Spazi critici e spazi del dubbio.

Lo spazio è la sede in cui avvengono tutte le nostre relazioni, quelle interpersonali e quelle con tutte le altre specie e dimensioni. Lo spazio ci accoglie, accoglie le nostre vite, si modella attraverso le nostre azioni e ci modella.

Possiamo pensare a uno spazio “astratto”, ma nella realtà quotidiana viviamo immersi in un mondo tridimenisonale, ci confrontiamo con luoghi concreti, problematiche complesse e funzioni che li caratterizzano. Viviamo in spazi pubblici e privati, in luoghi aperti o spazi chiusi e ristretti, a seconda dei contesti, delle situazioni. Nello spazio e negli spazi prendono forma e si mostrano i rapporti fra le persone: compresi quelli di potere e di autorità.

Nell’occuparmi di drammaturgia a vari livelli, sia teorici, sia pratici, attraverso libri, articoli,  progetti teatrali e di drammaturgia degli spazi, la mia attenzione si concentra e si è concentrata attorno alle relazioni di potere, alle censure latenti ancor più di quelle manifeste, sulle contraddizioni e sui conflitti della società contemporanea, come ho avuto modo di scrivere in altre occasioni.

Da questo punto di vista, tuttavia, mi interessa occuparmi anche delle situazioni nelle quali lo spazio diventa un luogo metaforico e in apparenza virtuale dove avvengono operazioni manipolatorie. Penso in particolare allo spazio dell’informazione. Uno spazio “vuoto” da riempire di notizie.

Lo spazio  della comunicazione.

Drammaturgie Urbane, progetti e pensieri di Sonia Arienta

Lo spazio della comunicazione riguarda più spazi, mondi diversissimi, o almeno dovrebbe riguardare questo, Riguarda le nostre vite, una parte della formazione delle idee di quello che capita attorno a noi. E’ tutt’altro che una dimensione virtuale, nonostante passi sempre più attraverso piccoli schermi portatili.

Fra le possibilità di lavoro della drammaturgia degli spazi può rientrare anche questo “luogo” particolare da trasformare in metafora. Soprattutto in un periodo in cui, basta aprire un giornale per constatare come la monotonia regni sovrana, dove persino i titoli pubblicati su testate diverse – in apparenza rivali – sono molto simili. A volte identici.
Segno della contrazione, del collasso dello spazio riservato all’informazione vera, condannata a uno spazio talmente rattrappito da essere ormai scomparso.

La contrazione dello spazio dedicato all’informazione di qualità

Le persone che si occupano di cultura e di ricerca lo sanno, l’hanno capito da tempo, da molto tempo. Ovvero, da quando sono state estromesse. Le recensioni di saggi, mostre, spettacoli di sperimentazione sono scomparse, interi settori di attività di alte competenze umanistiche e artistiche sono deliberatamente ignorati.

Gli spazi in questo caso sono stati progressivamente rimpiccioliti, ridotti, tagliati fino a farli scomparire pressoché del tutto dalle testate principali. In questo spazio abbandonato, vuoto gli addetti ai lavori sono stati scacciati ma non possono nemmeno “ribellarsi”. Sono nella maggior parte sotto ricatto.  Si lamentano fra di loro, si indignano, magari condividono le loro irritazioni con alcuni giornalisti più anziani, presso i quali trovano anche appoggio,  ma che purtroppo sono altrettanto impotenti, estromessi dalle decisioni ai vertici delle redazioni.

Tutti tacciono pubblicamente, nessuno scende in piazza a manifestare contro questo tipo di censura preventiva per non compromettere anche quel minimo di eventuale visibilità. In compenso sono nati altri spazi, moltissimi spazi di grande interesse in rete. Spazi indipendenti, condotti in prima persona da ricercatori e artisti che lasciano tracce per compiere percorsi di aggiornamento molto interessanti, sia attraverso articoli scientifici, sia attraverso blog. Ciò avviene a livello planetario, non è un problema solo italiano, evidentemente, anche se qui è particolarmente percepibile.

Potrebbe essere arrivato il momento di occuparsi seriamente di questo problema che oltre a riguardare gli addetti ai lavori riguarda per prima cosa il pubblico, al quale vengono sottratte informazioni importanti e costretto a restare in un angolo sempre più stretto. Per uno spettatore infatti, per un non addetto ai lavori diventa difficile districarsi tra le diverse informazioni immesse in rete e l’assenza di informazioni “certificate” dalla stampa ufficiale.

La figura del lettore medio che si riscostruisce attraverso le scelte delle notizie elaborate dalle direzioni dei giornali, diretta espressione della volontà della proprietà, è sostanzialmente quella di un ignorante, disattento, distratto. In sostanza il lettore medio prospettato nelle redazioni ha i tratti di un “non-lettore”, di un “non fruitore” di prodotti culturali di alcun genere.

La giustificazione dell’esclusione di certi articoli (ovvero recensioni a libri, spettacoli e altri prodotti culturali di qualità) è sempre la stessa: al lettore non interessano queste notizie. Peccato che il pubblico che arriva per strade traverse a fruire questi lavori “esclusi” si mostri interessato e lamenti di non essere stato informato dai giornali….

Questo è di per sé un evidente paradosso, una contraddizione in termini. Di per sè rivela la cattiva coscienza di chi crea questo genere di condizione manipolatoria.

Quando uso i termini censura e manipolazione non penso alle operazioni scoperte/dichiarate di “protezione” della morale pubblica in auge in Italia contro pièce teatrali e film, atti grotteschi, dove la pruderie cattolica si coniugava alla cattiva coscienza borghese e ai sensi di colpa, in un circolo vizioso.

Non penso nemmeno alle censure dettate dalla cosiddetta “ragion di Stato” che ha coperto atti indegni, vergognosi, leggi depistaggi di Stato (dalla strage di Ustica, alle collusioni tra uomini delle isituzioni e delinquenza, categoria nella quale rientrano le diverse sottospecie di mafia, con le loro “varianti” regionali).

Penso invece alla attuale e più pericolosa censura imposta dagli interessi finanziari di aziene multinazionali e finanziarie, dalla loro capacità di corruzione delle menti, di intorpidimento dei cervelli, ai quali si perviene con numerosi mezzi, strumenti, dispositivi, fra i quali i mass media. Manipolazioni ovviamente subdole in quanto tali, perché agiscono su persone incapaci di riconoscerle, fiduciose delle notizie lette o ascoltate.

In un mondo guidato dalle multinazionali, anziché dai governi eletti in modo democratico dai cittadini, pochi hanno capito, o intuito che si desidera fare vivere le persone immerse in una pubblicità no stop, in funzione ventiquattr’ore su ventiquattro. Non sono più i programmi ad essere interrotti dagli spot, è la realtà stessa ad essere trasformata in una réclame perpetua. Viviamo dentro a un se pubblicitario, dove gli individui, le loro esistenze sono state trasformate in merce da comprare a prezzi sempre più stracciati.

Da questo punto di vista i cosiddetti “influencer”, letteralmente influenzatori/trici, nello spazio di un “a me gli occhi” compiono azioni persuasive degni della loro essenza di “maghi della comunicazione”, o piuttosto della manipolazione, attraverso illusioni e luoghi comuni, controfigura fashion e aggiornata dei venditori di pentole in onda su microreti televisive a tarda notte anni Ottanta e Novanta.

Il sedicente-seducente spazio virtuale

Fra i vari spazi occupati dall’informazione il web è diventato ormai quello principale, quello ancora in possibile espansione. Lo spazio virtuale dell’informazione oltre a contenere moltissimi siti interessanti deve confrontarsi anche con le paludi inquinate delle manipolazioni, grottesche o sottili, a seconda dei casi.

La specie umana è “sociale”, ma i “social” in quanto prodotti virtuali usati e progettati per creare profitto, anziché per potenziare davvero la capacità umana di relazione, rubano lo spazio e il tempo, spengono le relazioni reali.

Strumenti potenzialmente molto utili e interessanti, nella maggior parte dei casi sono usati invece per manipolare le menti, quelle dei minori compresi, per scopi commerciali e politici. Almeno sulle sigarette – nonostante lo Stato stesso guadagni su ciò che censura – appaiono ipocritamente avvisi sulla nocività del contenuto, così avviene anche nel settore giochi d’azzardo.

“A me gli occhi e compra tutto quello che vogliamo vendere”. Soprattutto quello che non serve o è nocivo. L’importante è arraffare, la cupidigia è senza freni per sua stessa caratteristica. Manca di lungimiranza, è composta di stupidità autoreferenziale propria delle multinazionali esentasse.

L’inerzia, il torpore mentale, gli automatismi, il crogiolamento nelle certezze e nelle abitudini, negli schemi di pensiero cristallizzati sono i principali ingredienti della manipolazione di massa.

Fino alla prima metà del XX secolo, nel mondo occidentale, le menti si ottundevano e cristallizzavano a causa della religione (cristiana, cattolica in particolare nel caso italiano). Nella fase attuale di capitalismo finanziario avanzato, gli schemi mentali si cristallizzano attraverso il corto circuito provocato dai continui stimoli verso merci, servizi, situazioni da desiderare e da comprare, prodotti usa e getta.

Le persone hanno perso lo status di cittadini e sono diventati clienti, consumatori, acquirenti rinchiusi in un ipermercato planetario aperto ventiquatt’ore su ventiquattro. Come ci si relaziona con questa negazione dello spazio della comunicazione e dell’informazione, come lo si ricostruisce?

Se il ruolo di chi lavora con la collettività è quello di sollecitare la formulazione di domande critiche, di favorire la presa di coscienza per una lettura indipendente e autonoma della realtà, per un confronto dialettico rispetto al mondo – può essere utile fare un passo di lato, rifiutare il più possibile le logiche di comportamento imposte daggli uffici marketing globali.

Chi determina le nostre abitudini? Chi decide quali oggetti e dispositivi usare? Una scelta personale o quella delle multinazionali? Quanto è grave la collusione degli individui con il sistema? Quanto ciascuno di noi è colluso con il sistema? Quanto lo sostiene o lo depotenzia attraverso le sue scelte e lo stile di vita?

Chi decide che una persona che vive con un reddito basso lo debba impiegare per cambiare un aggeggio chiamato smartphone venduto a cifre spropositate, spacciato come status symbol per poveri-ricchi? Perché le persone si sentono sicure di sé, integrate solo se chattano con uno strumento che li sta rendendo sempre più alienati, indifferenti a quanto avviene davvero loro intorno?

Molte persone, per esempio, hanno  maturato un rapporto di totale dipendenza dai dispositivi elettronici e nessuno se ne preoccupa. Anzi si continua a stimolarla con il beneplacito del ministero della Pubblica Istruzione, in modo che anche i bambini crescano completamente frastornati.

La ribellione è possibile e parte da ognuno di noi. Come nei ricatti mafiosi, basta avere il coraggio di compiere altre scelte. Smettere di pagare il pizzo. Ogni persona in un mondo che considera ogni individuo un potenziale acquirente, può diventare un “nemico” del sistema. Basta compiere uno scarto. In quest’ottica, la mia parte personale la faccio rifiutando di acquistare quello che mi si vuole imporre di acquistare.

In particolare alcuni oggetti simbolo: lo smartphone, l’automobile, i cibi industriali, i vestiti prodotti da grandi catene, o da marchi che non assicurano certi parametri. Si vive molto bene, anzi probabilmente meglio. Senza alcuno sforzo.

Il problema di fondo è una cattiva interpretazione del concetto di “comodità”. Ci viene continuamente comunicato in modo palese o subliminale che tutto debba essere comodo, facile, “già fatto”, già pronto, masticato, tritato. Tutto deve essere ottenuto con il minimo sforzo, secondo la logica ferrea del capitalismo, perchè non si può perdere tempo (dato che è denaro). SI tratta di uno dei modi della persuasione: la tentazione, o in alcuni casi la seduzione.

Ma è davvero comodo perdere tempo a scriversi anziché parlarsi? Avere sempre una barriera luminosa artificiale davanti agli occhi anziché la luce del giorno e paesaggi naturali? E’ così divertente stare su un sedile perenne e illudersi di essere andati in montagna solo perché ci si è spostati in auto da una città a una funivia?

 

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