L’individuazione di elementi conflittuali e la loro divulgazione attraverso un lavoro di riflessione affidata alla scrittura prima e, in seguito, alla rappresentazione, sono fra gli elementi di base nei lavori di drammaturgia, ai quali appartengono anche i progetti di drammaturgia urbana e, più in generale, di drammaturgia degli spazi.
In quest’ultimo ambito, il consumo del suolo è una delle problematiche alle quali rivolgo particolare attenzione, in un periodo che sto dedicando soprattutto allo studio dell’ambiente, del territorio, degli spazi naturali e di quelli fortemente antropizzati.

Nell’articolo di oggi, indago ancora le problematiche legate all’edificazione selvaggia a ridosso di ambienti naturali da preservare, nonché dell’estetica del paesaggio in una cittadina di provincia sul lago – Verbania-, ormai a vocazione prevalentemente turistica.
Dove quindi la cementificazione, le conversioni di terreni da agricoli in edificabili, la costruzione di nuove, inutili abitazioni sono ben visibili, anche senza occhiali.
La creazione di parchi naturali per fortuna ha tutelato in parte il territorio montano circostante, tuttavia, ampie porzioni di zona collinare ricoperte da boscaglia, radure, prati, piccoli giardini, orti, vecchie case in pietra sono state progressivamente sostituite.
La solita infestazione di villette e, a volte, nuove ville impietosamente rivela tutta la loro bruttezza, le loro facciate ordinarie, noiose, specie messe ancor più in risalto dal confronto impietoso con quelli storici preesistenti e con il paesaggio naturale circostante.

Così, nella zona pianeggiante della cittadina sorgono scatoloni grigiastri, molto simili fra loro, anche se probabilmente i progettisti sono diversi, circondati da staccionate e protezioni da cantiere aperto, dove i rendering dell’edificio che verrà, promettono appartamenti con elevati standard su un paesaggio inguardabile, di solito senza vista lago.
Nella zona a ridosso di un piccolo rilievo attorno ai mille metri (il Monte Cimolo) e nella fascia morenica antistante affacciata sull’area urbana e soprattutto sul lago, il suolo si sta consumando sotto una continua, lenta ma inesorabile, colata di cemento dalle forme variegate e, al contempo, monotone delle villette, villette a schiera (queste ultime meno frequenti negli ultimi anni), pseudo-ville.
Negli ultimi quarant’anni, ovvero nell’arco di tempo che ho potuto verificare di persona, i boschi nell’area non protetta dai parchi naturali si sono ridotti, per fare sempre più spazio a questi edifici con “vista lago”, e con una totale dipendenza dall’automobile per i loro proprietari.

Questo genere di edificazione è insostenibile per più motivi, ma evidentemente le persone non se ne rendono conto e non mi riferisco alle imprese edili, o ai progettisti, né alle amministrazioni, perché hanno troppi interessi per occuparsi del problema. Mi riferisco agli acquirenti e ai committenti, in genere.
Ovvero a persone che decidono di ritagliarsi uno pseudo “angolo di paradiso” ma lo scelgono in un luogo sbagliato: perché è collocato in zone servite in modo molto approssimativo dai mezzi pubblici, o non servite del tutto in alcuni casi; perché obbliga i proprietari a continui spostamenti in automobile, o in moto per qualunque necessità primaria, perché non punta a riadattare con rispetto edifici storici preesistenti.
I negozi infatti sono pressoché assenti nella zona collinare infestata dalla cementificazione, i capannoni dei centri commerciali che hanno ampiamente devastato il paesaggio a valle sono le mete da raggiungere pressoché obbligatoriamente dagli autoesiliati abitanti delle villette vista lago.

Inoltre, poiché la strada è tutta a tornanti e gli automobilisti troppo numerosi per la grandezza delle strade si formano code in tutte le direzioni anche e soprattutto grazie a coloro che devono risalire verso le zone collinari.
Nonostante negli ultimi anni l’invecchiamento della popolazione spinga molti di costoro – i pionieri – a scendere verso la città, la costruzione di edifici prosegue, ora destinate a una clientela esterna, proveniente dalle città di pianura, Milano in primis, ma soprattutto dall’estero.
Negli anni Settanta, Ottanta ascendevano la collina per godersi il panorama, ma soprattutto per esibire la conquista della “villa” come riconoscimento sociale, alcune categorie specifiche di persone-personaggi: commercianti arricchiti (non erano ancora stati inventate le multe per acquisti senza scontrino), professionisti in cerca di conferme di status di recente acquisizione, con relative famiglie.

Gli abitanti delle vecchie, bellissime case in pietra e delle altrettanto bellissime ville storiche (di villeggiatura) hanno dovuto accogliere progressivamente nell’abituale panorama queste sempre più numerose fonti di disturbo ottiche ed estetiche.
Anche di recente, ho notato la presenza di una grande gru e di un villaggio di palazzine con vista (vendute a caro prezzo), addossate una all’altra, raggiungibili comodamente: a piedi dopo una ripida mulattiera (da provare con le borse della spesa settimanale); in auto dopo un congruo numero di vie intasate e di tornanti.
A fianco di quest’ultima meraviglia, sorge quel che resta di un pascolo dove, fino a un paio d’anni fa, si aggiravano tre o quattro pecore, due mucche, a volte un asino. Brucavano senza rendersi conto di essere su un terreno vista lago, edificabile e rivalutabile, grazie alla magia di un cumulo di cemento, spuntato al posto di un cespuglio.
