Daniel Buren II

Gli inizi della carriera di Daniel Buren incentrati sui lavori pensati per gli spazi pubblici esterni, le strade, le piazze cittadine- gli “Affichages suavages” – hanno negli anni lasciato il posto a grandi opere collocate sovente in esterni, dove la luce e il colore, soprattutto negli ultimi anni hanno avuto un rilievo assoluto.

L’attenzione per il colore e per la luce erano ridotti all’essenziale. Soprattutto quest’ultima, non si può dire fosse al centro dell’attenzione di lavori come gli Affichages, dove piuttosto era messa in primo piano una parodia del linguaggio commerciale, attraverso anche la performance “provocatoria” come gli “Hommes Sandwiches”.

Quest’ultima eseguita fra aprile e maggio 1968, era realizzata nelle strade di Parigi, dove l’artista aveva previsto la sua “Esposizione personale”, ovvero gli affichage a strisce bianche alternate a quelle colorate (ognuna sempre di  misura 8,7 cm).

Le “passeggiate” avvenivano in diversi cicli nel corso della giornata ed erano affidate a due uomini che recavano sulla schiena un pannello composto da due elementi, uno grande sopra la loro testa e uno più piccolo a livello del torso, rivestiti di carta stampata a righe bianche e verdi.

Non erano previsti inviti,  né la presenza di una galleria. I performer, se interpellati, avevano l’istruzione di rispondere ai passanti, di essere impegnati a “portare pannelli rivestiti di strisce verticali bianche e verdi”. All’epoca del boom economico, Buren si affida a messaggi “no logo” costruiti sui modelli delle pubblicità americane dell’epoca.

Se si compie un balzo in avanti di decenni nelle opere dell’artista francese e si guarda come siano sviluppate le più recenti emerge nettamente una radicale trasformazione del suo modo di relazionarsi con lo spazio pubblico, attraverso l’uso della luce e del colore, pensati come elementi con i quali il visitatore entra in un dialogo “mobile”, cangiante, in continua evoluzione.

Installazione di Daniel Buren, L'attrappe soleil, Tours
Daniel Buren: L’attrappe-soleil. Tours, 2013

Non è soltanto un lavoro sul punto di vista (a questo argomento, più “prospettico” e architettonico ritorneremo in un altro articolo su Buren), ma sulla progettazione dello spazio che diventa luce e colore. Uno spazio luminoso e colorato che il cittadino attraversa e dal quale viene “assorbito” e si lascia assorbire.

Le macchie di colore generate dal proiettore più potente ed economico/sostenibile che ci sia, ovvero il sole, attraverso “gelatine” di colori accesi (primari e complementari) cadono sui corpi che transitano in quel preciso luogo, in quel preciso momento, diversi da ogni altro, oltre che su porzioni di spazio urbano, o gli elementi architettonici,

Prima di questi ultimi lavori dove la “drammaturgia della luce” ha un ruolo fondamentale si possono riconoscere passsaggi “intermedi” nei quali l’autore crea strutture colorate tridimensionali collocati in spazi pubblici. Già negli anni Novanta il colore come elemento centrale definisce e costruisce i rapporti in luoghi nei quali Buren inserisce le sue opere.

In particolare in “25 Porticoes – The color and its reflections” (1996) sembrano condensati i nuovi e gli antichi interessi di Daniel Buren. A dieci anni da “Les Deux Plateaux”, nel cortile d’onore del Palais Royal di Parigi l’attenzione si sposta verso il colore e gli effetti che provoca.

FIn dai suoi esordi e dalla temporanea fondazione del gruppo BMPT dichiara di “non essere un pittore”. Infatti, le migliaia di tele dipinte, più che operazione commerciale proficua, si può intendere come esasperazione grottesca del processo pittorico di “serie”, con una produzione ipertrofica, o piuttosto “industriale”. Ovvero come una stessa gigantesca forma di “installazione” diffusa e invasiva.

Le strisce colorate un tempo affidate alla bidimensionalità dei manifesti si sono trasformate in elementi tridimensionali, dai colori accesi alternati come sempre al bianco. Compongono archi, o portici, come li chiama l’artista. In questo caso di tratta di un’installazione sovrastante la baia di Tokyo, sull’isola artificiale di Odaiba, composta da 25 “portici” appunto, a strisce bianche e gialle e bianche e verdi, alternati.

Ciò che è importante evidenziare di questo progetto, fra gli altri elementi, è la spiegazione del titolo, “The color and its reflections”: l’attenzione si sposta verso i riflessi generati dai colori. Non stupisce quindi che negli anni successivi l’interesse dell’artista si sia concentrata proprio sul dialogo che si instaura fra colori, spazio e luce, non fini a se stessi, ma in relazione con i corpi di chi attraversa le sue opere.

Nel primo decennio del nuovo millennio questo interesse è sempre più evidente e confermato in alcuni casi dalla scelta dei titoli.

Nel 2012, l’installazione Excentrique(s) pensata per il Grand Palais di Parigi, in occasione di Monumenta è una delle sue prime grandi partiture cromatiche in cui la luce del sole interagisce con i colori grazie a supporti trasparenti. In questo caso ci sono 377 dischi in quattro diversi colori, e cinque misure, in materiale plastico, sospesi su steli in acciaio in dialogo con la cupola in vetro colorata di blu.

L’attrappe-soleil (Tours)  è un lavoro rivelatore di questa nuova forma di “drammaturgia” dello spazio in cui la luce e il colore acquistano un ruolo rilevantissimo nella fruizione, senza ricorrere alla spettacolarità tecnologica di luci al neon, ma semplicemente riproponendo armonie cromatiche caleidoscopiche.

Les Attrappe-soleil, un lavoro “in situ” permanente risale all’agosto 2013, realizzato in Place Choiseul, dove l’artista ha realizzato altre opere in un progetto legato al rinnovamento della linea tramviaria cittadina (linea Uno Nord-Sud). Si tratta di interventi basati sulla luce, ma a “bassa tecnologia”. Non i neon, ma la luce solare.

Installazione di Daniel Buren, L'attrappe soleil, Tours
Daniel Buren: L’attrappe-soleil. Tours, 2013

I riflessi degli antichi vetri delle cattedrali gotiche francesi, da Notre Dame a Saint Denis sono completamente rivisitati e trasformati in giochi di luce complessa attraverso la rielaborazione di vetrate preesistenti, o create ad hoc, in una serie di lavori che dagli anni Dieci arrivano fino a quelli più recenti.

Il lavoro distribuito in più punti della città di Tours è stato ripensato e declinato in forme e in modalità differenti, in una serie di “variazioni” sul tema sempre più complesse, approdate in opere più recenti, o recentissime, come l’installazione “Comme tombées du ciel, les couleurs in situ et en mouvement” pensata per la stazione dell’alta velocità Liège-Guilllemins a Liegi, progettata da Santiago Calatrava nel 2009.

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