraddistinta da elementi prospettici che selezionano porzioni di spazio e panorama da osservare, come delle cornici e al contempo, grazie alla loro esilità non precludono la vista del luogo, ma la esaltano. Sono cornici, porticati virtuali perché in realtà non hanno un tetto che li sovrasti, ma solo gli elementi portanti dei pilastri collegati da una trabeazione stilizzata.

Questa successione di “cornici”-arco concettualemnte seleziona al suo interno infinite possibilità di visione del paesaggio circostante, tenendo conto anche dell’altezza diversa dalla quale osservano i luoghi i visitatori.

"5 Porticoes, di Daniel Buren
Daniel Buren: 25 Porticoes, 1996 Tokyo.

L’importanza assegnata al punto di vista emerge evidentemente attraverso la scelta del titolo di un lavoro realizzato per il Castello di Arma in Toscana, nel 2001: Sulle vigne: punti di vista, opera in situ permanente (Lecchi in Chianti). Grandi specchi e archi riflettono il paesaggio, lo segmentano, confondendo e sovrapponendo il paesaggio reale e quello riflesso.

Il verde delle vigne e dei prati creano insieme al cielo e all’andamento del percorso disegnato dalle strutture in specchi un labirinto gigantesco en plein air, mutevole quanto è il variare della luce e delle stagioni.

Ma è un lavoro in situ permanente degli anni 2000-2005, “Prospettive= perspective”, realizzato per la sede sociale della Banca della Svizzera Italiana, Palazzo BSI, a Lugano a rimandare esplicitamente al concetto di “Prospettiva” già dal titolo. In questo caso le finestre del palazzo e alcuni corridoi mostrano alcuni interventi dell’artista affidati alle righe che caratterizzano il suo lavoro.

Nel 2002 al Centre Pompidou di Parigi la mostra Le musée qui n’existait pas, composta da settanta celle con pareti colorate, grigie e a righe che si riflettono negli specchi costringe il visitatore a una rifrazione continua di punti di vista, di effetti sorprendenti, di illusioni ottiche tipiche appunto di una struttura dove i riflessi sono molteplici e moltiplicabili all’infinito.

Inoltre Buren, per rendere il progetto più articolato accentua al contempo una propagazione/moltiplicazione del punto di vista poiché e intervenuto in tre tempi: presso il luogo della mostra, sull’edificio e nei luoghi della città circostanti al Centre. La mostra presenta una serie di opere, molte delle quali inedite e alcune fotografie di opere andate anche distrutte.

Axer Désaxer (2015) al Museo Madre di Napoli mette in primo piano lo spaesamento generato dalla presenza di specchi e colori, come una pirotecnica esplosione di colori e riflessi solidi, posto che in questo caso è stata volutamente esclusa la trasparenza degli effetti di “proiezione” solare attraverso vetri colorati.

L’intervento di Buren sul luogo specifico si è concentrato sull’ingresso, ovvero su un’area di valico, su uno spazio-soglia e come tale estremamente significativo, sul piano simbolico. Si tratta di un filtro non solo fra esterno e interno, ma fra il mondo e la dimensione del Museo.

Axer-Désaxer è un’installazione dove il colore giallo, l’arancio e l’azzurro cian si sommano agli specchi e alle righe, così che il visitatore si senta catturato da un forte impatto visivo e sia sollecitato sul piano cromatico a un’esplorazione delle strutture del luogo.

un'opera di Daniel Buren,
Daniel Buren: Sulle vigne. Punti di vista. 2001. Toscana.

Ancora al Museo Madre, troviamo l’opera “Come un gioco da bambini” realizzato l’anno precedente (2014), come un insieme di gioco di costruzioni giganti, ispirati ai pezzi di legno colorati predisposti dal pedagogo tedesco Friedrich Wilhelm August Fröbel.

I visitatori posso passeggiare così fra triangoli, cilindri, cubi, parallelepipedi, archi colorati, con toni sgargianti, o grigi, o a righe, come in una città metafisica, dove le prospettive sono sorprendenti e l’aspetto ludico delle forme crea un viaggio attraverso queste architetture evocate.

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