Drammaturgie domestiche. Edoardo Mozzanega.

Edoardo Mozzanega ama concentrarsi su progetti  collocabili in una zona di confine fra arti visive e arti performative. Ho conosciuto il suo lavoro grazie all’edizione di Danae Festival 2022, dove il suo “Nico demini cu. La casa brucia e il fumo è rosa” era inserito nella sezione “Laterale” e ho deciso di approfondire il suo percorso progettuale.

Gli rivolgo le domande “canoniche” che riservo a tutti gli intervistati, in modo da avere il materiale per aprire una nuova finestra, una nuova prospettiva da cui osservare e considerare le relazioni che ci legano allo spazio e ai suoi abitanti, filtrate attraverso gli occhi di persone impegnate in ambiti artistici differenti.

La prima domanda che formulo riguarda, non solo la definizione di drammaturgia urbana o di drammaturgie urbane, ma anche quella di “drammaturgia domestica”, posto che la casa rappresenta una parte rilevante nella produzione di Edoardo. 

 

Edoardo Mozzanega: Ricettario/Neutopica 2022

Drammaturgia Urbana

EM: “Mi viene in mente un fatto. Quando eravamo rinchiusi a causa del Covid, a un certo punto con una mia amica e collega – Flavia Passigli, con la quale avremmo dovuto fare una residenza in Belgio, ma a causa della pandemia siamo stati costretti a rinunciare – abbiamo cominciato a fare un gioco.

Ci siamo iniziati a mandare delle sound walk da fare. Io uscivo per le vie di Milano, mi perdevo e sulla base di questi vagabondaggi costruivo una storia che Flavia però potesse attivare nonostante fosse in un altro luogo. Per esempio, se io arrivavo a trovarmi in un posto elevato, se mi arrampicavo su una montagnetta, le chiedevo di trovare un luogo posto in alto dove salire e poi le facevo ascoltare un paesaggio sonoro registrato nella mia esperienza.

Ci interessava proprio questa sovrapposizione di due esperienze lontane, in relazione alla sensazione o al concetto chiave: cercare un posto proibito, o un luogo dove sentirsi a proprio agio. Oppure allo scoperto.

Mi viene in mente questo, perché secondo me prima di tutto c’è l’esperienza. Ho la netta sensazione che sia fondamentale. E’ una struttura elementare delle cose.

Noi incontriamo l’esperienza che ci arriva e solo dopo costruiamo una narrazione da condividere con una comunità, con un amico.

Lo spazio non può esistere senza esperienza e quindi senza un perdersi, senza un non sapere, senza un non capire. Allo stesso tempo, l’esperienza esiste nel momento in cui hai la necessità di mettere ordine, per riferirla a qualcuno.

Edoardo Mozzanega: Neutopica
Edoardo Mozzanega:Nico demini cu, ovvero la casa brucia e il fumo è rosa, 2022 (credit: Edoardo Mozzanega)

Quando hai questa necessità i pezzi si ricompongono in maniera naturale, come avviene nel momento in cui racconti una storia: non pensi a come raccontarla, a come concatenare i vari eventi. Il racconto esce, fluisce perché tu hai la necessità di farlo capire.

Certo, se tu acquisisci strumenti teatrali, lavori con la musica, o con gli aspetti attorali disponi di uno strumento tecnico meno quotidiano. In ogni caso, dal mio punto di vista il principio resta questo.”

Drammaturgia domestica

Spostiamo l’attenzione verso l’interno e andiamo a scoprire che cosa suggerisce a Edoardo il concetto di “drammaturgia domestica”

“La drammaturgia domestica, secondo me è invece una cosa molto più interna, molto “dentro”.

Penso abbia più a che fare con la vita, con la storia della vita di ognuno di noi e che in qualche modo si costruisce continuamente attorno a un nucleo-casa.

Esiste sempre un luogo a cui si fa ritorno, un luogo in cui ci si riposa, in cui ci si sente bene e che è la controparte del “fuori”. Un luogo veramente molto interiore, molto individuale.

Edoardo Mozzanega: Nico demini cu
Nico demini cu, ovvero la casa brucia e il fumo è rosa, 2022 (credit Edoardo Mozzanega)

Dico questo perchè, al momento, la cosa che mi interessa più di tutte, è che grazie a questo lavoro per Danae Festival (“Nico demini cu. La casa brucia e il fumo è rosa.”), molte persone sono venute a condividere le loro esperienze di luoghi domestici.

Mi appassionano tutte queste storie perché – quando qualcuno me ne porta una, mi parla di luoghi, case – rivela un’ossessione. Una casa quasi tutti ce l’hanno o anche a volte più d’una. C’è questa ossessione per la casa, perché è un nucleo che ti fa chiedere “Dove sei?” “Che cosa è stata?”

La casa contiene una gran parte di storia, di affetti che hanno plasmato il tuo carattere, la tua vita, il tuo bagaglio. Quando ti parlo di quel luogo ti parlo di tutto un viaggio e quindi per me è una drammaturgia di vita.

SPAZIO

Proseguiamo il nostro discorso e dedichiamo una parte importante del dialogo alle riflessioni intorno allo spazio. Chiedo a Edoardo di dirmi che cos’è per lui lo spazio, come si rapporti con lo spazio, come lavori con il medesimo, che importanza gli riservi ne suo lavoro. In poche parole, lo invito a dirmi tutto quello che lo spazio evoca nei suoi pensieri rispetto alla sua produzione, ai suoi progetti.

Edoardo Mozzanega: Domoscape
Domoscape – Propizia è la danza delle piccole cose, 2019 (credit Edoardo Mozzanega)

“Nel mio lavoro e nello specifico rispetto alla casa dei miei nonni, nelle diverse ramificazioni dei lavori che ho sviluppato lì, per me lo spazio è prima di tutto qualcosa rispetto al quale mi metto in ascolto.

Non ho un’idea geometrica dello spazio, ma oracolare. Ho la sensazione che, se introduco un’informazione nello spazio, lo spazio risponde. E ogni spazio risponde diversamente.

Allora introdurre un’informazione certe volte come ci insegna la fisica quantistica significa, banalmente, osservare. Se io osservo qualcuno, uno spazio, un luogo già lo sto trasformando. Così per me tutto inizia dall’osservazione e dall’ascolto, certe forme di osservazione non passano dagli occhi.

Questa è una fase fondamentale, perché è una fase in cui ci si annoia. Non accade nulla. Il tempo passa. Ma il fatto che il tempo passi, lascia che l’esperienza – tornando al discorso di prima – si cominci a inspessire e a un certo punto, qualcosa accade.

Ma non sai più se accade nei tuoi occhi, o nella cosa che guardi. Non importa. Decisamente questa è la prima connotazione che do alla questione dello spazio.”

Nel parlare dei suoi lavori in riferimento allo spazio Edoardo cita Domoscape, una videoinstallazione su sei canali video e quattro canali audio della durata di un’ora realizzata nel 2019 presso Standards (Milano).

Si tratta di un’indagine su un paesaggio domestico, ovvero la casa dei nonni materni di Edoardo, rimasta abbandonata per molti anni e che egli ha iniziato a osservare.

“Ho cominciato a frequentare questo luogo e il fatto di frequentarlo con delle domande mettendomi in ascolto è stato il punto di inizio. Nello specifico Domoscape si incentra su un luogo che io osservavo come uno spazio.

Quello che facevo era andare in giro con la mia videocamera e osservare lo spazio. Quindi ho cominciato a trovare  angolature, pattern, dettagli, a osservare il modo con cui la luce trasforma gli spazi della casa, le finestre.

Edoardo Mozzanega: Domoscape
Edoardo Mozzanega: Domoscape – Propizia è la danza delle piccole cose, 2019 (credit Edoardo Mozzanega)

Mi era venuta l’ossessione di filmare le finestre da dentro, con il panorama che si osserva. Per due motivi: perché doppiava quello che facevo. Con la videocamera io creo un frame, seleziono quello che guardo, quello che escludo. La finestra fa esattamente questo. Continuamente ti offre una cornice di contemplazione. Quindi il modo con cui le finestre di una casa sono collocate genera il caleidoscopio della tua contemplazione.

Il secondo motivo era legato alla lettura del saggio “I luoghi e la polvere” di Roberto Peregalli dove l’autore parla delle finestre e dice che sono come gli occhi.

Siccome secondo la tradizione gli occhi sono lo specchio dell’anima, egli fa questo paragone fra le facciate delle case e i volti delle persone. Questo mi ha fatto fare un ulteriore “salto”, tenendo conto che quando andavo in questa casa la trattavo come un essere vivente.

O meglio, non facevo la minima distinzione gerarchica tra oggetti, cose, persone, viventi.

Si comincia a relazionarsi con la casa come un luogo, come se fosse una relazione con un’altra entità con cui dialoghi. Cioè, non è un involucro in cui tu stai e “ti fai i fatti tuoi”. È veramente un’entità. Parlo qui di una specie di animismo. Per cui attribuisco un’anima, una soggettività, per quanto non umana a un luogo. Quindi frequentare gli spazi della casa equivale ad addentrarmi in una conversazione con una persona.”

Provo a sondare se Edoardo ha qualche altro esempio da aggiungere riguardo il modo con cui si pone nei confronti dello spazio nei suoi lavori.

“Mi viene in mente una cosa a cui ho lavorato per un po’, non l’ho mai mostrato a nessuno, ma te ne parlo. Per qualche anno ho fatto questo esercizio con Laura Bianco che era la mia ragazza con cui ci siamo lasciati. Questo esercizio si chiamava “How we learn to say Goodbye?”

L’esercizio consisteva nel darci appuntamento in un luogo della città. Il primo che arrivava stava immobile e l’altro si metteva di fronte a una certa distanza – venti, trenta metri – e camminavamo, il più lento possibile, uno verso l’altro, finché ci incontravamo. Camminavamo fino alla posizione di partenza dell’altro, ci voltavamo e ce ne andavamo.

Edoardo Mozzanega: How we learn to say goodbay
How we learn to say good bye, 2017 (credit Laura Bianco, Edoardo Mozzanega)

Questa azione è stata compiuta da noi un bel po’ di volte. L’abbiamo anche filmata e documentata con le macchine fotografiche a lunghissima esposizione. Utilizzavamo un’esposizione che durava tanto quanto la camminata – circa quattro ore – e la macchina fotografica riprendeva, quindi, solo ciò che era immobile.

In quel caso la questione riguarda due aspetti. Lo spazio metaforico dove noi generavamo una linea, una dinamica nello spazio, puramente rituale. Stava per qualcos’altro.

L’altro aspetto riguardava  il rapporto con lo spazio pubblico. È interessante notare che – quando ti comporti nello spazio pubblico – in un modo anche molto innocuo e sottile, metti in discussione la disciplina, i codici.

Questo crea subito attriti. La gente e anche la polizia, veniva a dirci di andarcene, di  smetterla, oppure che non eravamo “autorizzati a fare queste cose.”, solo perché noi stavamo camminando piano. Questo esercizio l’abbiamo fatto in Piazza Affari.”

A questo punto – osservo io – abbiamo scoperto che c’è una velocità standard a cui noi dobbiamo camminare, una velocità di crociera prevista dalle “istituzioni” e che se non la rispetti le persone si ribellano.

“Prova andare in metropolitana e camminare lenta ma intendo veramente lenta – mi dice Edoardo -Estenuante. Dopo due o tre ore che lo fai, può succedere che qualcuno sia turbato. A noi è  successo.”

Sono curiosa di sapere quale risposta abbiano dato.

“Facevamo l’esercizio”- riprende Edoardo – “una delle regole era che noi non rispondevamo. Anche perché non stavamo facendo niente di illegale. Nessuno poteva dire niente. Oppure, banalmente, rispondevamo che stavamo solo camminando. E loro erano confusi.”

Penso che valga la pena di riprendere questo progetto molto interessante e lo dico a Edoardo.

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