DRAMMI
Leggere un giorno sì e uno no di uccisioni di fidanzate, ex fidanzate, mogli, ex mogli e donne in generale da parte di maschi di ogni età e condizione sociale, scatena grande rabbia e sdegno, in apparenza in molte persone, di entrambi i sessi.
Per molte ragioni, però le cose rimangono immobili, o addirittura, in certi casi, come l’ultimo in ordine di tempo, avvenuto nella provincia di Padova, sembrano essere peggiorate. L’età dell’omicida è bassa (22 anni), così come era ancora più bassa quella di un altro omicida l’anno scorso, dalle parti di Bologna (16 anni).
Si incolpa la società patriarcale italiana, di cui è purtroppo innegabile la pesante impronta, ma si trascura del tutto di dedicare attenzione a quello che è il luogo dove avviene tutto, cioè l’educazione, la formazione emotiva e affettiva di un individuo: la FAMICLIA, composta da un padre e da una madre (più fratelli/sorelle se ci sono, zii, nonni, cugini).
Ovvero, si trascura di indagare quale carattere e quale visione dei rapporti uomo/donna abbiano i genitori dei futuri figli. Perché il problema nasce anche e soprattutto qui. Se una madre considera se stessa una “serva”, una “schiava” a servizio del marito e dei figli, se non ha una vita autonoma e indipendente sul piano del pensiero e su quello economico, che valori trasmette ai figli?
Se un padre ritiene che le figlie femmine siano “inferiori” a quelli maschi, se in casa li si educa a perfezionare rispettivamente la “delicatezza” femminile e la “Prepotenza” maschile che adulti cresceranno?
Secondo punto. Troppe donne, per paura, comodità, pigrizia, interessi secondari sono le prime a rinunciare in partenza alla loro indipendenza psicologica, sociale, mentale, economica dai compagni, mariti, fidanzati. La colpa non è solo degli uomini, vorrei che le donne avessero il coraggio di ammetterlo, altrimenti non si andrà mai avanti nel processo di liberazione dai gioghi che gravano sull’universo femminile.
Finché si usa il corpo come scorciatoia per fare carriera (quante lo fanno? moltissime in certi ambienti, è noto e l’ho verificato in conoscenze personali, quindi è inutile nascondersi dietro a un dito), finché si usa la scusa di essere fidanzate/sposate, di avere figli, per evitare di darsi da fare, per affrontare il mondo, mettersi in discussione, si rimarrà sempre a questo punto.
Quante sono le donne che si sobbarcano mestieri di casa, cura dei figli perché “non si fidano” di quel che fa il marito? (molte purtroppo). Le donne quindi devono imparare innanzitutto a ripartire i compiti, a non fare tutto da sé, a tollerare che ci siano cose “non fatte” (prima o poi lo saranno necessariamente).
Cioè a non lavare piatti, a non stirare, non lavare per quattro persone, non cucinare per tre pasti ogni giorno, 365/366 giorni all’anno. Devono semplicemente ASTENERSI da lavori che devono essere condivisi e ripartiti fra tutti i membri della famiglia. Questo sul lato strettamento pratico. Se le donne, tutte le donne si comportassero così una buona parte di maschilismo verrebbe progressivamente annientato.
Una terza questione enorme, riguarda la genitorialità in sè e l’attenzione verso il disagio mentale. I due fattori sono strettamente connessi. Sarebbe opportuno che tutti i genitori prima di mettere al mondo un figlio facessero un minimo di analisi da uno psicanalista, o almeno qualche chiacchierata con uno psicologo che potessero fornire gli elementi di base per crescere un figlio in serenità.
Ci sono genitori anafettivi, genitori con traumi subiti a loro volta, genitori narcisisti, genitori border line. Come nasceranno e saranno educati i figli nati in queste famiglie disfunzionali? La scuola non può essere certo in grado di risanare gravi carenze all’interno della famiglia. Soprattutto quando la scuola è in difficoltà nei confronti del proprio senso di credibilità e di autorità.
I genitori per una lunga serie di ragioni hanno perso fiducia e rispetto della Scuola, la Scuola non ha saputo mantenere nella maggior parte dei casi l’autorità e la credibilità che dovrebbe avere.
Di conseguenza, se non si fa uno sforzo per dare una mano ai genitori nell’educazione dei figli nei loro primissimi anni di età, se le donne rifiutano di ammettere che troppo spesso per una serie di motivi scelgono scorciatoie assai poco vantaggiose sul lungo periodo (lo vediamo ogni giorno), se evitano di riflettere sulla loro autostima, sulle possibilità di carriera, anche a costo di dure, lunghe lotte, impegnative, la situazione resta invariata, o peggiora. Precisamente come sta avvenendo.
Urlare contro i maschi è inutile se nel quotidiano le donne continuano a fare quello che hanno sempre fatto: stirare, lavare, cucinare, accudire ai figli, ai genitori, agli suoceri in solitudine così da essere stanche e frustrate per aver rinunciato alla carriera o altre possibilità, etc etc etc. La frustrazione genera depressione, rancori, invidie e un mal funzionamento della famiglia stessa.
Le donne sono da secoli (grazie alla Chiesa Cattolica naturalmente) vittime sacrificali, ma in molti casi sono anche vittime autosacrificali, tutte le volte che accettano di condividere le regole imposte dalla società patriarcale. Le donne sono le peggiorio nemiche di se stesse in troppi casi, sono le prime a percepirsi come “inferiori” perché credono a quello che si sentono dire in molti contesti.
Tutto ciò è inaccettabile nel XXI secolo in Europa. Le donne non sono crocerossine, nurse a servizio degli uomini. Sono esseri umani uguali agli uomini, con gli stessi diritti, doveri, risorse, capicità, possibilità, intelligenza, in molti casi anche forza fisica, quindi non ci sono scuse per nascondersi dentro casa, dentro le quattro mura (poco) rassicuranti della famiglia…..
E’ molto semplice scardinare il sistema. Basta smettere di compiere alcune azioni semplicissime e condividerle, ripartirle con gli altri membri della famiglia. Sono piccoli passi, in apparenza, ma enormi sul piano delle conseguenze.
Microdrammi quotidiani.
Gli spazi pubblici al centro della nostra ricerca nell’ambito della drammatugia urbana costituiscono un punto di osservazione privilegiato per ammirare panorami mozzafiato da un punto di vista sociale e sociologico. Letteralmente. Nel senso che possono rivelare situazioni che tolgono il respiro, mettono i brividi, perché rimandano alla faticosa constatazione quotidiana di situazioni nelle quali continua ad emergere una pesante disparità di genere. Anche nei momenti e negli angoli dove in apparenza dovrebbe essere lontana: quella del gioco…
Che cosa può riservare una domenica pomeriggio al parco, in città? Che cosa rivelano i giochi quotidiani in esterno dei bambini in città? Quali storie e abitudini raccontano? Sono diverse da quelle di medi e piccoli centri di provincia?
Fra le fortune che ho avuto da bambina c’è quella di aver giocato in un giardino condominiale molto grande, con miei coetanei, maschi e femmine senza subire discriminazioni, insulti, allontanamenti. Eravamo una banda di circa dodici-quattordici ragazzini più o meno della stessa età e tutti i giorni da maggio a settembre ci trovavamo appena possibile per giocare insieme all’aria aperta.
Guardie e ladri, tornei di tennis, gare di pattinaggio, autostrada (infiniti giri di bicicletta attorno al condominio, dove si fingeva di essere autotrasportatori, con soste e rifornimenti in luoghi “deputati” a fungere da autogrill), Star Treck o Spazio 1999 (fingevamo di essere su un’astronave e di planare su vari pianeti), indiani, pallavolo, ciclocross su piste ottenute inzuppando una parte del giardino – riservata al gioco – con la pompa dell’acqua e sfruttando una vasca per la sabbia a disposizione dei bambini più piccoli (i nostri genitori non erano proprio fieri di tutto ciò, ma lasciavano fare…).
Mi annoia e mi annoiava giocare a calcio e anche le mie amichette condividevano la medesima repulsione. Così, quando arrivavamo in giardino, se i bambini erano intenti a giocare a calcio, dopo un po’ gli chiedevamo di cambiare gioco. Loro accettavano, concordavamo il nuovo genere di attività, distribuivamo i compiti e partiva un’altra fantastica avventura condivisa. Tutto questo avveniva fra gli anni Settanta e gli Ottanta, sul lago Maggiore, sponda piemontese.
Ci si aspetterebbe che in Italia, in Europa, a Milano, nell’anno di grazia 2021, i genitori, i nonni, gli zii, le zie, i parenti, gli insegnanti avessero ampiamente compreso l’importanza di stroncare sul nascere comportamenti discriminanti nei bambini. Illusione delle illusioni. Gli stereotipi e gli schemi più frusti, per non dire beceri, continuano a tramandarsi anche nei contesti culturali dove la consapevolezza dovrebbe essere maggiore, in particolare quando ci si trova in presenza di genitori, o adulti con un alto livello di istruzione e reddito.
In seguito a un episodio di sessismo odioso fra bambini a cui sono stata testimone, pochi giorni fa, nel centro di Milano e che mi ha profondamente colpita, ho sentito l’urgenza di dedicare al più presto un progetto di drammaturgia urbana alle discriminazioni di genere in un contesto apparentemente idilliaco: il parco giochi e più in generale i parchi urbani, proprio nella loro funzione di luoghi di svago, per bambini e adulti. Il progetto riguarda perciò i rapporti di potere in un ambiente dove in apparenza non c’è la “pressione” presente in un luogo di lavoro, o in famiglia, dove psicologicamente le relazioni sono tese, complesse.
Sto pensando, nella fattispecie, a brevi drammi da parete, con protagonisti i bambini e i loro genitori, presenti di persona, o indirettamente, attraverso i loro insegnamenti o non insegnamenti, desumibili dal comportamento dei figli. Il materiale che ho appena raccolto rappresenta lo stadio iniziale per costruire un progetto di MICRODRAMMATURGIA QUOTIDIANA che verrà….
Ciò che hanno sentito le mie orecchie e visto i miei occhi si trasformerà nel tempo in un lavoro che potrà sollecitare a riflettere,…l’idea è che diventi proprio una spina nel fianco da regalare a tutti coloro (e sono TANTI) che si voltano dall’altra parte, fanno finta di niente, credono che questi argomenti siano irrilevanti, o che la “tradizione” imponga e comporti la tutela di comportamenti cristallizzati, inaccettabili sul piano dell’uguaglianza umana, fra individuo e individuo.
Molti genitori, nonostante l’argomento sia ampiamente noto, si mostrano disattenti, inconsapevoli, distratti, in sostanza fanno poco o nulla per correggere i comportamenti scorretti sul piano sociale dei loro figli, futuri adulti, futuri cittadini di uno Stato e del mondo.
Ecco allora di seguito qualche appunto per:
MICRODRAMMI QUOTIDIANI AL PARCO
UNO
Un venerdì soleggiato di ottobre. Pomeriggio attorno alle 17.00. Anno 2021. Una piazza pedonale alle spalle del teatro Strehler, a Milano.
Personaggi in ordine di apparizione:
Bambino A di circa nove o dieci anni, che urla, irritato
Bambino B della stessa età, la cui voce è troppo lontana per percepire le sue parole
Bambina C loro coetanea, che non parla
Una palla
Io che attraverso la piazza frettolosamente, in ritardo per una conferenza che mi interessa e non parlo, anche se mi piacerebbe molto.
Scena Unica
La palla vola lontano e il bambino B corre a recuperarla dall’altra parte della piazza, lancio lungo.
Bambino A: (rivolto al Bambino B) “Hai capito che non me ne importa niente?”
Bambino B: è una voce fuori campo, le sue parole si disperdono nell’aria…o quanto meno il mio cervello non le registra…
Bambino A: (alzando la voce) Non me ne frega proprio un cazzo se lei è la tua fidanzata…
Bambino B: risponde ma le parole continuano a non pervenire alle mie orecchie, ma potrei dire che alludono a una specie di giustificazione bofonchiata di qualcosa.
Bambino A: (urla) Tanto lei è solo una femminuccia puzzolente.
La bambina tace e cammina velocemente come se cercasse di intercettare la palla, ha uno sguardo pensieroso.
Io sento avvamparmi di sdegno e furia. Però, per quanto sia furibonda, dovrei intromettermi con modi civili e tutto questo mi porterebbe via almeno un buon quarto d’ora, forse di più. Sono in ritardo e non posso fermarmi a spiegare alcuni concetti basilari sul rispetto interpersonale all’energumeno in crescita.
Spero che si trovi al più presto in una situazione in cui qualcuno gli spieghi come ci si relazioni con gli altri, chiunque essi siano. Mi incuriosisce molto sapere da chi gli arrivi l’associazione fra “femminuccia” (dispregiativo) e “puzzolente”, se da una fonte interna alla famiglia (gravissimo), o esterna (qualche amico, o compagno di scuola). Purtroppo non essendomi fermata a parlargli, la domanda è destinata a restare inevasa per l’eternità dei secoli.
Così altrettanto sarà senza nome il motivo di tanta ferocia. Forse la ragazzina aveva fatto un tiro sbagliato, forse aveva reso lento il gioco perché era estranea alle consuetudini, o perché riteneva poco interessante il tutto?
Redigere un elenco di possibilità potrebbe essere un lavoro interessante da proporre al lettore…Tanto ognuna di esse non giustificherà mai le parole che ha sentito quella bambina e che resteranno, se non debitamente disinnescate e ridicolizzate da un adulto, un segno capace di contribuire a minare la sua sicurezza di donna da adulta.
Nei giorni successivi la voce del bambino A che gracchiava i suoi insulti sessisti alla coetanea (probabilmente per mera invidia di non avere “una fidanzata”), ha continuato a perseguitarmi e continua a farlo.
“Ma Fatelo tacere….” direbbe stizzito Scarpia….un personaggio che la sapeva lunga sull’esercizio perverso del potere maschile, ma in questo caso, quell’imperativo mi sembra particolarmente adatto all’uopo.
(Prosegue)