Nei successivi tre Atti/Azioni del progetto Vuoti d’erba i visitatori interagiscono con me. Sono chiamati a compiere azioni servendosi dei disegni e delle installazioni in mostra. Si arriva infatti, a questo punto a un secondo nodo posto dal consumo del suolo: la distruzione di opere uniche realizzate nei secoli dalla natura, con o senza l’intervento dell’uomo.
Ho pensato che fosse importante ricreare in modo controllato, regolato e consapevole un’azione che rimandasse e rievocasse l’atto di distruggere porzioni di territorio. Ovvero di cancellare qualche cosa di unico, o quanto meno, un risultato ottenuto nel tempo e con fatica dalla natura.
Il consumo del suolo e la distruzione di un disegno hanno una qualche affinità. L’idea è quella di distruggere in modo “controllato” qualche ora di lavoro e di creatività, un piccolo prodotto irripetibile, che in qualche modo rievochi l’irripetibilità vera della situazione naturale quando viene distrutto in modo irreversibile…
Ho incentrato il secondo Atto/Azione – intitolato “Cheques Exchange” – sul concetto di scambio. Uno scambio asimmetrico. Il visitatore può scegliere fra uno dei disegni che compongono quattro distinti blocchetti, come quelli degli appunti. Rappresentano quattro tipologie di suolo diverse: orti, giardini, boschi e prati, pascoli. Una volta scelto un disegno chiedo alla persona di farlo a piccoli pezzi e a mettere i pezzi in un piatto fondo bianco.
In cambio può scegliere se portare con sé una fotocopia in bianco e nero di un disegno rappresentante un parcheggio, un deposito di merci, un appartamento, uno svincolo autostradale, o un rametto vero, incenerito durante un vero incendio doloso sul monte Zuccone, avvenuto lo scorso inverno in Valtaleggio.
In sostanza lo scambio consiste nella distruzione di un disegno che evoca un terreno permeabile, naturale o modificato dalla mano umana, in cambio di qualche cosa di grigio, inerte, morto. Una volta raccolti nel piatto I frammenti saranno in seguito trasferiti in una teca di vetro.
Solo una piccola parte del disegno resta integra, come le matrici degli assegni. Ogni foglio è infatti staccabile sul lato più corto, vicino alla rilegatura. Traccia della sua presenza prima della distruzione.
Lavorare a un progetto incentrato sul suolo comporta considerare anche le caratteristiche costitutive più rilevanti del medesimo, per esempio la “stratificazione” di cui è composto, ovvero i livelli che si sovrappongono sotto ai nostri piedi.
In questo contesto, appare immediatamente assai rilevante un aspetto, di grande valore: la presenza delle radici che costituiscono una fitta rete di relazioni e di sostegni, ancora una volta, reali e metaforici (come testimoniano le frasi “Essere radicati”, “Avere i piedi per terra”). Oltre a chiedersi di che cosa ci nutriremo, ci si potrebbe quindi domandare, dove poggiano i piedi se il suolo è consumato.
La terza parte di Vuoti d’erba intitolata “Che cosa c’è sotto” è incentrata sull’azione dello strappare, del lacerare. L’Installazione è composta da tipi differenti di carta della misura di 2mx1m, misura corrispondente al consumo del suolo in Italia al secondo nel 2020, appoggiata su sale da cucina.
In questo lavoro multistrato ciascun livello corrisponde un differente trattamento tecnico, ed è invitato alla raccolta, oltre all’atto della lacerazione. Il pubblico è infatti invitato a portare a casa un pezzo di “suolo” simbolico da ciascuno degli strati, eccetto la base di sale su cui essi giaciono.
Il primo strato, sul quale poggia l’installazione e che sarà scoperto completamente solo alla fine della fruizione dell’installazione è costituito da due metri quadri di sale fine da cucina. Il secondo strato rappresenta le radici ed è costituito da un sistema ad incastro di piccoli quadrati in carta da pacco marrone di dieci cm di lato.
Il terzo livello coincide con un grande foglio da tempera sul quale è dipinto uno sfondo verde che rimanda all’idea di “prato”. Lo sovrasta un foglio di carta da lucido sul quale è disegnata la mappa catastale del piccolo villaggio di Fraggio, una delle frazioni di Sottochiesa, sede di pascoli.
L’ultimo strato infine – il primo che incontra il visitatore – è composto da fogli e cartoncini dipinti con diverse sfumature di verde, appoggiati sul lucido, in ordine sparso e sovrapposti fra loro a formare una copertura degli strati sottostanti. Esso allude alla copertura arborea primigenia, alla grande foresta che ricopriva la pianura padana prima degli interventi dell’uomo.
I visitatori in questo caso prelevano, strappano, tolgono e portano via i singoli strati dell’installazione fino a scoprire del tutto il sale. Al contempo hanno la possibilità di scegliere come impiegare i diversi “pezzi” raccolti.
Possono ricomporli in un collage e appenderlo alla parete, oppure conservarlo riposto da qualche parte della casa, o infine, metterlo al macero. Ogni singolo elemento è firmato così che abbia un riconoscimento formale che gli assegna un’identità.
Vuoti d’erba è costituito da una parte “decostruttiva” (pars destruens) e una “ricostruttiva” (pars construens). I primi tre atti/azioni rappresentano la parte critica, distruttiva, provocatoria, da concludere con un ultimo atto/azione “ricostruttiva”, riparatrice.
In questo caso, ho pensato di creare un’installazione frutto di un lavoro partecipato, con l’aiuto di alcune persone del posto, eseguito a maglia. Questa installazione è composta da una serie di piccoli riquadri di dieci centimetri per lato, realizzati con filati di diversa composizione.
I colori scelti sono quelli di un prato, dal verde acido al beige, al giallo, al verde scuro. A questi quadrati, ne ho aggiunti altri realizzati da me con un filo di fortuna trovato sul posto, a Sottochiesa, quello bianco per gli arrosti, intrecciato con erbe e fiori del luogo, raccolti in luoghi e altezze diverse, dal centro del paese ai pascoli.
In questo caso le misure rimandano ai dati riferiti ai suoli recuperati dopo l’impermeabilizzazione, nel 2020: un metro e ottanta centimetri al secondo, pro capite. A differenza delle installazioni degli Atti precedenti, la forma di questa è variabile e instabile, determinata dai visitatori stessi, invitati di cambiare disposizione dei quadrati che la compongono, se lo desiderano.
Inoltre è loro richiesto di scrivere su un biglietto una parola che gli suggerisce il concetto di suolo e lasciarlo appuntato con uno spillo su un quadrato a scelta, così da ricoprire in parte il manufatto con una pacciamatura di biglietti.
La soluzione è un puzzle pubblico, in cui ogni persona può muovere uno o più pezzi e disporli in modo che, a suo parere, “migliora” l’insieme. Inoltre è invitata a scrivere una parola che sente adatta a giustapporre al concetto di “suolo”.
Inoltre nel tempo, si possono unire altri quadrati, come un organismo in crescita, nella speranza che il suolo recuperato e reso di nuovo permeabile sia sempre più esteso…