Connessioni

Questa settimana l’articolo compare con qualche ora di ritardo come simbolica manifestazione dei disagi che possono facilmente vivere gli abitanti dei piccoli paesi di montagna: prima un violento temporale mercoledì notte ha fulminato la centralina e internet è diventato un miraggio, poi è sparita la corrente, per il temporale, ma soprattutto a causa di un cavo tranciato per errore durante la posa della fibra…

Il risultato è che siamo stati più o meno 48 ore senza connessione web a Rassa, quindi niente articolo da pubblicare questa mattina (venerdì), secondo le consuetudini. L’assenza di collegamenti con il resto del mondo in realtà ha ben poco turbato gli abitanti, abituati a questo genere di situazioni. Chi invece era in preda ad angoscia e insofferenza erano i “villeggianti” più o meno storici (la divisione sostanziale di chi gira per il paese si effettua infatti fra residenti autoctoni e “villeggianti”).

Controluce verso l'alpe Massucco
Sonia Arienta: controluce nei dintorni dell’Alpe Massucco (Rassa), sulla via del Colle Loo

La maggior parte di questi ultimi proviene dal fondovalle (in particolare Borgosesia, Novara e Milano) e frequenta Rassa da molti anni, trenta, quaranta, o ancora di più. La conoscenza del paese è quindi profonda, molto legata ad aspetti affettivi e familiari. prottettiva verso il territorio e la sua tutela, nella maggior parte dei casi, o forse nella sua totalità.

In questa settimana ho avuto modo di parlare con alcune di queste persone e di intervistarle, ho raccolto i loro ricordi anche legati ad aspetti ormai scomparsi del luogo: per esempio la presenza di una mulattiera ora sostituita da una piccola strada asfaltata che facilita l’accesso alle frazioni di Rassa, lungo il torrente Groda, ma che indubbiamente è assai poco attraente dal punto di vista paesaggistico.

Ho anche avuto la fortuna di conoscere alcune persone molto esperte di sentieri e camminate (Mauro e Renato in particolare) che mi hanno dato consigli riguardo le mie esplorazioni, dopo il tentativo fallito della settimana precedente di raggiungere il lago Talamone e il Bo biellese causa segnalazioni scomparse, sentieri sepolti dalla vegetazione e una cartina farlocca usata in mancanza di quella “certificata” del quadrante.

Fortuna che, sommata, finalmente, al reperimento determinate di una “vera” cartina (del CAI) mi ha permesso di salire fino al Colle del Loo per fotografare il punto di valico verso la Valdaosta e la Val Vogna. Dopo una camminata di quasi cinque ore con pause fotografiche e bagnetti ristoratori indispensabili per il mio assistente accaldato (4.40 senza soste) siamo giunti felicemente a destinazione.

Sonia Arienta: Alpe Prato, ai piedi del colle del LOO
Sonia Arienta: dettaglio dell’Alpe Prato, ai piedi del Colle del Loo

La vista che mi si è aperta al di là del nevaio (messo lì apposta per refrigerare le quattro zampe del mio assistente in ebollizione) spaziava fino al Monte Bianco visibile nonostante la foschia in lontananza. Prima di arrivare al varco e alla sua vista panoramica, in realtà, una sorpresa bellissima ha compensato la seconda rampa che sale dall’alpe Lamaccia: una vasta prateria, verdissima, solcata dalle prime curve del Sorba che nasce proprio lì, circondata dalle punte rocciose della Pala della Gronda e della Punta di Loozoney.

Come al solito mi è costato molto auto-persuadermi a scendere, ho così temporeggiato volentieri parlando con Luciano, pastore che pratica il pascolo vagante con il suo gregge di pecore e capre (valdostane e le rare Sempione), appena arrivato all’Alpe Prato, dove fra poco si trasferirà con tutti i suoi animali per il mese di luglio.

Sonia Arienta, nevaio sul Colle di Loo, confine con la Valdaosta
Sonia Arienta: varco verso la Valdaosta, il Colle di Loo con un piccolo nevaio.

La conoscenza del territorio montano è un punto importante nello svolgimento di un percorso di residenze artistiche in quota, così come l’allenamento fisico necessario per esplorare il più possibile i sentieri e le cime più interessanti. Gli abitanti hanno infatti un rapporto molto profondo con sentieri e luoghi selvaggi e sovente una visione molto più pratica e funzionale degli elementi naturali rispetto a chi viene da fuori.

Per esempio, il rapporto con gli alberi che, per i cittadini si esprime soprattutto come “tutela del verde”, o come apprezzamento estetico per forme, colori, dimensioni, nei residenti dei paesi di montagna si contraddistingue in molti casi per un affetto e una gratitudine per ciò che quegli alberi danno anche in termini di “utilità” domestica: legna da ardere, o legna per costruire case, oggetti.

Se da una parte il larice, soprattutto per le persone appartenenti alla comunità walser è percepito come una presenza affettiva importante, come punto di riferimento nella protezione del villaggio, dall’altra costituisce anche la materia prima delle loro case.

Sonia Arienta: panorama dal Colle di Loo, con MOnte Bianco in lontananza
Sonia Arienta: il panorama dal Colle del Loo, verso la Valdaosta. In lontananza si intravede il Monte Bianco, da non confondersi con le nuvole.

In modo analogo, a quote più basse, o nei paesi non fondati dai walser gli alberi preferiti coincidono sovente con quelli “utili” e resistenti come il faggio, molto apprezzato per scaldare le case, sotto forma di legna da ardere, o l’abete con il quale si costruiscono gli interni delle case e mobili rustici.

Questo genere di visione è piuttosto lontana da quella di chi vive in città, dove principalmente gli alberi scarseggiano e sono percepiti dalla maggior parte delle persone come un bene essenziale da tutelare, ma è importante tenerla in considerazione, perché serve a costruire una visione dialettica dei rapporti con la realtà, con le persone che vivono in contesti diversi dai propri.

La drammaturgia montana dal mio punto di vista serve anche a evidenziare queste differenze, le divergenze culturali nella lettura del mondo, le criticità che ignoriamo o che dimentichiamo

Sonia Arienta, bosco di faggi nei dintorni di Rassa, Vercelli
Sonia Arienta: Bosco di faggi, nei dintorni dell’alpeggio Sorba

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