Daniel Buren I

Nel parlare di drammaturgia urbana e, più in generale, di drammaturgia degli spazi, è indispensabile dedicare a Daniel Buren (1938) una panoramica sul suo lavoro. La sua produzione artistica, infatti, riveste un ruolo centrale dalla fine degli anni Sessanta in questo contesto specifico.

Fin da quando ha iniziato a far aderire le sue strisce colorate alternate a quelle bianche sui muri delle strade, alla fine degli anni Sessanta, con i suoi lavori Affichages sauvages (1967).

In questo articolo ci occupiamo quindi  esclusivamente dei lavori permanenti e temporanei “in situ”. La decisione di incollare direttamente sui muri e sui cartelloni pubblicitari preesistenti le sue strisce (rigorosamente di 8,7 centimetri, secondo le misure standard delle stoffe per tenda, acquistate ai suoi esordi) mette in primo piano non solo il conflitto con i mezzi di espressione della cultura capitalistica, con il marketing degli anni del boom economico, che in sostanza fa sparire con un intervento radicale, ma semplice: lo cancella.

Questa “cancellazione” avviene attraverso un’opera realizzata e costituita da una superficie di carta stampata con motivi industriali, le strisce appunto, tutte uguali, “prevedibili”, implacabili nella gamma cromatica scelta. Strisce che rimandano a una funzione, quella di schermare il sole, o eventualmente ai rivestimenti di divani, o alla tappezzeria da parete.

Daniel Buren: Affichages Sauvages, 1968, Paris
Daniel Buren: Affichages Sauvauges, Paris, 1967-8

Un gioco di specchi, di scatole cinesi che mettono in relazioni piani differenti di significato e di consapevolezza. Spingono in sostanza chi guarda a farsi domande, a meditare sul significato di quel che vede e sulla sensazione che ne ricava.

Entra in contatto direttamente con lo spazio pubblico, lo trasforma, lo rende “domestico”, inserendo un motivo geometrico che ciascuno riconosce e percepisce come elemento familiare: le tende di casa, le strisce delle sdraio. Entrambi gli oggetti fra l’altro, hanno a che fare con la protezione dal sole, o con una postazione adatta a prenderlo.

Nonostante l’intenzione di “neutralità” applicata alla rumorosità di fondo della città e della comunicazione pubblicitaria, attraverso le strisce e il lavoro di incollaggio.

Proababilmente, proprio questa caratteristica di evocare l’estate, il sole, la bella stagione rende ancora più stridente il conflitto con ciò che sta sotto il rivestimento, ovvero il grigio dei muri, o la pubblicità di una macchina. Senza contare che l’attenzione per la luce del sole e le sue interazioni con i materiali, nello spazio pubblico è già presente, sebbene in uno stadio ancora embrionale, fin da questi lavori.

Il supporto è direttamente offerto dallo spazio urbano, si prova quel c’è a disposizione: muri, grandi supporti metallici sede della cartellonistica pubblicitaria, pali, pilastri, basamenti di palazzi, in un secondo momento. I suoi lavori sono in costante dialogo con lo spazio in cui sono collocati, interagiscono con questo.

Lo spazio tridimensionale della quotidianità urbana costituisce il supporto indispensabile per questa prima serie di lavori che nel titolo esplicitamente dichiarano la loro funzione di “assalto”, di “illegalità” e di clandestinità. Sono una forma di “arte abusiva”. Oltre alla dimensione urbana sono inserite in contesti paesaggistici, in spazi architettonici, (oltre che in musei e gallerie)

In luogo del parcheggio selvaggio, gli “Affichages Sauvages” sono un modo di “rivestire” la città, in un certo senso, anche di proteggerla. E’ un modo dell’artista di far interagire le persone con lo spazio attraverso la sua opera, si crea un circuito fra il primo, gli abitanti della città e il lavoro stesso, esposto brutalmente sotto gli occhi di tutti, senza differenze sociali, né di età, né di genere.

L’attenzione di Buren per la stretta relazione luce-colore, sia attraverso l’uso di materiali coprenti, sia attraverso l’esplorazione delle trasparenze, in dialogo con il sole, costituisce un secondo elemento su cui si desidera attirare l’attenzione, posta l’importanza rivestita nell’elaborazione dei suoi lavori.

Nell’aprile 1968, questi lavori “abusivi” entrano in una dimensione “ufficiale”, Buren realizza duecento pannelli a Parigi, in una mostra personale. Senza uno studio, senza l’appoggio di una galleria (né di un’istituzione culturale) si impegna direttamente per strada.

Daniel Buren, Affichages Sauvages, Paris 1968
Daniel Buren: Affichages Sauvages, Paris, 1967-8

Slogan politici, messaggi pubblicitari, ovvero le forme della comunicazione di massa, sono zittite, e sostituite, quasi censurate, attraverso il ricorso a una neutralità, a un “silenzio” di comunicazione verbale, esplicita, ma una sollecitazione agli strumenti percettivi, al di là di un apparente assenza di significato.

“Pour le moins déroutants, ces affichages sauvages imposent, au milieu des slogans politiques divers, images publicitaires aguicheuses et messages accrocheurs, leur neutralité, leur absence de signature et leur apparente absence de signification, jusqu’à être à leur tour recouverts. Un signe mécanique et répétitif, qui détonne dans ce contexte et interpelle.”

In realtà la “neutralità” di questi lavori, la sua apparente silenziosità minimalista mette in primo piano anche la violenza del potere istituzionale, forme di censura che scattano a protezione dello spazio pubblico, soprattutto in Paesi dove non si risiede.

Daniel Buren, a Berna, in occasione della mostra ” Quand les attitudes deviennent forme” viene arrestato e transita brevemente per una casa circondariale svizzera.

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