Nell’affrontare i lavori appartenenti al contesto delle “drammaturgie urbane”, nonché di drammaturgia dello spazio, il concetto di viaggio e quello di esplorazione del territorio hanno un’importanza fondamentale. Si tratta tuttavia di viaggi particolari, perché si effettuano senza prendere Boeing, Frecce, o razzi interplanetari. Sono sufficienti i piedi.
Questi viaggi possono durare alcune ore, una mezza giornata, o una giornata intera, senza valigia, ma in compagnia di una macchina fotografica e/o di un quaderno, nonché con il proprio spirito di osservazione e curiosità per le interazioni umane.
Anziché salire su un aereo per viaggiare in luoghi lontani, con un apporto personale all’inquinamento dell’atmosfera, il mio obiettivo è esplorare gli spazi urbani della città in cui vivo, per conoscere meglio alcune realtà, per osservarle in profondità.
Uno dei miei nuovi progetti (“Quaderni di esplorazione. Zone”) riguarda specificamente questo.
In molte occasioni mi sono diretta lungo la direttrice sud, sud-est e ovest di Milano, in un’area compresa fra Famagosta, la Barona, il quartiere Stadera, via dei Missaglia e il Corvetto, alla ricerca di materiale per future drammaturgie urbane.
La scelta è caduta su di loro perché sono zone che sento più vicine, non solo sul piano della distanza da casa, ma per configurazione e paesaggio.
Si tratta di luoghi che al tramonto, o all’alba assumono un fascino molto particolare, di grande bellezza, grazie al contributo del sole e della luna, soprattutto nella stagione invernale o autunnale, quando si può scorgere il Monte Rosa che sovrasta tutte le altre vette dell’arco alpino.
Anche al centro dei grandi blocchi, sotto ai condomini che proseguono senza soluzione di continuità le dimensioni e il contesto circostante si respira un senso di familiarità, di “casa”, di intrecci vitali.
In questo momento le situazioni di degrado non sono visibili, sembrano pressoché assenti, almeno nelle zone che ho visitato, finora non mi è capitato di vedere luoghi critici.
O quantomeno, non più critici di alcuni punti del centro città, dove si aggirano indisturbati sciami di spacciatori, o orde ubriache di ragazzi sovente privi di punti di riferimento, disorientati.
E’ molto più facile camminare su tappeti di vetri rotti la domenica mattina in Corso di Porta Ticinese che sulle strade alla Barona. E’ un dato di fatto. La riqualificazione dei quartieri è stata sostanziale in questi ultimi anni e si vede. Vent’anni fa non avrei potuto scrivere le stesse cose.
Associo questa idea di esplorazione a quella di vagabondaggio, ma senza smarrire l’orientamento, tutt’altro. E’ difficile perdersi per le strade di Milano.
Mi piace sapere dove mi trovo e che cosa sto vedendo, anche se cerco angolazioni e punti di vista nuovi. Questo è necessario per poter poi trasformare le informazioni raccolte, sovente in modo casuale, in lavori, progetti, idee.
La mia attenzione è attratta qui e là da prospettive inattese, situazioni, eventi a sorpresa, imprevisti che mi restituiscono quelle che sono le caratteristice del luogo, dei suoi abitanti.
Per questo motivo, le mie visite avvengono in periodi diversi della giornata e dell’anno. Un ambiente esterno, o interno, popolato alla domenica pomeriggio può essere completamente deserto il martedì, o viceversa.
Proprio queste variazioni sono determinanti per costruire ed elaborare progetti, capire quel luogo. Così come sono indispensabili per sapere come vivono gli spazi i loro abitanti, come sono questi ultimi , che caratteristiche hanno, quali abiti indossano, soprattutto in senso metaforico, oltre a quello letterale.
A proposito di elementi spaziali interessanti nel contesto della drammaturgia urbana, personalmente sono affascinata dai cavalcavia, così come da tutti quei territori di confine fra campagna e edifici abitativi, dove convivono a pochi metri campi coltivati (risaie, campi di mais, foraggio, a rotazione) e blocchi che ospitano i residenti. Sto pensando in particolare al Parco Sud, nel suo sviluppo (il Ticinello, la zona della Barona tra via Faenza e Famagosta, il parco della Vettabbia).
Mi interessano molto anche le grandi unità abitative, i blocchi, i condomini che creano piccole città nella città, dove si possono osservare i modi di gestire la vita quotidiana, le abitudini dei residenti, i modi con cui giocano i bambini, come le persone interagiscono fra di loro.
Da quello che ho visto finora mi sto facendo l’idea che ci sia molta più integrazione fra femmine e maschi superata la circonvallazione esterna, rispetto a quanto avviene in centro città…ma è ancora un’ipotesi da confermare con ulteriori visite.
Di certo mi è capitato di vedere sovente gruppi di ragazzine e ragazzini giocare insieme a pallacanestro, o a pattinare, ma non ancora di sentire/vedere evidenti discriminazioni che ho visto nell’arco di un solo pomeriggio nel parco di Citylife una domenica pomeriggio dello scorso autunno, o in un sabato pomeriggio al Parco Solari.
I parchi sono, infatti, una delle aree più interessanti da un punto di vista delle drammaturgie urbane, perché sono frequentati da una umanità che si muove con tempi più rilassati, di solito, rispetto a quella che frequenta gli assi viari di collegamento. C’è quindi più tempo per osservare contesti e comportamenti, così come c’è una maggior possibilità di creare situazioni di interazione.
Così come possono esserlo gli androni dei grandi blocchi condominiali frequentati da molti abitanti di tutte le età e di nazioni, culture diverse, in quanto ripropongono su larga scala la situazione di convivenza di un cortile domestico.