Dopo una pausa “tecnica” durante il mese di agosto, riprendiamo a lavorare al progetto “Nidi, nodi. Fluidi” in Val Sermenza, questa volta non più nel Comune di Alto Sermenza (dove comunque prosegue il percorso espositivo fino alla fine di settembre), ma a Carcoforo.
Nelle prossime settimane ci dedichiamo a scoprire quali sono i rapporti affettivi, estetici, emozionali degli abitanti e dei villeggianti abituali con il luogo, le creature non umane che lo abitano, gli elementi naturali, la dimensione domestica.
In questi mesi di lavoro e di relazioni umane ho avuto modo di conoscere, approfondire alcuni aspetti di realtà molto differenti fra loro. Le comunità che ho incontrato, il paesaggio, gli aspetti caratterizzanti l’organizzazione della vita dei residenti abituali sono molto diversificate, anche da un punto di vista culturale e sociale.
E’ quindi per ora confermata una delle mie ipotesi di partenza, quella di scegliere Comuni in posizioni strategiche sul piano geografico, perché mi aspettavo una specificità e un’unicità evidenti.
Le differenze che emergono si riflettono nella realizzazione delle opere inserite nel percorso espositivo e nel loro complesso saranno percepibili a tutti coloro che avranno seguìto tutte le tappe del progetto, nei sei Comuni e in futuro quando con ogni probabilità verranno raccolte contemporaneamente in un unico luogo.
Nell’immaginario comune, soprattutto delle persone che abitano in pianura e in città in generale, i paesi di montagna rischiano di essere percepiti come entità astratte, luoghi “generici”, paesaggi cartolina, nei migliori dei casi, o luoghi remoti, noiosi, popolati da persone che non hanno mezzi per emigrare altrove.
In realtà, almeno per quanto riguarda le valli laterali della Valsesia, la maggior parte degli abitanti effettivamente residenti sono motivatissimi a restare dove sono. Non sono lì perché non hanno alternative. Tutt’altro.
Tant’è che hanno il coraggio di affrontare una serie di importanti complicazioni nell’organizzazione della vita quotidiana: assenza di medico (primo ospedale utile a trenta o a sessanta chilometri…), di farmacia, di trasporti in alcuni casi, limitata presenza di attività commerciali, offerta culturale scarsa, o nulla, difficoltà ad accedere alle sedi scolastiche, in modo direttamente proporzionale all’ordine progressivo della carriera dello studente.
Sul territorio, ci sono volontà e speranze di richiamare nuovi abitanti nei Comuni che, nella maggior parte dei casi, hanno più o meno seri problemi di spopolamento. A fronte del cambiamento climatico e dei problemi legati all’inquinamento, gli spostamenti dalle città di pianura verso i paesi di montagna possono essere un’ottima soluzione. Se tuttavia, sono stati risolti i nodi precedenti.
Inoltre, per chi viene da una città, alle problematiche condivise con gli abitanti dei paesi montani elencate sopra, se ne aggiungono altre che rendono difficoltosa la prolungata permanenza: fra le altre, la soppressione della linea ferroviaria, i costi eccessivi per gli spostamenti in autobus, nonché le complicazioni con gli animali a bordo ignote nell’ambiente urbano (in alcuni casi al limite della vessazione/maltrattamento).
Questi aspetti sebbene siano noti agli addetti ai lavori, in alcuni casi siano problematiche complesse da sciogliere in breve, per differenti ragioni, in altri la causa è la noncuranza, la non consapevolezza, la prigrizia mentale. Il loro insieme pesa sugli andamenti demografici e sulla distribuzione delle persone sul territorio.
Tutti questi motivi costituiscono elementi “dialettici” e “drammatici”, fonti di conflitti e scontri. Sono premesse fondamentali per un lavoro che vada oltre a una mera e tradizionale rappresentazione scenica.
Inoltre, in questo caso, metto al centro di un progetto di drammaturgia degli spazi gli abitanti una zona montana particolarmente ricca sul piano culturale, per tradizioni secolari, nonché un luogo per me particolarmente “sensibile” a livello biografico e affettivo, posto che i miei antenati, fino ai nonni erano valsesiani (come emerge dal mio cognome).
Nel realizzare il progetto è comunque molto importante procedere con discrezione e delicatezza, senza forzature, perché alla base ci sono il dialogo, la ricostruzione di punti di vista diversi, l’arricchimento culturale reciproco dato dallo scambio di informazioni fra persone che abitano in contesti differenti.
Il tempo e la sincerità nei rapporti sono due elementi fondamentali. La “diffidenza” verso i “foresti”, verso gli abitanti della pianura, o i cittadini è un’arma di difesa contro le invasioni inopportune e importune. Può essere un modo di “resistere” alla minaccia di un livellamento globale e all’appiattimento culturale. E’ uno degli elementi di cui tengo conto fin dal principio.
Nessuno deve essere “forzato” a partecipare. Né deve sentirsi “in soggezione”, il dialogo è paritario, indipendentemente dal titolo di studio. L’istruzione da sfoggiare è estranea al progetto.
Nei prossimi giorni mi dedicherò a “scoprire” e a indagare le specifità di Carcoforo. Ho già avuto modo di capire che c’è già un nuovo “personaggio” vegetale in campo, probabilmente destinato ad assurgere a ruolo di primo attore. E’ un elemento che desta poca sorpresa in me perché è emerso – almeno finora – come gli alberi costituiscano, per esempio, un elemento di forte caratterizzazione culturale, non solo paesaggistico.
Fra le attività economiche caratteristiche di Carcoforo ci sono quelle legate all’allevamento, esteso non solo ai bovini, ma anche ai caprini e agli ovini. In questo periodo, perciò, i pascoli sono ancora tutti allegramente frequentati.
E’ probabile che nei prossimi giorni vada a vedere da vicino, se possibile – posto che il mio assistente è un segugio e non è detto che la convivenza con i maremmani sia troppo pacifica – almeno un allevamento in cui siano presenti i caprini, ai quali sto dedicando particolare attenzione (progetto “Dove sono le capre?”).
Ogni giorno in ogni caso è una scoperta del luogo e di chi lo abita, quindi aspetto con curiosità di vedere gli sviluppi!