Esplorazione del territorio
In questi primi dieci giorni di ambientazione, contatti con gli abitanti, incontri, esplorazioni del territorio nel Comune diffuso di Alto Sermenza, necessari allo sviluppo del progetto stanno emergendo molte problematiche non del tutto inaspettate e che vanno ben al di là del lavoro di drammaturgia di cui ci stiamo occupando.
In realtà queste ultime emergono grazie alle caratteristiche del territorio e alla metodologia stesse che impiego nella costruzione di questo genere di lavoro con gli abitanti. Il fatto che il Comune sia particolarmente esteso e comprenda molte piccole frazioni, un tempo Comuni a loro volta, obbliga a spostarsi ogni giorno anche di sette-dieci chilometri a tratta.
Parlare per buona parte del giorno con persone diverse offre la possibilità di venire in contatto con molte opinioni e soprattutto direttamente con i “nodi” del luogo.
Nodi
Nel parlare le persone, infatti, rivelano in modo diretto o indiretto le difficoltà con le quali si confrontano quotidianamente in un ambiente che progressivamente è stato “tagliato” fuori dalle direttrici principali. Dall’assenza di trasporti pubblici (as-sen-za), a quella di medici, farmacie (nel raggio di una ventina di chilometri, per esempio) e negozi.
Tutte condizioni che alimentano e al contempo creano il progressivo spopolamento che tende a diventare pericolosamente irreversibile. Molte persone anziane lamentano di abitare in piccoli abitati svuotati, dove “non c’è più nessuno”, o dove la gente si ferma sempre di meno, anche durante l’estate perché i luoghi non sono più “attraenti” per i giovani.
Occorre sempre pensare a quali categorie di “giovani” (o di anziani) ci si riferisce. Probabilmente l’errore è inseguire modelli incompatibili con questo ambiente e questi luoghi, perché la tipologia di persone interessate a frequentarle sono assai distanti da quelle che invadono altri contesti montani, massificati.
Ci sono montagne diverse, idee di paesaggio e rapporto con la natura e il silenzio diversi, per questo sarebbe importante riuscire a migliorare l’accesso e l’accoglienza per chi apprezza invece un contesto ambientale più “riservato”, raccolto, selvaggio, da frequentare con responsabilità e rispetto.
E’ in ogni caso spiacevole e doloroso sentirsi ripetere che “non c’è più nessuno” e si è costretti alla fine a tornare in centri a fondovalle per periodi sempre più lunghi specie in inverno perché è diventato impossibile avere un medico, o una farmacia a portata di mano.
Parlare con le persone tutto il giorno, o quasi, ascoltare e partecipare alle chiacchierate delle persone di classi sociali diverse è una parte importante del lavoro, soprattutto nei suoi sviluppi futuri. Le installazioni di quest’anno sono ancora una fase di appunti, il primo atto, quasi un prologo a quello che verrà elaborato nel tempo.
Si tratta di una fase molto delicata perché mi permette di capire quali sono le vere caratteristiche del luogo, non solo in senso paesaggistico, ma proprio in merito a relazioni fra persone e persone, fra persone e luoghi, così da sviluppare in seguito la ricerca in quel senso.
In questi giorni mi concentro su una serie di domande, o richieste che in parte mi serviranno per costruire alcune installazioni da presentare per l’inaugurazione del Primo di Luglio, per la maggior parte interattive, punto di partenza per lavori che avranno una maggior compiutezza in futuro. Per questo è molto importante creare poco per volta un rapporto di fiducia con le persone del luogo.
Le distanze
Macinare chilometri perché non ci sono autobus che collegano le frazioni fra di loro e nemmeno con il fondovalle mette subito di fronte all’impatto delle distanze da ricoprire per recuperare anche oggetti banali. In questo contesto ogni “dimenticanza” anche banale può diventare un problema gigantesco nel momento in cui si cerca di costruire, o realizzare un lavoro.
Per esempio se dimentichi lo scotch di carta che serve per mascherare un foglio da disegno può diventare quasi un’Odissea riuscire a recuperarlo e per fortuna comunque c’è chi riesce a procurartelo. Ogni acquisto passa comunque per una distanza di almeno venti chilometri all’andata e altrettanti al ritorno….(andando bene, perché altrimenti i chilometri diventano anche venticinque a tratta).
Se non si vivono in prima persona queste condizioni, se non ci si confronta con le difficoltà pratiche che vivono gli abitanti di tutti i luoghi “tagliati” fuori dalle direttrici principali, dalla normale gestione dei servizi pubblici – e sono molto più di quelli che ci si aspetta – difficllmente si può penetrare e capire molti aspetti della loro vita quotidiana e di questa porzione di società.
Una parte importante, quanto il resto del Paese, con gli stessi diritti e gli stessi doveri, ma immersa in realtà in una situazione ben più difficile, a causa di una malintesa “marginalità” geografica derivata dall’interpretare i luoghi solo in funzione del pensiero auto-centrico, o automobil-centrico.
Per chi vive in una grande città l’auto è un peso, un fastidio, al più un inutile lusso, in provincia e ancor più in località dove i servizi pubblici sono stati tagliati con sciagurata indifferenza, è un mezzo necessario. Una strategia che rivela l’ottusità nella gestione dei trasporti, dell’ambiente, delle vite altrui, perché si obbliga chi vive in montagna a ricorrere a mezzi privati per gli spostamenti personali. Ma non tutti possono o vogliono avere un’automobile.
Proprio in luoghi dove l’età è molto elevata, gli anziani a volte sono impossibilitati a guidare e quindi “costretti” a scendere a valle e a contribuire allo spopolamento. In sostanza la montagna diventa raggiungibile per i giovani che hanno desiderio di “esplorare” un territorio particolare, o per chi è costretto a starci perché non ha la possibilità di “trasferirsi” in aree più comode sul piano dei servizi.
D’altra parte, gli stessi abitanti possono essere invece desiderosi di porre per primi una “distanza” dal resto del mondo, percepito come caotico, frenetico, troppo invadente. In alcuni contesti montani i turisti chiassosi sono poco graditi (come dare loro torto?), anche se potenzialmente fonti di guadagno.
Si preferisce mantenere una sobrietà di vita e di rapporti, con una rinuncia a un cosiddetto “sviluppo turistico” che in realtà è una fonte notevole di degrado. E’ capitato di trovarmi a tremila metri su un’alta via, alcuni anni fa, durante un trekking e, vicino al sentiero proveniente da una funivia vedere girellare un tale in infradito.
Sempre in quelle stesse montagne, durante lo stesso viaggio, ho ascoltato il “rombo” di un raduno di motociclisti a duemila metri e gli schiamazzi di due esemplari umani che si volevano fare un video a metà di un cono di scarico di detriti rocciosi. Non credo che questo sia lo sviluppo turistico che vorrei se fossi un’abitante di un’alta valle montana.
La distanza, l’attraversamento dello spazio è diventato in questo periodo uno dei punti della mia riflessione, un passaggio obbligato, posto che devo percorrere circa sette chilometri ogni giorno, o anche quindici, a seconda di quello che mi serve. Il sottofondo acustico è quello prodotto dall’acqua che scorre attorno a me, dalle cascate, dalle fontane, o dal cielo.