Carolina Papetti – Drammaturgia e Architetture oniriche I

Questa settimana e la prossima dedichiamo due puntate a una conversazione con Carolina Papetti, artista interdisciplinare che ho incontrato durante la residenza artistica come artista ospite nello spazio dell’Archivio Viafarini, alla Fabbrica del Vapore. 

Carolina lavora con mezzi differenti, installazioni, video, performance e scrittura, dopo essersi formata fra Londra e Amsterdam (attualmente risiede a Milano) e considera la sua esperienza artistica un desiderio di espandere la nozione di biografia, un desiderio di trasformazione o metamorfosi biografica (o una trasgressione di tutto ciò che sperimenta), dove lo spazio, almeno per chi osserva il suo lavoro ha un ruolo molto importante.

Nel condividere luoghi contigui in questi mesi ho potuto renderimi conto della meticolosità con la quale dialoga con lo spazio, ragion per cui ho deciso di intervistarla.

Una performance di Carolina Papetti intitolata Giulia or not, allestita ad Amsterdam
Carolina Papetti: GIULIA OR NOT (ACT TWO),2021, performed by: Catarina Paiva & Jessica Matheson. DOOR, Amsterdam.

La prima domanda che pongo ai nostri ospiti riguarda il significato , l’uso personale che ciascun artista fa del termine “drammaturgia urbana”. In realtà, mi aspetto da Carolina che sia più interessata alla drammaturgia degli spazi e quindi chiedo che cosa intenda con questa definizione.

C:  Sono stata introdotta all’uso della parola magica “drammaturgia” durante i miei studi in Accademia di arti performative ad Amsterdam e mi ci è voluto davvero tempo per raccogliere, per comprendere questo termine. Il metodo che ho acquisito per capirlo è stato quello di essere in uno spazio e dialogare con uno dei miei mentori, il drammaturgo Bruno Listopad.

Drammaturgia mi fa pensare a una relazione con il mistero che prende corpo nello spazio, attraverso scelte “autonome” dei personaggi che lo popolano, come se oggetti, corpi, i suoni e materiali decidessero di disporsi. Per me il concetto di drammaturgia è una forza, un’energia presente al di là del volere di chi compone.

È qualcosa che ha a che fare con la composizione, ma intesa in modo svincolato dai canoni tradizionali o dalle associazioni più comuni connessi a questa parola, un qualcosa che è smosso anche da forze “altre”.

Più specificamente, riguardo al concetto di drammaturgia degli spazi e di drammaturgia urbana Carolina prosegue in questi termini:

C: Mi fa pensare sicuramente al concetto di architettura, a un concetto di drammaturgia architettonica, umana e non umana, materiale animale liquida, solida. Qualsiasi tipologia. Penso a una drammaturgia che rompe i confini entro i quali siamo abituati a pensare la drammaturgia stessa. “Drammaturgia urbana” mi fa pensare a un movimento che entra ed esce continuamente dagli spazi e dalle strade, dagli spazi privati, da quelli pubblici.

Carolina Papetti: "Julia or not", performance
Carolina Papetti: GIULIA OR NOT (ACT TWO),2021, performed by: Catarina Paiva & Jessica Matheson. Maison Descartes, Reneenee Exhibition space, Amsterdam.

Passiamo alla domanda successiva, più “impegnativa”, ovvero alle riflessioni attorno allo Spazio. Chiedo a Carolina di spiegare come usa lo spazio nel suo lavoro, come si rapporto con esso, che importanza gli attribuisca. Rispetto ai lavori che ho visto e ai nostri discorsi mi pare di aver capito che ne abbia molta. In sostanza le chiedo di dire tutto quello che le interessa e ritiene importante comunicare attorno a questo concetto. Mi attendo un “flusso di coscienza” sullo spazio…

Mentre Carolina pensa alla risposta da darmi, la invito anche a fare qualche esempio concreto riferito ai suoi lavori.

C: Il concetto di spazio è sicuramente legato all’immagine. In ogni lavoro che creo, la prima cosa che appare nella mia mente è legata proprio al “dove” avviene, al concetto di spazio. È la mia modalità di entrare in questi spazi di composizione, di creazione, fin dalla prima creazione che ho realizzato.

C’è come una spinta che mi connette molto velocemente alla dimensione immaginativa e che mi fa vedere lo spazio in una maniera alterata, diversa. Cerco di lavorare con lo spazio ascoltando come se ci fosse uno “scheletro dello spazio” che abbia la possibilità di parlare.

In base a quello che sento, lascio molta libertà all’intuito, all’impulso in relazione al luogo che mi sta accogliendo. Questo è il senso che attribuisco al concetto di “ascolto” rispetto a ciò che mi chiede lo spazio.

Prima di chiedermi che cosa voglio fare, mi domando che cosa voglia da me lo spazio in cui mi trovo, come posso essere una mediatrice per alterare o non alterarlo, capirlo nello specifico perché sento che sto nuotando in un oceano.

Performance progettata da Carolina Papetti, intitolata "Giulia or not", Act Two, Amsterdam
Carolina Papetti: GIULIA OR NOT (ACT TWO),2021, performed by: Catarina Paiva & Jessica Matheson. DOOR, Amsterdam

Gli spazi che a me interessano sono dominati da una ricerca fondata sul concetto di ambivalenza. Sono interessata a crearne in modo che possano essere un’offerta di un’esperienza ambivalente per lo spettatore, sia dal punto di vista materico, sia concettuale.

Mi interessa stimolare sensazioni di desiderio e repulsione allo stesso tempo. Mi attrae il concetto di ambiguità nello spazio e come certi aspetti legati all’ambiguità della realtà tendano sempre a sfuggire. Così provo a imprigionarli nello spazio che creo e considero un mondo a sé, disegnato per un luogo specifico.

Solitamente i lavori sono sempre accompagnati dalla progettazione di personaggi. Finora non mi è mai capitato di pensare a uno spazio in cui fossero assenti personaggi, composti e disegnati per quello specifico contesto spaziale di cui sono padroni e prigionieri.

Chiedo a Carolina di farmi un esempio o più di uno, rispetto ai lavori realizzati, o a nuovi progetti.

C: mi viene in mente un esempio importante perché ha generato un cambiamento nella mia pratica, ed è uscito dalle mura teatrali. Un esempio di spazio in cui ha lavorato è stato un ex orfanotrofio abbandonato nel Centro di Amsterdam, a cui ho avuto accesso.

Nell’esplorazione di questo palazzo ho trovato il backstage di un di un vecchio auditorium. Quando sono entrata, ciò che mi ha colpita di più è stato l’aspetto olfattivo, uno degli elementi di base nel mio processo creativo.

Una performance di Carolina Papetti: Giulia
Carolina Papetti: “THIRTY TWO GIULIA”, 2020, performed by: Jessica Matheson. Dansmakers, Amsterdam

C’era qualcosa nell’odore di quel luogo decrepito, pieno di muffe, di funghi, di topi. Ho cercato di crearmi una parentesi. Quando sono entrata nel backstage la sensazione che ho avuto era un’esigenza di ristrutturare questo luogo, renderlo clinico, mantenendo però l’odore.

Mi interessava ripulire tutto, ridipingere tutto, ma trovare un modo affinché quello scheletro fatto di muffe, quell’odore di decomposizione, potesse comunque rimanere all’interno dello spazio. I muri eran dipinti di rosso e di blu. C’era un bagno tutto rosa con cui ho lavorato nella performance e uno specchio enorme, con incastrato un lavandino senza la vaschetta.

La funzionalità degli oggetti rimasti era molto alterata. Ho deciso di pitturare tutto di bianco, di togliere le muffe, i funghi, mettere un pavimento bianco di  PVC e in questo spazio molto piccolo inserire una scenografia di un lavoro che avevo presentato a teatro in un palcoscenico molto grande. Ho portato le scale che componevano la scenografia, una piattaforma, vasche che in teatro erano molto armoniche a livello di dimensioni. Ho tolto così tutti i colori che c’erano e ho iniziato a lavorare lì.

Nel tempo, il lavoro si è creato da sé, perché le strutture di legno nel seminterrato, molto umido hanno subito alcuni mutamenti. Il mio tentativo è stato di rendere tutto molto clinico, cercando però di mantenere il senso di decadimento.

Dopo alcuni mesi il legno ha iniziato a decomporsi, diffondendo un odore di muffa, l’ambiente stava diventando molto opprimente.

Quando si è trattato di aprire il luogo al pubblico, dentro lo stanzino ho mantenuto come elemento fondamentale l’odore molto forte di umidità. Era il periodo COVID, quindi le performance avvenivano in proporzione alla capacità dello spazio, con venti persone alla volta, in termini quasi “privati”.

In questo lavoro quindi c’era il desiderio di creare ambivalenza nell’esperienza dello spettatore, che per me è fondamentale. C’era un’attivazione sensoriale che non offriva nulla di diretto – lo spazio offriva a livello estetico elementi bianchi e geometrici –   le alterazioni che derivavano erano invisibili all’occhio, ma percepibili attraverso altri sensi.

Chiedo a Carolina di farmi un altro esempio del suo modo di rapportarsi con lo spazio nella creazione delle sue opere.

Carolina Papetti, performance, Amsterdam
Carolina Papetti: GIULIA OR NOT (ACT TWO),2021, performed by: Catarina Paiva & Jessica Matheson. Maison Descartes, Reneenee Exhibition space, Amsterdam.

Nei lavori teatrali, mi ponevo subito una domanda sullo spazio, su come lavorarci. Un’esigenza che sono riuscita a verbalizzare solo negli anni è stata quella di rompere la distanza tra lo spettatore e lo spazio.

Il modo in cui lavoro è di rottura rispetto alla frontalità e all’accoglienza del pubblico nel modo tradizionale con cui si rapporta al palco. In questo momento la mia ricerca riguarda immagini, forme, materiali apparentemente molto diretti per creare uno spazio che contenga elementi nascosti e che producano sensazioni di distorsione, di distanza, così da attivare disorientamento, percezioni di un oggetto alterate legate al concetto di scena.   

(Continua….)

Una performance dell'artista performativa Carolina Papetti intitolata "Boned"
Carolina Papetti: BONED, 2019, performed by: Carolina Papetti, Johhan Rosenberg, Nazar Rakhmanov.Danstheater, AHK, Amsterdam

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