Se si digita sul più usato motore di ricerca – al quale non abbiamo voglia di fare pubblicità – la parola “personaggio” o “personaggi” (anche con l’inglese “character”) compare una folla di creature di fantasia provenienti da cartoni animati a due e a tre dimensioni. Scorrono Barbapapà, Simpson, topi, paperi, anime varie.
Ciò significa quindi che nonostante la parola sia aperta a più significati, l’algoritmo esclude in ogni caso i personaggi teatrali e quelli cinematografici! Per il motore di ricerca “personaggio” risulta essere evidentemente pressoché un sinonimo di “cartoon”.
Ovvero, un’entità bidimensionale a tutti gli effetti. La cosa interessante è che siano esclusi anche i “personaggi famosi” e quelli “storici”, oltre a quelli fittizi creati da drammaturghi e cineasti. I romanzieri in questo caso sono evocati dai personaggi creati da loro ma trasformati in disegni animati.
Questa semplice quanto (per me) sorprendente constatazione e l’idiosincrasia per il termine “personaggio” rilevata in alcuni intervistati del blog, impegnati in differenti campi artistici rivela due problematiche interessanti.
Da una parte si configurano la “cancellazione”, l’ignoranza di un universo di creature immaginifiche create nei secoli dagli scrittori di diversi generi, vaporizzati per decisione di un algoritmo che probabilmente non conosce le sfumature di significato della parola “personaggio” e impone la sua lettura a quanti, a loro volta, soprattutto giovanissimi, non hanno i mezzi per capire questa “censura” a tutti gli effetti.
Da questo punto di vista sarebbe interessante approfondire proprio questo genere di censure alle quali le persone sono esposte senza saperlo, senza pensarci, ogni volta che digitano una parola. Al di là, infatti, degli annunci a pagamento, i motori di ricerca che fungono da monopolizzatori dei sistemi di filtraggio dei dati, circoscrivono in modo del tutto arbitrario, come in questo caso, il significato di un termine, privandolo della sua complessità e della sua visione storica.
Dall’altra l’ostilità verso il termine “personaggio” da parte di artisti di ricerca e di sperimentazione è la conseguenza della fossilizzazione progressiva del teatro di prosa nella sua “media” nazionale, fatta di teatri e programmazioni di provincia, anche nelle sali di alcune grandi città.
Per quanto, nel proseguire le riflessioni sulle parole “critiche”, “fastidiose”, “sospette”, lo stesso termine “teatro”, e l’aggettivo “teatrale” occupano un posto di rilievo in classifica, soprattutto nel mondo dell’arte contemporanea. Non ci si deve nemmeno stupire, posto che in molti casi, registi e scenografi scimmiottano modi, stili, idee degli artisti visivi del presente e del passato, sovente senza averne capito il senso, solo per dare un tocco up to date a opere del “famigerato” repertorio.
La parola “teatro”, un contenitore di mondi diversissimi e opposti che convivono a fatica al suo interno – dalla drammaturgia contemporanea sperimentale, al teatro d’evasione, di puro intrattenimento, al musical, all’opera lirica, alle marionette, al balletto e alla danza in genere – a ben guardare, condivide la stessa sorte della parola “retorica”.
Entrambe sono identificate sovente, dalla maggior parte delle persone con qualche cosa di artificioso, falso, menzognero, un espediente, una trappola incantata in cui catturare l’attenzione di sprovveduti o ingenui.
In realtà, questo deriva da un errore interpretativo alla base: si scambia una parte per il tutto. Si identificano i discorsi artificiosi, falsi, con la retorica tout court, quando in realtà ci si trova in quel caso di fronte a trucchi e mezzi scorretti di manipolazione delle menti altrui.
Si scambia l’enfasi di un oratore trombone (ovvero la malinterpretazione di una parte della Actio – azione inerente alla pronuncia, all’intensità dinamica), o una figurazione eccessiva, ridondante, persino ridicola derivata da una cattiva Elocutio – ovvero alla scelta delle figure retoriche – per la retorica stessa.
E’ insensato credere di “estinguere”, non utilizzare la retorica nella comunicazione, perché volenti o nolenti, consapevolmente, o inconsapevolmente, non possiamo farne a meno, possiamo al più usare parole diverse per indicare le sue componenti, ma la sostanza non cambia.
La scelta di un argomento, la disposizione dei dati da riferire, il modo di organizzare il discorso, rendendolo più o meno interessante per chi lo ascolta, sia in termini di figure, sia di gestualità e uso della voce sono tutti elementi imprescindibili nella comunicazione umana.
Allo stesso modo non è possibile “sfuggire” agli elementi teatrali nella realtà quotidiana, quindi non ha nemmeno molto senso percepire il “teatro” come qualcosa di ostile e minaccioso nei confronti della “spontaneità”.
Dato che quest’ultima non sempre è così “spontanea”, in molti casi si tratta di un’illusione, di un’incosapevole uso di una delle nostre molteplici “maschere”.
Da questo punto di vista la frantumazione dell’individuo in una successione di maschere intercambiabili, la loro deposizione, o il loro uso sono un punto di contatto fra il teatro e la vita reale, fra i personaggi di Pirandello e le analisi del comportamento umano di Goffman (in particolare ne “La vita quotidiana come rappresentazione e in “Frame analysis . L’organizzazione dell’esperienza”).
Ecco che si torna allora da dove siamo partiti, ovvero dal “fastidio” verso il concetto di “personaggio”, inteso come un’entità polverosa, identificata con le immagini da teatro di provincia, di modo routinier di confrontarsi con il palcoscenico, soltanto perché le programmazioni italiane sono basate quasi esclusivamente sul repertorio.
Ora, al suo interno i testi di Pirandello occupano una parte assai rilevante e sovente sono mal allestiti, non certo per colpa dell’autore, ma per la pigrizia mentale di direttori artistici, registi, attori e pubblico.
Di conseguenza si è venuta a creare una pericolosa equazione: Pirandello=ennesimo allestimento stantio. E’ quel che è accaduto a un altro grande drammaturgo italiano, Carlo Goldoni, prima che Strehler e altri registi della sua generazione restituissero una lettura nitida di testi illuministi straordinari.