Alcune riflessioni di drammaturgia urbana e di drammaturgia degli spazi

Il concetto di drammaturgia urbana, o meglio ancora di drammaturgie urbane e quello più ampio di drammaturgia dello spazio presuppongono un’esplorazione che affianchi, oltrepassi, o rifiuti, a seconda dei casi, luoghi e abitudini di fruizione delle opere, visive e performative, situazioni codificate e regolate dalle istituzioni culturali, pubbliche e private.

Sonia Arienta. Fotografia della periferia sud di Milano. Edifici della Barona visti dal Parco Sud
La Barona vista dal Parco Sud. Fotografia di Sonia Arienta

Una ricerca di misurazione diretta dello spazio, di confronto non mediato, o mediato il meno possibile. Da una parte ci sono le grandi strutture costruite per raccogliere collezioni di arte contemporanea o spettacoli teatrali, dall’altra proposte che mettono al centro dell’attenzione lo spazio urbano ( o un’altra tipologia di spazio abitato) in dialogo con singoli progetti.

Le prime possono essere percepite come elementi di conflitto, vissuti con fastidio, o, al contrario, con interesse nelle loro specificità da parte degli artisti e dei fruitori.

Anche alcune gallerie hanno cercato di adeguarsi al progressivo interesse di osservare e abitare in modo diverso i luoghi, spostare la funzione d’uso dei luoghi, creare incroci fra destinazione d’uso, luoghi deputati, riscrittura delle funzioni di uno spazio.

Una naturale conseguenza del processo in atto da ormai più di cinquant’anni, riguardante molta parte della ricerca artistica, sia nel campo delle arti visive, sia in quello delle arti performative e che mostra in modo evidente insofferenza verso i tentativi di “ingabbiare” in un luogo (il museo, o il teatro) un’opera da “contemplare”, guardare da vicino/lontano in modo del tutto asimmetrico sul piano gerarchico.

Drammaturgia comprende la scrittura di dialoghi, l’inventare o il rielaborare personaggi, storie, vere o fittizie, (più frequentemente un misto di entrambi). Ciò significa anche in senso più lato creare i presupposti per dialogare fra persone, o far dialogare persone e spazi, o ancora costruire interazioni fra autore del progetto, abitanti e spazio. Costruzioni di opere dove la collettività dà un apporto, spunti, materiali di base da filtrare e si lavoro con l’immaginario collettivo.

Baite in Valgrande. Foto di Sonia Arienta
Baite stagionali in Valgrande, temporaneamente disabitate. Fotografia di Sonia Arienta

Si possono scoprire nodi, problematiche, modi di porsi delle persone nel mondo, confrontarsi con opinioni, sentimenti molto diversi. Vedere la realtà attraverso molteplici occhi in una prospettiva frantumata e ricomposta.

Un drammaturgo può occuparsi di scrivere dialoghi fra un numero variabile di personaggi, coinvolti in una storia, in uno sviluppo che può o meno seguire una struttura con alcuni nodi “fissi” (esordio, momenti di complicazione, rivelazione, scioglimento). Dove i personaggi sono ispirati a fatti accaduti, o fittizi. Un drammaturgo può pensare di scrivere insieme ai personaggi-persone che abitano uno spazio vero, concreto, fatto di un certo numero di problematiche.

Si possono raccogliere ed elaborare materiali, dati “bruti”, o più raffinati forniti dalle persone coinvolte/contattate durante i singoli progetti, richiesti in un certo contesto urbano, rurale, montano, o più in generale di spazio abitato, per poi impiegarli per produrre un lavoro basato su un apporto della collettività, al contempo mediato dall’autore. Quest’ultimo in quanto professionista, si spera sia dotato di “occhio clinico” nel ricomporre il tutto in un’opera che è al contempo un unicum, il frutto di un progetto di una persona e il lavoro di una comunità.

La drammaturgia degli spazi riguarda oltre allo spazio in sé, anche chi lo abita, a qualunque specie appartenga, di qualunque sostanza sia fatto. Un personaggio che si interfaccia, si relaziona con il luogo che lo accoglie. Uno spazio disabitato è uno spazio “senza” la presenza di abitanti. È uno spazio in assenza di qualcuno. Un qualcuno che può arrivare.

Carroponte, Parco delle Memorie industriali, Milano. Foto di Sonia Arienta
Parco delle Memorie Industriali, Milano. Dettaglio del carroponte. Fotografia di Sonia Arienta

Studiare uno spazio vero, autentico, abitato, fatto di persone che lo vivono, necessità, problemi, relazioni, nodi, incroci, abitudini, ripensamenti, mettere in luce i luoghi come sono, comporta assumersi responabilità intellettuali ed etiche per proporre alle persone progetti che abbiano la possibilità e la capacità di suscitare domande, curiosità, interesse per la realtà in cui vivono immerse.

Sottintende inoltre un altro elemento essenziale: l’abbattimento di confini e di barriere architettoniche divisorie fra campi artistici contigui, eliminazione di sospetti e diffidenze fra chi proviene da un campo “esterno” all’arte visiva “pura”. Troppo spesso capita di leggere articoli su riviste specializzate, o saggi accademici nei quali si usa l’aggettivo “teatrale” per marchiare in modo negativo progetti di visual art.

Questo naturalmente non significa che la parola in sé possa anche essere usata per classificare qualcosa di effettivamente “finto”, ma che sia il riflesso di un atteggiamento prevenuto alla base di molti operatori di arte contemporanea.

D’altra parte è vero che moltissimi lavori visibili sui palcoscenici sono sovente meri prodotti di routine, senza alcuna traccia di attività di ricerca, di consapevolezza verso una ridiscussione e un aggiornamento di codici applicati a uno spazio già di per sé più che consunto, il teatro all’italiana e, in generale, la sala teatrale in sé.

Parco del Ticinello, cascina in decadenza
Cascina in abbandono, al confine con il Parco Sud-Ticinello. Fotografia di Sonia Arienta

Si tratta infatti di spazi che risalgono al tardo-rinascimento e ai primi anni del Seicento, pensati per una società feudale, per un contesto storico, economico e sociale profondamente diversi dai nostri. Sembra quindi piuttosto stringente un radicale ripensamento dell’intero sistema produttivo teatrale, se si desidera non solo che sopravviva, o vivacchi, ma che sappia parlare in modo forte e chiaro, in modo contemporaneo alle persone “vive”.

 

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