Maria Paola Zedda. Spazio e intersezionalità. II

Le riflessioni attorno allo spazio costituiscono un punto molto importante nella sequenza di domande che proponiamo ai nostri ospiti-interlocutori.

In questo articolo proseguiamo il dialogo con Maria Paola Zedda e riprendiamo a parlare di Spazio.

SPAZIO

Un altro esempio di uso degli spazi urbani, e non solo, è quello esperito da Maria Paola in occasione di “Cagliari Capitale italiana della Cultura”, manifestazione che ha codiretto nel 2015 per quanto riguarda il settore dell’arte pubblica.

Cagliari. Dettaglio del quartiere Castello, centro storico
Cagliari. Quartiere Castello. Centro Storico.

“Il tema dei vuoti urbani è fortemente impattante nella città: le strutture del paesaggio e della sua urbanistica creano spaccature, forme di coercizione nelle dinamiche dell’abitare, esasperando  le disuguaglianze sociali e la creazione di ghetti e confini fisici e sociali.”

Lo spazio è stato la linea guida secondo la quale la curatrice nostra ospite ha strutturato il progetto artistico con le sue articolazioni interne.

Diventa un luogo di costruzione e di pensiero, oltre che di coesistenza, di coabitazione, di trasformazione delle dinamiche, di evocazione per lo sguardo.

Cagliari. Quartiere Sant'Elia
Cagliari. Quartiere Sant’Elia.

“Cagliari Capitale della Cultura 2015 é stato un percorso che ho realizzato insieme al Comune di Cagliari, in dialogo con l’assessorato alla Cultura allora guidato da Enrica Puggioni e ai Musei Civici.

In tale contesto, mi occupavo della parte di arte pubblica, performance, partecipazione, per usare un termine semplificatorio del lavoro certosino di tessitura delle relazioni tra artisti, associazioni, spazi,  territori.

Abbiamo lavorato secondo assi e percorsi differenti, con mostre e residenze artistiche di tipo produttivo, per  ripartire dai territori e ripensare lo spazio della città.

CI siamo impegnati non tanto a livello di grandi allestimenti e di opere permanenti, quanto nella costruzione di contesti di relazione e partecipazione. Ci sono stati momenti performativi, ma anche la costruzione di un forno pubblico.

Attorno a ogni tema si costruiva una sorta di grande maglia tentacolare che connetteva i diversi aspetti delle tematiche messe in campo.

Un percorso di trame. Il nostro punto di riferimento era stato Maria Lai che era stata recentemente scoperta in quegli anni e a cui era stata dedicata appunto la mostra Maria Lai. Cucire il Mondo.”

Maria Paola mette in rilievo il fatto che il confine come metodo è stato uno dei temi portanti, perché “questi vuoti urbani sono anche confini e ci si chiede come ripensarli in forme attraversabili, come spazi dove si ridefiniscono le norme nelle diverse realtà isolate.”

In particolare intende “I confini della sperimentazione, dell’arte, della coesistenza, non linee fisse e nette ma zone di attraversamento  dove si rinegoziano i rapporti.”

Chiedo di farmi qualche esempio di lavori confluiti in questo progetto di riqualificazione urbana e territoriale in genere. Mi parla di un sound artist.

Mike Cooper - Flirting with flamingos
Cagliari Capitale della Cultura 2015. il sound desgner Mike Cooper: “Flirting with flamingos”.

“Mike Cooper ha lavorato pensando al Parco Regionale di Molentargius, un’area dove è presente una grande salina che separa in modo netto un quartiere molto popolare da quartieri molto borghesi.

E’ rappresentativa di quella che è stato un esempio di convivenza forte di paesaggio migratorio, questa zona è abitata dai fenicotteri, chiamati genti arrubia, il popolo rosso.

Si tratta di un lavoro simbolico sul paesaggio nel quale sono confluiti field recording, registrazioni ambientali realizzate collaborativamente con i ragazzi del Conservatorio.

Il lavoro ha indagato e restituito i suoni che non sono più solo naturali, ma fortemente urbanizzati, e che riportano acusticamente un mondo complesso, dove coabitano mondi, specie, dimensioni.

Parco naturale di Molentargius. Cagliari. Sardegna
Parco di Molentargius. Cagliari.

In questo caso, la cattura dei suoni è un atto di ascolto, compiuto con un avvicinamento progressivo, costante, ecologico e politico, in grado di decolonizzare e de-esotizzare il nostro sguardo e il nostro orecchio.

Queste passeggiate – a invito pubblico, oltre che aperte agli studenti del Conservatorio – sono diventate un’opera, un disco, un concerto realizzato al centro della parte storica in un antico teatro bombardato nella Seconda Guerra Mondiale.

Tutto ciò ha creato una nuova migrazione tra i percorsi dei suoni di quello spazio e il cuore simbolico della città, rappresentato dal quartiere di Castello, tradizionalmente luogo del potere e dell’aristocrazia cittadina.”

Come secondo esempio Maria Paola Zedda descrive il progetto dei Future Farmers realizzato al Lazzaretto di Sant’Elia “un quartiere di pescatori, con una grave problematica di urbanistica degli anni Settanta, caratterizzato dalla presenza di casermoni di cemento.

Questa edilizia popolare, brutalista, fatiscente e violenta , attua con una linea di demarcazione violenta rispetto al landmark del mare e al paesaggio intorno, fatto di scogliere calcaree, arenaria, ampie aperture ma anche di zone militari, in parte abbandonate.”

Il gruppo è costituito da artisti e creativi internazionali, attivi in campi diversi (artisti, designer, architetti, antropologi, scrittori, coltivatori), provenienti da diversi contesti (Stati Uniti, Norvegia, Belgio).

Sono interessati a ripensare l’abitare e il paesaggio, e a riscoprire pratiche di agricoltura attraverso progetti di arte partecipata e alla sperimentazione di tecniche e linguaggi differenti, con l’intento di “destabilizzare la logica della certezza”, come dichiarano nella presentazione del loro sito.

Questo gruppo composito è stato chiamato “per lavorare sul tema della panificazione pubblica di pani tradizionali. Siamo partiti dalla costruzione di un forno pubblico, grazie a un piccolo spazio culturale, Il Lazzaretto, epicentro di questa azione.

I Future Farmers hanno lavorato con gruppi di architetti, di designer, di cittadini, con le persone del quartiere al progetto “Seed Journey”. Gli artisti hanno potuto conoscere le tradizioni locali, che si stanno recuperando e che fanno parte di un patrimonio culturale immateriale importante e molto sentito.

Futures Farmers, Seeds Journey, al quartiere di SAnt'Elia. Cagliari
Cagliari. Capitale della Cultura 2015. Future Farmers: Journey Seeds. Lazzaretto di Sant’Elia.

L’espediente narrativo è stata la costruzione del forno pubblico, accompagnata da azioni performativi, parate, e da una festa. Il forno è stato portato, acceso con un rito collettivo, si sono attraversati gli spazi di Sant’Elia, un ghetto urbano, ma anche i paesi delle produzioni caratteristiche del pane dove si sono studiate le differenti qualità di semi e panificazione.

L’evento conclusivo è stata la messa in opera del forno in uno spazio pubblico, in una coralità grandiosa.

Future Farmers Journey Seeds, Lazzaretto di SAnt'Elia. Cagliari
Future Farmers: “Journey seeds”. Cagliari capitale della Cultura 2015

Si è trattata di una grande festa costruita grazie a due mesi di lavoro in cui piccole azioni hanno scatenato nuove azioni. Dai laboratori di terra cruda, fino a imparare l’arte di panificare.

E’ diventato una sorta di rito, di riappropriazione di simboli, di segni e anche di riscritture di una speranza. Si tratta, infatti, di un luogo dove la permeabilità non è per niente scontata. Questa costruzione puntuale del progetto in fasi consequenziali ha riequilibrato un ecosistema urbano.”

Un terzo lavoro citato fra gli esempi dell’esperienza vissuta da Maria Paola Zedda in occasione della direzione artistica di “Cagliari Capitale Italiana della Cultura” è Désert di Leonardo Delogu, azione di sei ore, con una quarantina di performer, 500 pecore, cani.

Leonardo Delogu Désert
Leonardo Delogu: Désert. Cagliari Capitale della Cultura 2015

Ha coinvolto due città, in una trama immensa, è stato un atto di drammaturgia del paesaggio, molto esteso. Si tratta di un lavoro site-specific incentrato sul tema del deserto come spazio di attraversamento, dell’abitare, dell’accamparsi, trovare una dimensione diversa, anche del pensare una performance.

L’idea era di lavorare sulla dimensione di emigrazione.

Il deserto è stato l’elemento simbolico che ha richiamato emigrazioni molto antiche, sia climatiche, sia legate a matrici culturali e ha indotto a riflettere sullo stato di cittadinanza, di rifugiato e di paesaggio come percorso di transizione.

Nel senso che il paesaggio è attraversato ed è elemento che “attraversa”. L’idea di lavorare su estreme lontananze e su momenti di intimità, come la condivisione del cibo finale, abbiamo creato questo percorso migratorio far le due città di Cagliari e Sarroch.

Quest’ultima, posta a sud di Cagliari, ha vissuto una forte frattura dal punto di vista paesaggistico, a causa della presenza di una raffineria. Questo paesaggio pieno di complessità era anche meraviglioso, abbiamo “abitato” la cava, con montagne di sabbia, visivamente molto evocative.

Abbiamo vissuto questo spazio di attraversamento con il pubblico, per sei ore, lasciando che lo spazio venisse percorso dagli animali, dagli abitanti, da pastori che conducevano le pecore.

Leonardo Delogu: Désert.
Leonardo Delogu: “Désert”. Cagliari capitale della Cultura 2015.

C’è stata una coreografia degli animali, anche attraverso i loro versi, articolati in modo spontaneo, hanno creato un nuovo movimento. Il percorso è stato compiuto anche dai migranti, dai performer che avevano lavorato con noi in quei giorni.

La parte visiva è stata realizzata da Studio Azzurro, che ha realizzato la parte video finale proiettata sulle pareti della cava e il video di documentazione, e Alessandro Olla che si è occupato del sound design legati alla spazializzazione del suono nella cava.

Un lavoro molto imponente e allo stesso tempo delicato, un’opera epica che raccontava l’emigrazione contemporanea attarverso un atto di astrazione interessantissimo.”

Un aspetto degno di nota è la reazione delle singole persone intervistate nei confronti delle specifiche “parole chiave” della griglia che sottoponiamo loro.

Evidenziano idiosincrasie personali, amori folli, accensioni improvvise all’evocazione di una problematica o a un aspetto particolare.

In questo caso, Maria Paola Zedda alla nostra richiesta di confrontarsi con la parola “personaggi”, abbiamo riscontrato un sostanziale disinteresse, in quanto la sua linea di ricerca è focalizzata piuttosto sull’idea di “personalità”.

PERSONAGGI

Raccogliamo le sue riflessioni al riguardo. “Lavorando nel contesto della drammaturgia urbana quel che si mette in atto sono soprattutto emersioni di personalità, calcolando che lo spazio ha in sé una sua personalità ed è quello che si fa agire.

Tendo ad astrarre e a far emergere personalità, che sono caratteristiche simboliche, non necessariamente legate al soggetto, ma a una singolarità più ampia.

C’è la specificità di uno spazio, di un contesto, di un carattere. Questo senz’altro emerge, ma il lavoro sul personaggio è qualcosa che non ho mai affrontato.”

TRAME

“Sono narrazioni, ma per me sono tessuti. La vedo proprio dal punto di vista materico. All’interno di questa materia esistono i pieni, i vuoti, i punti di rottura, i nodi.

"Le alleanze dei corpi". Migrant school of body.
“Le alleanze dei corpi”. Migrant school of bodies. Milano. Foto di Mirella de Bernardis

Un percorso più visivo, legato al  tessuto urbano e a una scrittura narrativa a posteriori, alimentata da questo atto certosino, del cucire, del tessere, dello stendere reti, trame, intrecci.”

In questo contesto di intersezioni e tessuti rientra anche il tema della cura come pratica artistica in relazione alla città metropolitana di Milano.

In questo caso Maria Paola Zedda si riferisce al progetto “Le Alleanze dei Corpi” e si chiede “Come immaginare la cura quale rito, spazio di creazione, in una città che è profondamente inscritta nel segno della iper-produzione, capitalistica ma anche culturale.”

“La cura è uno spazio di liberazione, già individuato dal femminismo radicale come luogo fondamentale dove le donne in particolare attivano competenze e saperi spesso non riconosciuti e invisibilizzati: è uno spazio di empowerment e di liberazione condiviso.

Performance al Parco Trotter Milano per il progetto "Le alleanze dei corpi"
“Le alleanze dei corpi”. Performance al parco Trotter. Milano. Foto Sara Bramani

Milano è fondata sul fare, sul produrre, sul mettere in campo la sua meravigliosa vis dinamica. Però dimentica di generare il contesto della sosta, dello stare, del prendersi lo spazio, ripensare il corpo, ripensare quali sono le dinamiche di relazione.

Porre la cura come centro di una riscrittura della città è, quindi, un fortissimo impegno. L’ambizione del nostro progetto è far emergere gli artisti che lavorano su questo, come questione fondante del nostro abitare oggi. Anche rispetto alle politiche culturali.

C’è un’iperproduzione culturale che massacra il sistema, nelle arti performative in particolare. E nella fase di riapertura questa modalità sembra addirittura amplificata. Essa tende a non lasciare spazio per il pensiero, uno spazio generativo, che passa attraverso il contatto e il corpo.

Re-immaginare una riscrittura della città diversa, per me è l’atto che mi ha sostenuta in questo progetto. Inoltre c’è la questione dell’invisibilizzazione dei corpi, in quanto gli artisti sono senza la loro casa, senza il loro spazio di azione, il loro contesto.

Mentre gli abitanti si sono mossi, l’artista oggi è sottratto al suo status. Oggi il nostro obiettivo è anche quello di restituire una visibilità all’operare dell’arte, al ruolo fondamentale che ha in questa trasposizione fra individuo e spazio pubblico.”

Da questo punto di vista, Maria Paola intende riferirsi anche alla “problematica di collocazione della produzione “border-line” di chi produce lavori per gli spazi pubblici”.

A suo parere “la drammatizzazione (intesa come tensione drammatica) dell’immagine e dello spazio è una delle grandi qualità di questo tipo di incontro fra le discipline, che permette di creare una dinamica nella costruzione e nella fruizione di un’opera.”

Di sicuro nell’affrontare l’analisi dei progetti e delle modalità di lavoro della totalità delle persone finora intervistate sono emersi due elementi.

Il primo è la forte problematicità nei rapporti con il sistema organizzativo e istituzionale preposto alla gestione della vita culturale italiana. Il secondo è la diffidenza nei confronti del teatro, inteso come luogo deputato ad allestimenti tradizionali, più che a spazio aperto anche alla ricerca.

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