Drammaturgie Domestiche. Edoardo Mozzanega. II

Riprendiamo il dialogo con Edoardo Mozzanega parlando ancora di spazio e, in particolare, dell rapporto fra le sue differenti declinazioni, fra “la linea di tensione che divide lo spazio pubblico da quello privato”, specifica il nostro ospite che prosegue:

“È un aspetto che nel realizzare “Neutopica” è emerso in modo  molto chiaro. Neutopica è un progetto che ho ideato e curato a partire dal 2019 e che adesso è in riassetto, in sperimentazione, con forme di curatela espansa coordinata insieme ad altre persone (al momento sono parte del gruppo di lavoro Marta Meroni, Barbara Novati, Lucia Palladino, Flavia Passigli, Alex Piacentini e Chiara Prodi). Con Neutopica andiamo ad abitare con una comunità temporanea di artisti e artiste in case private e troviamo modi di aprire lo spazio domestico al pubblico, alla cittadinanza.

Edoardo Mozzanega Nico demini cu
Nico demini cu, ovvero la casa brucia e il fumo è rosa, 2022 (credit Edoardo Mozzanega)

Ora, le persone talvolta percepiscono l’atto di aprire uno spazio privato come problematico. È una tensione che abbiamo sentito sia quando siamo stati in case dove eravamo molto benvoluti, sia quando l’abbiamo fatto nella casa dei miei nonni dove alcuni membri della mia famiglia hanno reagito malissimo. In particolare, quando è uscito un articolo su un giornale di Vicenza in cui si parlava di questo progetto in termini entusiastici, alcune persone della famiglia si sono infuriate.

Nell’articolo era scritto in modo impreciso – come spesso accade – che il pubblico sarebbe stato invitato ad entrare nella casa. Invece, non era esattamente quello che stavo facendo. C’è stata una piccola distorsione dei fatti, nel riportare la notizia. Di conseguenza, questi parenti si sono molto irritati. L’idea che qualcuno entrasse nella loro casa, anche se ora non ci abitavano più, ma avevano ancora alcune cose in loco, li ha disturbati.

È una reazione talmente personale che va rispettata, ognuno ha la sua sensibilità rispetto al proprio spazio. Però è molto interessante soffermarsi sull’idea secondo la quale ciò che è privato debba essere nascosto. Non è sempre stato così. Tutt’altro.

Il re di Francia non poteva dormire da solo e nella realtà contadina rurale chi aveva la privacy? Nessuno. Si tratta di un concetto borghese ed è esattamente ciò su cui insisto. Sento che quello che facciamo è politico. Non in senso antagonista (se ti senti così, io ti rispetto), ma per indurre le persone a chiedersi quale sia il vero problema. Perché non si può guardare dentro?

Chiudo dicendoti che dopo la presentazione di Nico demi Ni cu a Danae Festival e aver raccontato la storia della famiglia, della casa, in qualche modo un’esposizione di fatti, anche privati, o percepiti come tali, si è verificato un fatto. Mia madre – molto turbata per l’esecuzione di questo mio lavoro – ha sognato di tornare dove c’era la casa e di scoprire che era diventata tutta di vetro, circondata dalla foresta. I sogni è bello tenerli come sono, senza chiuderli in un’interpretazione, però sognare una casa dove ci puoi guardare dentro…ci dice che siamo passati dalla paura di esporsi a una casa fatta di vetro….!”

Domoscape - Propizia è la danza delle piccole cose, 2019 (credit Edoardo Mozzanega)
Domoscape – Propizia è la danza delle piccole cose, 2019 (credit Edoardo Mozzanega)

Chiedo a Edoardo di parlare del progetto Neutopica, inaugurato qualche anno fa a proposito della relazione fra spazio pubblico e spazio privato e nato nella casa dei nonni materni

Edoardo spiega che è cominciata

“Dal desiderio di offrire un invito ad artisti e artiste a coltivare in un luogo domestico sospeso un tempo improduttivo dedicato alla condivisione delle pratiche e a uno spazio di pensiero sull’abitare e sul paesaggio. Durante i giorni che si passano insieme si comincia anche a lavorare su come si gestiscono tutti quei momenti legati al quotidiano: ad esempio che cosa si mangia, come ci si riposa.

Uno dei primi input è stato quello di scegliere di dormire fuori, così che si inneschi una serie di riflessioni, per esempio attorno agli effetti sul corpo: ovvero accedere a un sonno meno profondo, essere esposti ai suoni, ai rumori, alla luce, agli odori, all’umidità, agli animali, agli insetti. Si tratta di una quantità di stimoli dei quali solitamente siamo privati, quindi cambia il nostro modo di essere. Ci cambia.”

Si sofferma quindi per condividere un’altra riflessione:

“Forse perché vengo dal teatro e mi piace molto tutto l’aspetto di vita comunitaria che c’è nelle prove, nei processi creativi, ho osservato le esperienze di compagnie che usano molto i momenti non produttivi del lavoro, per esempio quelli conviviali, come parte della creazione stessa, propongo alle persone di immaginare il permanere nella residenza come una performance diffusa. Perché, ogni volta che fai qualcosa generi una ripercussione, sei performativo, sempre. In questo senso Neutopica, dal mio punto di vista, è una grande performance.

I partecipanti anche se impegnati a fare altro, nel complesso del loro stare insieme, stanno facendo qualcosa al luogo e al modo in cui quel luogo viene percepito dai proprietari del luogo, nonché dai vicini di casa e da tutta la comunità locale.”

Domando a Edoardo se vengono effettuati video, fotografie, o se tutto quello che viene fatto resta invisibile.

“Neutopica” risponde Edoardo

“Da questo punto di vista ha una policy abbastanza rigida: non si fanno video. Abbiamo disposto di documentare solo con foto analogiche così ogni anno abbiamo una fotografa che utilizza la pellicola. Si impone così un limite, dato che il rullino non è infinito.

Naturalmente ognuno riprende le sue cose col cellulare, però, la documentazione ufficiale è affidata, appunto per la maggior parte a strumenti analogici.

Usiamo moltissimo il suono, con registrazioni audio (in questo caso digitali).

Il secondo anno in cui ci siamo occupati di Neutopica questa attitudine l’abbiamo spinta molto a fondo, tant’è che abbiamo realizzato un podcast. In questo momento stiamo ragionando su dove realizzarla l’anno prossimo. La residenza avviene d’estate e la primavera successiva facciamo una restituzione, una mostra, una pubblicazione, insomma, diversi tipi di presentazioni che raccontano l’esperienza, o meglio, che utilizzano quell’esperienza per generare materiale che produca un’altra esperienza.

In questi giorni, per esempio, siamo in dialogo con una realtà romagnola che si chiama “Spazi indecisi”, impegnati in un lavoro di mappatura dei luoghi in Romagna. L’idea è di collaborare l’anno prossimo, per rimanere in una zona abbastanza vicina a quella precedente, infatti l’anno scorso siamo stati nel Casentino, in Toscana, ma vicino all’ Appennino romagnolo.

Domoscape - Propizia è la danza delle piccole cose, 2019 (credit Edoardo Mozzanega)
Domoscape – Propizia è la danza delle piccole cose, 2019 (credit Edoardo Mozzanega)

In generale ci stiamo ponendo la questione di dove andare nell’anno nuovo. Abbiamo diverse opzioni, anche idee folli, per esempio costruire una Neutopica nomade in cui si cammini tutto il tempo, per una decina di giorni, quindi creare una residenza in spostamento.

Altre due idee invece prevedono di progettarla in un luogo scelto insieme. Allo stato attuale, è tutto molto in divenire, perché non avendo un luogo di riferimento ogni anno ci poniamo la questione “Dove si va adesso?”. O c’è qualcuno che per conoscenza ha qualche possibilità, dice che ha un posto – com’è andata finora – oppure si attuano altre strategie.”

PERSONAGGI

Dopo aver avuto alcune delucidazioni del progetto in divenire riguardante Neutopica, proseguo con le domande canoniche e chiedo a Edoardo di dirmi qualche cosa riguardo al concetto di personaggio e in generale che cosa rappresentano, che cosa sono per lui i personaggi. Passano alcuni secondi di silenzio.

Capisco di essere arrivata al momento in cui l’ospite si trova di fronte a un quesito “imbarazzante” per la propria estetica o poetica. Capita quasi sempre che nel corso del dialogo l’intervistato “scopra” le proprie idiosincrasie, o semplicemente, il proprio disinteresse per una delle “voci” in cui si articola il mio questionario. E’ fisiologico, guai se non fosse così. Sto conducendo proprio questa ricerca per fare emergere i punti di frizione che ciascuno di noi ha rispetto a parole “standard” del linguaggio teatrale.

“Sai che non ne ho idea?” riprende dopo un lungo silenzio Edoardo. Lo rassicuro e gli dico che non c’è una risposta giusta o sbagliata, ognuno risponde quello che vuole e che può anche svelare che quella parola non appartenga al suo mondo.

Edoardo, infatti, mi conferma che la questione del personaggio è proprio un aspetto che “non riesce a collocare nel suo orizzonte, nella sua pratica. Preferisce piuttosto la parola “figura”. Precisa:

“Mi interessano, paradossalmente cose più astratte, che non hanno una soggettività, ma una soggettività bidimensionale. A proposito del concetto di “figura”, un altro lavoro che sto facendo riguarda la tigre. Per me la tigre è una figura e la tratto come tale. Non mi interessa darle una soggettività.

Quindi dentro la parola personaggio infiliamoci le due parole paesaggio e figura.”

Dream of a tiger, 2021-2022 (credit Laura Farneti)
Dream of a tiger, 2021-2022 (credit Laura Farneti)

TRAMA-INTRECCIO

Passo alla domanda successiva e chiedo a Edoardo Mozzanega che cosa gli venga in mente se gli propongo le parole  “Trama” e “intreccio.”

“Mi viene in mente Pattern. Ripetizione. Contemplazione. Ripetizione dell’identico che non è mai uguale. Mi viene in mente tappeti, manto. Manto tigrato. Gestalt. Camouflage. Essere qualcosa di diverso da quello che si mostra.”

Dopo questa serie di associazioni, sposto l’attenzione in dettaglio e chiedo come intende i concetti di trama e intreccio rispetto al suo lavoro. Sono importanti?  Come interferiscono?

“Brutalmente prima ti ho risposto in modo provocatorio. Ho capito che stavi riferendoti alla drammaturgia, ma ti ho risposto come se stessi dicendo qualcosa sulla trama e l’ordito.

La risposta consiste in modi completamente diversi e paradossali. Da una parte mi interessano la trama e l’intreccio, come ti dicevo prima, nel senso di ripetizione, significa anche continuare a osservare la stessa cosa nel tempo. Dall’altro lato, sta uscendo sempre di più, quasi mio malgrado un aspetto estremamente narrativo. Di trama narrativa, di storia.

Dream of a tiger, 2021-2022 (credit Laura Farneti)
Dream of a tiger, 2021-2022 (credit Laura Farneti)

Osservo che in questo non c’è niente di male. Edoardo mi risponde che l’aspetto narrativo non è considerato “contemporaneo” e di conseguenza vive questa conflittualità.

“Amore per la trama da un lato e per l’aspetto astratto, quasi mistico riguardante la meditazione. Per questo ti parlavo del tappeto. Del manto, del Pattern. Dall’altro lato mi accorgo che sono uno storyteller. Mi piace raccontare le storie.

Ho avuto la sensazione, grazie all’invito di Alessandra e Attilio al Festival, di aver trovato un’intonazione coerente, con quello che sono io. Era un racconto molto costruito, ma molto naturale. La prima volta in vita mia che qualcosa è avvenuta in modo così naturale.

Ho realizzato altri lavori in cui il racconto era centrale. Uno dei primi si intitolava “Seven dick” e avveniva in un’automobile che tappezzavo di immagini soft porno. Sopra c’era un’insegna ed era pensato per essere fruito da cinque spettatori per volta.

Preparavo un panino per ciascuno di loro e intanto raccontavo, seduto al posto di guida una storiella erotica della mia vita. Tutto era costruito, ma doveva sembrare molto “naturale”. Mi viene in mente questo perché ho sempre avuto questa inclinazione di raccontare. Sta nascendo quindi un filone legato alla trama, intesa come storia, anche nel mio lavoro.”

Edoardo desidera ricordare un altro aspetto legato alla trama, appartenente a un altro filone.

di lavoro, ovvero “tessere trame di storie che assomigliano a sogni a occhi aperti.”

In particolare, precisa:

“Sto inventando e frequentando pratiche, grazie alle quali costruisco un archivio composto da serie di storie. Entro in uno stato in cui genero racconti, un po’ come facevano i Surrealisti. Lo faccio anche col corpo. Di questo tipo di pratiche mi interessa il fatto che generi qualcosa ogni volta che racconti, per quanto si disponga di un’idea, di un percorso, di storie di riferimento.

Non si può imparare a memoria, non è un processo adatto a questo genere di lavori, perché la memoria funziona in modo generativo. Ogni volta che ricordi qualcosa produci quel ricordo. Per questo mi interessano i meccanismi dove hai un arsenale di riferimento, di storie da tessere e ritessere ogni volta.

Dream of a tiger, 2021-2022 (credit Laura Farneti)
Dream of a tiger, 2021-2022 (credit Laura Farneti)

L’aspetto bellissimo è che alla fine non sai più cosa tu ti sia inventato, che cosa tu abbia forzato e che cosa invece sia rimasto del racconto originale. È un aspetto che mi emoziona, poiché la trasmissione delle storie ha funzionato in questo modo in un tempo arcaico, nella cultura orale.”

Edoardo conclude il dialogo con il ribadire il fascino che sente verso il “raccontare una storia” e “produrre una narrazione dove ogni volta non sai come sarà”.

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