Il ruolo di chi guarda, o piuttosto di chi partecipa e in generale il ruolo del “pubblico”, è al centro dell’attenzione di Emilio Fantin. Può essere composto da artisti e critici (“Trekking”), o da varie tipologie di addetti ai lavori nell’ambito dell’arte contemporanea, collezionisti, o semplici appassionati di quest’ultima, come i frequentatori di ArtBasel in “Atto di Assenza”.
In ogni caso si tratta di lavori in cui è posta la problematica della fruizione artistica e delle “illusioni” retrostanti alimentati dal sistema socioculturale contemporaneo.
Alcune considerazioni dell’autore, estrapolate da un catalogo relativo a “Pollaio Smeraldi”, un progetto di quasi un ventennio successivo a “Trekking” lo mettono in luce.
Oggi si dice che l’arte dovrebbe essere accessibile a tutti, che non vi sono limiti né al soggetto né ai mezzi espressivi; si fa un gran parlare dell’aspetto sociale, pubblico, dell’arte, che sottende a una sua presunta concezione “democratica”, dove si fa appello alla partecipazione, al coinvolgimento, alla condivisione.
Il confine tra l’artista e il pubblico è osmotico e le opere si manifestano come possibilità materiali, immateriali, analogiche, digitali, virtuali. In questa grande apertura culturale sembrerebbe più facile
intravvedere nuove possibilità di ricerca e individuare un senso nuovo del fare artistico.In verità i modelli sostenuti e divulgati dall’industria culturale sono pensati e prodotti per alimentare una grande illusione che ha come sfondo un olimpo di cartapesta animato da spot mediatici, da frasi fatte, da immagini forzate, dove il rapporto tra artista e opera, tra opera e pubblico si regge su un’ambiguità demagogica, allo stesso modo di come avviene, quando interpretiamo il nostro ruolo quotidiano di consumatori.
Quest’olimpo, popolato da miti e eroi se pur taroccati e ammiccanti, ci seduce nella sua dichiarata falsità.
Nell’ambito di quella che considero una drammaturgia degli spazi aperti naturali e rurali porto l’attenzione su un lavoro di Emilio Fantin, , dedicato al rapporto fra arte e natura: “Pollaio Smeraldi”, realizzato nel parco di Villa Smeraldi a Bologna, nel 2010.
Il luogo del progetto è costituito da un giardino all’inglese creato nella seconda metà del XIX secolo per i Conti Zucchini, posto intorno a un gruppo di edifici fra i quali, oltre la villa padronale, l’abitazione del fattore, la ghiacciaia, la casa dell’ortolano e la porcilaia. Il primo nucleo dell’edificio risale al 1783, come casino o villa di campagna del Conte Giovanni Zambeccari, ampliato nel 1812 e ulteriormente a metà del secolo.
L’edificio versava in cattivo stato a causa degli eventi bellici legati alla Seconda Guerra Mondiale, quindi nel 1970, l’Amministrazione Provinciale di Bologna acquisisce la proprietà con l’intenzione di trasformarla nella sede del Museo della Civiltà Contadina, inaugurato infatti nel 1973.
Emilio Fantin, insieme a un gruppo di giovani artisti (Associazione GA/ER, Giovani Artisti Emilia-Romagna), lavorano fra il settembre e il novembre 2010 attorno al rapporto Arte/Natura proprio in questi luoghi, attraverso laboratori e progetti di ricerca che sfociano nella creazione di un pollaio, costruito con materiali trovati e recuperati sul posto.
L’idea è cercare un’alternativa possibile alle seduzioni e alle manipolazioni della società contemporanea dominata dall’economia capitalista e dal consumismo che tritura illusioni di genuinità, innocenza, naturalezza in un tritacarne generalizzato e mediatico.
Ciò che viene attestato come arte è l’espressione di un’idea tramite una pratica di comunicazione, che gli artisti esercitano attraverso la completa adesione a una “prassi strategica”, nucleo originario del processo d’ideazione.
Una “prassi strategica”che non solo s’innesta nella profondità della condizione interiore e originaria dell’idea ma che certifica e qualifica le opere disegnando un percorso disseminato di luoghi, persone, occasioni imprescindibili a cui esse devono sottostare.In questo scenario le problematiche relative alla rappresentazione e alla funzione dell’arte passano in secondo piano e, per chi intenda l’arte come ricerca e
percorso evolutivo, emerge la necessità di un approccio diverso. Da qui nasce il bisogno di un diverso modo di porsi sia come artista che come pubblico. La mia proposta è di passare dalla progettualità
intesa come “prassi strategica” a un processualità che ponga al centro l’esperienza.
La parola “esperienza” diventa l’antidoto alle mediazioni di plastica e alle imposizioni dell’industria all’organizzazione della nostra vita quotidiana.
“Percorsi Arte – Natura” stabilisce come nucleo del fare artistico, l’esperienza attraverso il rapporto con le cose, la conoscenza diretta tramite il lavoro, l’osservazione, lo studio dei materiali e dell’animale.
Un secondo elemento chiave individuato da Fantin è il “rapporto tra“, al quale è attribuito esplicitamente un valore estetico.
Lavorare in gruppo non ha solo una valenza pedagogica ma esistenziale, filosofica, laddove il soggetto viene inteso come pluralità, come rapporto “tra”. In situazioni di questo tipo, il rapporto con l’altro non si misura solo come chiave per la realizzazione dell’opera, ma anche come valore estetico in sé, per quanto ha di armonico ed efficace. Si deve tenere conto della conoscenza e dell’esperienza degli interlocutori e avere una grande disposizione all’ascolto.
Uno dei punti nodali della ricerca artistica di Fantin è costituito dall’attenzione per la multidisciplinarità e il mutuo scambio fra conoscenze diverse, in particolare, nel caso del “Pollaio Smeraldi”, le competenze e le tecniche agricole e di avicultura possono interagire con quelle artistiche in un proficuo scambio dialettico.
Attraverso la comprensione della realtà Contadina e di come la sua civiltà si sia espressa, nell’approccio al lavoro dei contadini, artisti della terra, si scopre un’idea di armonia che nasce da una giusta sintesi tra esperienze tramandate e attenzione alla situazione presente, tra conoscenza empirica e tradizione orale.
In questo contesto ha avuto grande importanza il riferimento alla biodinamica, scienza dell’agricoltura pervasa da impulsi artistici e fonte di ispirazione.
Un’esperienza che ha alternato momenti teorici e di riflessione su alcuni aspetti dell’arte contemporanea al lavoro sul campo, fatto di fatica, di invenzione, di materiali recuperati in loco, della loro diversa funzione relativamente all’uso che necessitava, di ingegneria semplice, di invenzioni e di sistemi di costruzione.
Nel rapporto tra funzione e armonia, tra conoscenza e creatività’ sta l’importanza di questo modus operandi. Una pratica che intende valorizzare gli aspetti tradizionali e sostanziali della cultura contadina, del rispetto per l’ambiente e dell’amore per la natura.
Si vive così il dialogo tra contemporaneità e passato, tra un‘immaginazione “esplosa” e aperta a nuovi mezzi espressivi e un’immaginazione figlia della necessità, spesso della povertà com’é stata quella espressa dalla cultura contadina, non per questo meno fantasiosa, ingegnosa e bella.
Questo è l’obiettivo del progetto ideato, progettato e realizzato con i partecipanti al Workshop.
Nell’ambito dell’ottica interdisciplinare che contraddistingue il lavoro di Fantin, esplicitamente il rapporto fra arte e altre discipline viene identificato quale elemento vitale per rinnovare la pratica artistica e soprattutto il pubblico, la ricerca di una nuova fruizione:
La possibilità di un confronto tra arte, tecnica e agricoltura, tra esperienze e conoscenze appartenenti ad altre discipline, altri campi; è una grande soddisfazione per me, che da tempo insisto su questo punto, convinto che una delle possibili strade di ricerca artistica contemporanea sia proprio il rapporto tra arte e altre discipline.
(…) cercando di creare un territorio franco dove ci si possa confrontare, definire un linguaggio nuovo, dare vita a dei progetti.È proprio dal rapporto con le altre discipline che asce la possibilità di una nuova proposta, un nuovo ruolo, un nuovo tipo di pubblico.
Il dialogo fra agricoltura e arte, aiuta a trasformare il concetto di “pubblico” in quello di “comunità” e ad aprire territori inesplorati di ricerca:
Nuovi termini linguistici devono essere inventati perché possano esprimere concetti che non sono più identificabili con la sola arte o con la sola agricoltura ma che siano espressione di entrambi, così come l’idea generica di pubblico deve essere sostituita da quella di comunità.
Questo significa tracciare nuovi confini, necessariamente aperti, creare un territorio di ricerca vergine, tale da contenere nuovi concetti e idee provenienti dalle discipline che si pongono in relazione. In questo modo si evitano luoghi comuni, cliché e sterile manierismo.
il progetto si propone di ricreare le basi di nuovi rapporti con la realtà circostante, per contrastare gli effetti collaterali del capitalismo avanzato, in un contesto dove “si è perso il rapporto diretto con le cose e le nostre menti sono portate ineluttabilmente a macerarsi nella ricerca di trucchi, seduzioni e strategie comunicative” e dove “è difficile in tali condizioni intravvedere una possibilità di rapporto diretto con le cose che ci circondano, con gli elementi della natura, la terra, l’acqua, gli animali, il paesaggio, gli odori, le cose, gli attrezzi”.
Lo scambio di tecniche e di pratiche, da un campo all’altro, in particolare in questo esempio fra agricoltura/allevamento e arte permette di creare un’installazione pollaio con galline “felici” di razzolare fra l’erba anziché essere stipate in gabbie affollate, o di poter restare sospese in capanne aeree, megatrespoli che costituiscono un paradiso per questi volatili, fra i più maltrattati dalla specie umana.
Alla ferocia degli allevamenti intensivi l’artista risponde con la creazione di una struttura che probabilmente rappresenta l’abitazione ideale per gli abitanti di un pollaio, con un forte valore aggiunto sul piano estetico.