Prosegue nei prossimi giorni, fino al 23 novembre, all’Edicola Radeztky, in Darsena L’eleganza del nero, Atto Secondo di Atti di Fede, una tragicommedia multimediale in più atti, il cui primo Atto è stato inaugurato in occasione della mia residenza come artista invitata presso l’Archivio di Viafarini a Milano.
Ho pensato questo lavoro come un organismo in mutazione continua, con piccole varianti di colore e luminose a bassissima tecnologia. Da un certo punto di vista, per quanto le manipolazioni che avvengono attraverso la persuasione sleale al momento si avvalgano e passino per strumenti sofisticati sul piano tecnologico, i meccanismi di base che le regolano sono estremamente “semplici” per essere efficaci.
Al di là, quindi, del “rumore” fragoroso della comunicazione di massa, gridata, colorata, accesa, invasiva, le finalità e le funzioni obbediscono a leggi elementari legate alla sollecitazioni delle emozioni maggiormente capaci di generare reazioni immediate: la paura, il terrore, l’avidità, l’orgoglio, la cupidigia, la gola.
Bisogni primari ancestrali vengono messi in gioco sapientemente per ottenere coinvolgimenti rapidi, ma non sempre duraturi. Questa è infatti una “debolezza” della manipolazione, il “bersaglio” ubbidisce sì agli impulsi, ma per un periodo limitato di tempo, non appena il ragionamento riprende il controllo (di solito avviene…) e vengono considerati i dati a disposizione il soggetto può cambiare idea.
Per questo “serve” la ripetizione del messaggio, tipico della propaganda (politica e pubblicitaria, i meccanismi sono molto simili): l’obiettivo è non dare tregua per riflettere e prendere una posizione “autonoma”, basata appunto sul ragionamento e sulla riflessione.
L’eleganza del nero è un atto contenente molte scene possibili. Questa rappresentata all’Edicola Radeztky è una. Originariamente avevo pensato di ricorrere a neon luminosi con scritte colorate (sempre a colori invertiti, rispetto alla parola, quindi un neon a luce blu per la scritta della parola “arancione”, o a luce verde per la parola “rosso”).
Ho però rinunciato a questa soluzione per questa installazione, perché nel luogo dove si trova, nel bel mezzo della Darsena, luogo iconico del divertimento e del consumismo di massa, sarebbe stata perfettamente integrata e fin troppo mimetica rispetto al contesto.
Sarebbe stata semplicemente vista come uno dei tanti dispositivi luminosi che formano l’universo “pop”, già fin troppo abusato anche sul piano estetico. Ho così optato per una soluzione molto poco tecnologica, “naif”, nei supporti adottati e al contempo legata alla presenza di una scrittura “dal vivo”.
Mi sono immaginata inoltre un’altra soluzione che evidenziasse anche “l’anonimato”, o piuttosto la dimensione occulta della propagazione di alcune notizie, o il depistaggio, la disinformazione, l’alterazione voluta dei fatti così spesso facilmente riscontrabile nella comunicazione di massa, attraverso molteplici mezzi di “informazione”.
Le scritte infatti avvengono su un materiale molto povero (carta velina) che funge da “lavagna” e “in diretta”, ma la mano che traccia le lettere resta una presenza misteriosa, posto che il corpo e il viso di chi scrive restano volutamente nascosti, così come sono nascosti i “mandanti” e i divulgatori autentici di molte notizie e fatti, anche molti gravi (dalle stragi ancora insolute, alle vere cause e ai promotori dei conflitti).
Il vetro dell’Edicola in questo caso diventa uno schermo e al contempo un “foglio” di informazione, un luogo in cui appaiono “gli editti”, ovvero gli “ordini”. Senza contare che questo ruolo di trasmettitore di notizie è ulteriormente ribadito e accentuato, sul piano simbolico, dal fatto che le vetrate componenti ciascun lato l’Edicola sono tripartite, proprio come un articolo a tre colonne su ciascuna facciata e che nel complesso siano visibili tre lati per un totale di nove colonne (il formato tradizionale di un giornale)…
Proprio questa forma, sintetizzata da tre rettangoli, acquista un valore fondamentale nella progettazione di questo Atto Secondo. E’ utilizzata anche come guida, o formato, per la composizione di “fogli” di lettura, piccoli “ritagli” di giornale, con una scelta di parole associate per contrasto a un colore.
Per esempio, la parola “pulcini” è scritta svariate volte in viola (complementare del giallo, normalmente il colore associato all’idea di “pulcino”), al sostantivo “zucca” (anch’esso ripetuto a comporre un’intera colonna) è attribuito il colore cyan (complementare dell’arancio).
Le parole scelte per “gli articoli” sono state raccolte attraverso una piccola call di prova, aperta ad amici residenti a Milano, ma in futuro sarà ampliata a chi vorrà dare il suo contributo, così da comporre una sorta di “quotidiano” a colonne colorate, con tinte inversamente abbinate rispetto all’idea comunemente collegata al concetto.
In questo lavoro convivono quindi due elementi basilari utilizzati nella comunicazione di massa: da una parte lo schermo che fa da “separatore” fra chi comunica il messaggio e chi lo riceve (i vetri disposti sui quattro lati dell’Edicola Radeztky) e il formato dell’articolo a “tre colonne” ripetute per tre volte. Non è un caso che proprio nove colonne siano il formato del quotidiano classico…