Propaganda I

La propaganda è il cibo quotidiano che ci preparano diverse istituzioni pubbliche, aziende, gruppi di potere. E’ un concentrato di tecniche persuasive, o piuttosto di un cumulo di forme manipolatorie dalle quali molte persone non sono in grado di difendersi, perché sprovviste di anticorpi adeguati.

E’ infatti fondamentale aver chiara la differenza fra persuasione e manipolazione, per comprendere il concetto di propaganda. Ovvero, è necessario distinguere fra forme di persuasione leale e sleale, cioè manipolatorie (cfr. Greimas, voce “manipolazione” in  Semiotica: dizionario ragionato della teoria del linguaggio, Bruno Mondadori).

Soprattutto perché queste forme sono mascherate, non apertamente riconoscibili dall’interlocutore medio, inconsapevole delle strategie comunicative. Gli strumenti sono raffinati e la propaganda ha forme pervasive, manifeste e “occulte”. Le prime hanno la funzione di colpire soprattutto le persone più “ingenue”, le seconde quelle con qualche strumento in più per difendersi, ma non abbastanza per guardare al di là del messaggio.

Se di fronte a una campagna pubblicitaria si ha facilmente la facoltà di capire di essere oggetto di una “persuasione” esplicita, è molto più difficile capire di essere manipolati in modo subdolo dalla lettura di un quotidiano, magari se si ha una “fiducia” verso una certa testata, o se ha una qualche forma di “soggezione” verso chi scrive e lo si considera un’autorità.

Da questo punto di vista la messa in discussione del principio di autorità è un’operazione basilare in tutti i campi, non solo in quello scientifico. Non esistono “verità” immutabili, ma in divenire.

Quando si legge, si ascolta un messaggio dai media di diverso tipo, elettronici, cartacei, visuali, eterei, o concretamente tridimensionali è giovevole chiedersi non solo quale sia la fonte, ma chi la controlla, a quali interessi e a quali gruppi di potere obbedisce.

Non esiste la neutralità nella comunicazione, posto che le comunicazioni sono filtrate dalla lettura personale della realtà, dei fatti, degli eventi  di chi le emette e di chi le riceve. E’ impossibile sfuggire a questo rapporto vincolante e reciproco fra mittente e destinatario.

Al tema complesso delle forme di persuasione e di manipolazione, oggetto da molti anni della mia ricerca accademica, applicata ai prodotti culturali di massa – in particolare a generi di massa “pionieri”, l’opera lirica e il romanzo nella società europea ottocentesca – desidero dedicare un ramo della mia pratica drammaturgica e artistica.

Da questo punto di vista ho pensato a come tradurre questo mio interesse in un progetto in corso di sviluppo in questo momento, come artista ospite durante la residenza artistica all’Archivio-Viafarini, a Milano.

Non appena mi sono concentrata sul concetto di propaganda, mi è venuto spontaneo associarlo a quello di cibo.

La propaganda è un cibo quotidiano che viene somministrato da alcuni gruppi al resto degli umani, a livello politico, economico, commerciale.  Un cibo pervasivo, onnipresente, multiforme. Di un indefinibile colore fra il nero, il petrolio, il viola, il prugna.

La scelta cromatica rimanda oltre alle tinte degli inchiostri da stampa, o ai caratteri tipografici composti da pixel, al colore del petrolio, dei fanghi industriali, a quello degli olii esausti, del catrame, del carbone, alla gomma dei pneumatici, all’asfalto, a tutta una serie di sostanze dense e velenose che inquinano le nostre vite e il pianeta.

Una volta stabilito che la propaganda è un “cibo” quotidiano prodotto su scala planetaria, un cibo di massa, propinato a milioni, anzi a miliardi di bocche, il passo successivo è stato identificare gli elementi sui quali volevo lavorare riguardanti l’alimentazione.

Ho pensato di concentrarmi, anche in modo piuttosto ovvio, sulla produzione dei cibi industriali, dai quali mi tengo per quanto possibile a debita distanza quando arriva l’ora di andare a fare la spesa. In particolare desidero richiamare l’attenzione sui modi meccanizzati di produzione e confezionamento, nonché della vendita.

Il cibo industriale è preparato in ambienti rigidamente organizzati, in linee di produzione, dove esso viene cotto, o congelato, a seconda delle esigenze, sterilizzato, pesato e confezionato. A seconda della dimensione dell’impresa i processi e gli spazi possono essere rispettivamente più o meno numerosi, più o meno grandi.

Ci può essere uno stabilimento dedicato alla singola produzione di un biscotto, di una merendina o di un cioccolatino in una grande azienda multinazionale, o un capannone destinato alla produzione di più prodotti dolciari in un contesto di piccole dimensioni.

L’associazione fra produzione alimentare di tipo industriale e preparazione-confezionamento della propaganda mi è venuta spontanea, nel momento in cui ho sentito l’esigenza di fare un lavoro sulle forme manipolatorie che inquinano la comunicazione su più livelli.

Durante la pandemia questo è emerso in modo feroce e il modus operandi prosegue oggi a proposito della guerra in Ucraina, dove gli interessi in gioco sono molteplici e quelli più forti – per chi si occupa di “business” – sono estranei a motivazioni umanitarie, o patriottiche.

 

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