Carolina Papetti – Drammaturgia e architetture oniriche II

Lo spazio e i personaggi sono i nodi attorno ai quali concentriamo l’attenzione in questa puntata. In particolare, proseguiamo con le riflessioni di Carolina Papetti, artista interdisciplinare che lavora indifferentemente con video, installazioni, performance e scrittura, attualmente in residenza presso Archivio-Viafarini, Fabbrica del Vapore, a Milano, attorno allo spazio, un elemento vitale per il suo lavoro.

C: “C’è sempre stato questo desiderio di lavorare con lo spazio considerandolo un’architettura, sensoriale. Ho sempre percepito lo spazio come un sistema architettonico di attivazione di tutti i sensi, sia a teatro, sia in una galleria, sia in qualsiasi altro luogo in cui possa lavorare.”

Performance di Carolina Papetti, intitolata "Dogs", Amsterdam
Carolina Papetti: DOGS. Veem House for Performance, Amsterdam. Perfomed by Catarina Paiva Fons Dhossche.

A questo punto, poiché nell’installazione in mostra all’Archivio di Viafarini sono presenti tracce di scrittura, così come in altri lavori che mi ha mostrato, sono molto curiosa di sapere da Carolina come si relazionino con lo spazio le parole, i testi inseriti nei suoi lavori, soprattutto perchè compaiono su supporti molto interessanti e inaspettati: sia sul piano materico del supporto (superfici di latex, pvc trasparenti), sia su quello della scrittura stessa (inchiostro di seppia, tracciato a mano, colle).

C: “E’ una ricerca continua ed aperta in questo momento. Quando inizio a scrivere per un lavoro immagino le parole come se venissero dallo spazio.

In una prima fase non immagino se ci siano un corpo, una musica o un suono, se ci sia un materiale a terra con parole, ma mi immagino che vengano evocate dallo spazio.

Ho lavorato in diversi modi, con le parole, tuttora sono impegnata in questa ricerca e ho lavorato con installazioni in cui ho provato a scrivere le parole nello spazio, creando un pavimento di parole,  scritte e fatte durante il processo creativo anche con i performer. Ottenevo una composizione proveniente da loro e da me, mista.

Anche le parole  sono soggette a un processo di alterazione e di ricerca di materiale, ovvero del modo nel quale il testo “vuole” abitare lo spazio.

Ho da sempre una sorta di resistenza nel mettere parole nello spazio, ma allo stesso tempo mi sembra che loro vogliano essere presenti in quella forma, quindi è una domanda, ma è molto aperta anche per me.

I testi, le parole che ricerco e scrivo sono sempre tesi a restituire lo spettro di interpretazioni più ampio possibile. Mi piace lavorare col testo nello spazio anche in maniera diretta, cioè con parole non astratte, che evocano immagini dirette e al tempo stesso mi piace comporle nello spazio, in un modo che possano creare deviazioni in chi le legge.”

Chiedo a Carolina se desideri aggiungere qualcosa sullo spazio, magari in riferimento al suo lavoro più recente.

C: “Sono sempre impegnata a sviluppare questo concetto di ambivalenza, sto lavorando sullo spazio attraverso una ricerca che chiamo “architettura onirica”, riguarda i modi nei quali lo spazio si presenta nella dimensione del sogno.

Performance di Carolina Papetti intitolata "julia or not", Amsterdam
Carolina Papetti: performance, Giulia or Not. Act Three DOOR Amsterdam performed by Catarina Paiva Jessica Matheson.

La mia ricerca più recente riguarda lavorare lo spazio non ricreando una rappresentazione onirica, figlia del Surrealismo. A me interessa lavorare con immagini che sono apparentemente per nulla distorte o surreali o assurde.

Al contrario, lavoro con immagini apparentemente molto dirette, materiali molto diretti, forme molto dirette e attraverso di essi creo uno spazio che contenga elementi celati, nascosti, così da produrre quella sensazione di distorsione, di distanza e che attiva nella mente un senso di disorientamento.

Creo un’attrazione, stimolo la percezione di un oggetto che viene visto nei primi cinque secondi in un modo, ma che poi apre a un altro mondo dove le taglie e le dimensioni operano in maniera molto differente.

La mia ricerca al momento riguarda il concetto di “architettura onirica”, senza creare scene direttamente oniriche. Sto capendo anche come lavorare con materiali più concettuali e simbolici, metaforici. Mi interessa molto tutto il mondo dei simboli.”

Chiedo a Carolina se stia lavorando con  materiali di ispirazione junghiana.

C: “In questo momento sto approfondendo Bracha Ettinger , sul concetto di spazio matriciale, in cui emerge l’idea di compassione tra artista e materia, soggetto e soggetto, soggetto, oggetto e sto leggendo le “Vision of Excess” di Georges Bataille.”

Carolina Papetti: Julia or not, una performance creata ad Amsterdam
Carolina Papetti: Giulia or Not. Act two, performed by Catarina Paiva, Jessica Matheson, Maison Descartes Reneenee Amsterdam.

Sposto ora l’attenzione a un altro degli altri elementi cardine delle mie interviste, ovvero i “Personaggi”. Chiedo a Carolina come si rapporti con essi, come li intenda, come li utilizzi nel processo creativo, come li relazioni fra di loro e con lei stessa, che cosa le interessi nei personaggi al di fuori del teatro.

C: “Il concetto di personaggio e la composizione dei personaggi sono parti fondamentali della mia ricerca. Per esempio, Giulia è un personaggio nato nel 2020 durante l’isolamento causato dalla pandemia.

È un mix tra me e Jessica che è la performer, interprete di Giulia. La ricerca, in questo caso riguarda un personaggio con un aspetto interno “di rottura”, soffre di amnesia. Mi interessava lavorare sulla fisicità, sulla presenza in scena, sul rapporto tra personaggio, oggetti, spettatore, come se ogni azione che compiuta fosse anche dimenticata nello stesso momento.

In generale, il personaggio è sicuramente sempre legato al voler creare una certa esperienza di ambiguità e quindi all’idea di portare nello spazio corpi che non vengano dallo stesso mondo, dallo stesso immaginario degli spettatori, come se ci fosse un’esigenza di prenderne distanza.

Il personaggio di Giulia è molteplice, sfaccettato, costantemente e-o falsamente enigmatico. Attraversa una serie di eventi simbolici e rappresentativi della sua biografia. Agisce come mezzo per destabilizzare lo spettatore.

Costantemente attrae e respinge, fornendo sguardi, posture e azioni che sono indizi tendenti a una risoluzione personale mai definitiva. Gioca all’inganno, trascinando dentro e fuori dalla sua personalità.

È una calcolatrice nello scegliere da quale punto di vista vuole essere vista. Sa capire meticolosamente chi ha di fronte. E allo stesso tempo subisce le conseguenze di situazioni emblematiche che hanno segnato il suo immaginario, attraverso flashback o manifestazioni immediate e incoerenti appartenenti alla sua memoria inconscia e biografica.

È falsamente ingenua, per scelta o per rassegnazione, o per regalare un momento di sollievo e illusione a chi la incontra.  Annusa e ama l’odore dell’acqua. È un’ospite che entra, si presenta misteriosamente e taglia una certa banalità e superficialità quotidiana di chi la incontra, di chi forse volutamente l’ha chiamata e l’aspettava. Ma non fornisce alcuno strumento su come comportarsi dopo aver subito le conseguenze del suo incontro. Un certo richiamo alla corporeità, scomoda ma attraente.

Una performance di Carolina Papetti, dal titolo "Julia or not", Amsterdam
Carolina Papetti: Giulia or Not. Act two, performed by Catarina Paiva, Jessica Matheson, Maison Descartes Reneenee. Amsterdam.

A parte il personaggio di Giulia, ho pensato a quello di Dylan con cui ho lavorato per un video da proiettare in un palazzo abbandonato. In quel caso era un make up artist, con parecchi dubbi diciamo e deviazioni anche sulla sua professione e su come la esercita sugli altri.”

Immagino sia una scelta simbolica, dato che crea una maschera…

C: “Si, esatto. Infatti nel video egli è l’artefice di un workshop di make up con quattro partecipanti su come creare una bocca nuova a ognuno di loro con latex e farina.

La realizzazione di queste bocche è un fallimento totale, la visione iniziale è completamente diversa rispetto al risultato finale.”

Ricorda i fallimenti della chirurgia estetica.

Mentre eravamo impegnati in quell’ambiguo laboratorio di make up, eravamo filmati costantemente da due persone e videocamere che ci hanno seguiti dalla mattina fino alla sera. Dopo aver realizzato il make up, abbiamo deciso di vivere la giornata impegnati in una serie di attività: cucinare, mangiare, cantare, camminare per strada, dialogare.

Non sto nemmeno descrivere la sensazione dell’esperienza e soprattutto il momento in cui ho dovuto montare il video ed ho rivisto queste dieci ore di materiale veramente assurdo, tragico e altamente comico allo stesso tempo.

Come se quell’ errore e deviazione nel risultato finale delle labbra, avesse fatto scaturire una serie di eventi, cambi di programma, fallimenti, mutamenti interni comportamentali in ognuno di noi, davvero paradossali, illogici.  È stato molto forte.

Noi ci immaginavamo un risultato un po’ diverso. Il film è il la registrazione di quello che abbiamo mangiato,  con queste bocche fatte di latex che si decompongono attimo dopo attimo e quindi tutto è caratterizzato da un senso di mostruosità.

C’era qualcosa di mostruoso nell’apparenza di ognuno di noi quattro partecipanti, con pezzi di bocca che si staccavano, cibo che si incastrava di lato mentre mangiavamo. Non riuscivamo a mangiare, né a fumare.

Un altro personaggio con cui ho lavorato per un video ha originato una performance. È  stato uno dei primi lavori, si trattava di un video in cui ho chiesto a uno sconosciuto di essere il regista del film.”

Carolina Papetti: video installazione "Swim Baby swim",
Carolina Papetti: Swim baby Swim, video-installazione. AHK, Amsterdam.

Nell’attesa di riprendere il dialogo con la nostra ospite, resto molto curiosa di vedere gli sviluppi della sua ricerca molto promettente, soprattutto dopo averla vista lavorare in queste settimane e aver assistito al processo di “popolamento” e “spopolamento”, spostamenti, rielaborazioni e scoperte che ha condotto nella sua “zona operativa” dell’Archivio.

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