Le esplorazioni del territorio, gli incontri con gli abitanti proseguono nel Comune di Rossa, al momento coinvolto nella raccolta dati del progetto di drammaturgia montana partecipata “Nidi, nodi. FLuidi”, mentre un caldo , totalmente “folle” per la stagione e un sole che il pomeriggio rende rovente muretti e case di pietra, nonostante ormai ci approssimiamo alla metà di ottobre.
Fra i personaggi non umani protagonisti di Rossa ci sono due presenze molto interessanti da segnalare. La banda di Rossa, ovvero la Società Filarmonica, fondata alla fine dell’Ottocento (1882). Al momento è composta da ventisette musicisti condotti dal loro Maestro (Davide Ferrarato succeduto al suo predecessore Daniele Arbellia, direttore storico del gruppo, ora in “pensione” in questo ruolo, ma sempre attivissimo come clarinettista del complesso e non solo).
I musicisti si ritrovano regolarmente a provare durante tutto l’anno, in una sala pubblica e accompagnano manifestazioni nel corso delle attività del loro Comune e di altri della valle, ma non sono mancate neppure trasferte all’estero, in Francia, o fuori regione.
Fino a qualche tempo fa era a disposizione anche il teatro di Rossa, al momento sede di un’altra attività, ma potrebbe essere che in futuro (e glielo auguriamo) possano recuperare la loro sede al chiuso, per quanto le sonorità della banda siano più facilmente associate a spazi esterni. D’altra parte in un ambiente alpino, durante i mesi invernali un luogo al chiuso appare indispensabile, soprattutto se si pensa alla possibilità di eseguire concerti.
Li ho visti al lavoro durante una celebrazione pubblica, una piccola festa religiosa locale, dove hanno eseguito brani sia sacri, sia profani fuori e dentro la chiesa parrocchiale e anche durante una prova dove hanno mostrato una prima vista ottima.
Un incontro inaspettato e piuttosto sorprendente riguarda, invece, la presenza “massiccia” di reperti archeologici molto antichi, ovvero coppelle e contenitori di pietra sgrossata, rinvenuti sugli alpeggi. La presenza di moltissimi oratori su diversi versanti, a parte essere l’ennesimo strascico della Controriforma quanto mai invasiva in queste zone “di confine”, infestate da “eretici”, potrebbero anche essere una riconversione di antichissimi luoghi di culti pagani.
Da questo punto di vista, sembra che la zona non sia ancora stata oggetto di studio approfondito, mancano al momento segnalazioni di sentieri “delle coppelle”, o sopralluoghi, scavi che considerino alcuni oggetti in pietra rinvenuti in quota da pastori e proprietari di alpeggi.
Fra i personaggi principali non umani incontrati finora, come ho già anticipato nella scorsa “puntata”, ci sono gli orti e i giardini. In particolare in questo momento gli abitanti sono impegnati nel raccolto delle patate che in molti casi vengono lasciate a maturare nei campi naturalmente pacciamati da erbe lunghe e invasive che hanno il ruolo di proteggere i frutti sotto terra e mantenerli alla giusta umidità finché vengono “cavate”, a mano, con la zappa.
Seguono le zucche e le zucchine, delle quali si trovano segnalazioni vistose sul piano cromatico, affidate ai loro rispettivi fiori che si incontrano lungo i muretti a secco delle terrazze in cui sono ospitati gli orti,o direttamente sul terreno.
I funghi costituiscono un argomento più delicatoe. Mi chiedo, infatti, da giorni, perché le persone per la maggior parte provenienti dal fondo valle si sentano autorizzate a razziare i boschi di porcini e ferré, come se niente fosse.
Riempiono zaini oltre misura e si trascinano a valle con il loro carico con aria arrogante, rubandosi “zone” a vicenda e facendo gare a chi arriva prima in un luogo “speciale” solo con l’obiettivo di arraffare la quantità più elevata possibile di frutti. Nella maggior parte dei casi non si pongono la domanda sulla “quantità” di funghi che sottraggono agli animali e alle persone del luogo. Senza contare che nella maggior parte operano in modo abusivo (senza patentino e relativi pagamenti).
Questo senso di onnipotenza e di mancanza di rispetto per il territorio e i suoi abitanti è, d’altra parte, uno degli atteggiamenti adottati da chi si accosta alla montagna (come a qualsiasi altro angolo del pianeta) in un’ottica di mero, ottuso sfruttamento delle risorse disponibili, lasciando in cambio, cartacce e rifiuti lungo il percorso.
Per quanto riguarda il regno animale, settembre e ottobre sono la stagione degli amori per i cervi e in questi giorni in effetti, dal pomeriggio alla notte, al mattino presto e in alcune giornate anche nel bel mezzo del pomeriggio si ascolta in stereofonia una serie di bramiti che, grazie all’effetto eco delle montagne, si diffondono in tutto il Comune.
Alcuni abitanti mi hanno riferito che la presenza di cervi qui è piuttosto recente, risale introno alla fine degli anni Novanta e al momento è considerata una presenza piuttosto “invadente” e “nociva” per i camoisci che sono stati privati del loro cibo dai “cugini” con le corna lunghe e con un appetito robusto.
Oltre ai cervi e ai loro richiami, si possono inoltre sentire di notte numerosi uccelli notturni.In queste due puntate mi sono soffermata sui personaggi non umani perché gli abitanti hanno messo al centro delle loro storie proprio gli animali, domestici e selvatici. Abbiamo raccolto materiale riguardante la vita negli alpeggi in compagnia di mucche, pecore, capre, galline, conigli e maiali.
Quando infatti le famiglie salivano in quota per far pascolare il bestiame tutti gli animali venivano portati, così da essere sorvegliati e curati direttamente dai proprietari. Arrivati in alpeggio galline e conigli venivano liberati sui prati e lasciati fuori per tutta la giornata, mentre di sera venivano ricondotti nelle stalle o, piuttosto, rispettivamente nei pollai e negli “stabbiotti”.
La percezione del luogo e degli spazi, dei singoli elementi naturali, il legame affettivo con il territorio è sempre molto personale e quindi impossibile da generalizzare, tuttavia, emerge anche in questo piccolo Comune, nella maggior parte dei casi un forte radicamento, un attaccamento molto forte alla terra, alla famiglia.
Le persone che abitano in montagna restano perché sono convinti di starci, desiderano starci e se scendono lo fanno sovente a malincuore e solo se non hanno alternative. E la mancanza di alternative, deriva di solito dall’assenza di strutture e servizi indispensabili (ambulatori, negozi di alimentari, trasporti), tagliati e sottratti loro da cittadini che si occupano di gestire la montagna e i suoi abitanti….