Nell’affrontare un lavoro di drammaturgia montana ci si confronta con problematiche e aspetti molto diversi rispetto a quelle che possono emergere nel contesto urbano. Innanzitutto occorre entrare in relazione con gli abitanti, restii, almeno in una fase iniziale, al contatto con “forestieri.”
Arrivati sul luogo si deve mettere in conto che ci vuole tempo, un tempo fisiologico, durante il quale si prova a instaurare i primi momenti di scambio, i primi dialoghi, a volte anche solo un saluto, ricambiato, o pronunciato per primi, non appena ci si incontra per strade dove le macchine di solito sono bandite. I paesi in cui mi interessa lavorare, al momento, sono contrassegnati da mulattiere, o vicoli lastricati di sassi ed erbe, molto stretti, impervi, tortuosi.
Questo tempo di adattamento reciproco è variabile, imprevedibile, cambia a seconda del contesto e dalla presenza, o meno, di persone che possono fare da tramiti, per presentarmi agli abitanti.
Senza qualcuno che aiuti dall’interno a rompere il ghiaccio, il tempo per creare contatti può allungarsi.
Se in città è facile interagire con i passanti perché il flusso di traffico è notevole, – sebbene occorra comunque tenere conto di orari, giorni della settimana, per scegliere i momenti migliori – in piccoli paesi di montagna, estranei ai percorsi turistici più conosciuti, è importante individuare i luoghi adatti agli incontri.
Si può trattare di spazi di aggregazione, punti di riferimento per la comunità locale dove presentarsi e parlare con gli abitanti: ristoranti, trattorie, bar, se sono presenti, piazzette, sagrati, slarghi o, in alcuni casi, parcheggi, in quanto punto di arrivo e partenza.
In questa fase primitiva di approccio, ci si deve aspettare di attirare diffidenza, o anche aperta, dichiarata ostilità. Sentimenti nutriti verso chi viene da fuori, soprattutto dalla città e in particolare da Milano (anche se questo dipende molto dalla regione in cui si opera). Si tratta di un’ostilità, tutto sommato, comprensibile ed è importante quindi evitare di forzare gli approcci, o prendersela sul piano personale.
A questo proposito è interessante capire come si viene percepiti, con quali occhi, da che punto di vista e per quali motivi. Così come è fondamentale lasciarsi leggere, studiare, accettare di essere osservati anche con sospetto.
Si tratta di una reazione neppure troppo strana: chi sceglie di abitare in un luogo di per sé “remoto” segue e persegue obiettivi diversi, ha una visione del mondo molto probabilmente differente anche sul piano della percezione dei rapporti fra il proprio sé e lo spazio, da chi vive nella convivenza stretta e forzata con centinaia di migliaia di individui, in uno spazio cementificato.
Il rapporto fra ambiente, territorio e psicologia individuale è un elemento prioritario da considerare per evitare di raccogliere, o restare intrappolati in pregiudizi, malintesi, attegiamenti prevenuti.
Gli abitanti delle città non si devono considerare “superiori” rispetto a chi sceglie di stare in una dimensione diversa. Così come non si devono sentire in colpa se preferiscono abitare in zone inquinate e densamente popolate, anziché in ambienti naturali.
Ognuno ha il un suo punto di vista “lecito” nel rapportarsi con la dimensione naturale, gli spazi abitati.
La vita a stretto contatto con la natura non è sempre piacevole, in ogni caso, presenta problematche differenti rispetto a quella cittadina. La vera questione da evidenziare è il rapporto fra individui e spazi, ambienti, l’idea di territorio e di territorialità, nonché quello rispetto ai concetti di identità, radici, origini, legami e tradizioni familiari.
Tutti elementi che si possono utilizzare in vario modo nella costruzione di un progetto drammaturgico basato sulle relazioni con lo spazio.
Le due categorie di abitanti (cittadini e montani) esprimono bisogni, emozioni, relazioni differenti nei rapporti con il mondo circostante e con se stessi, con la propria psiche. Mi pare poco rispettoso quindi insistere nel coinvolgere le persone che mostrano poca inclinazione a partecipare al progetto.
Per quanto, è al contempo fisiologico incontrare persone più timide e riservate che, incoraggiate, possono unirsi poi volentieri al gruppo di “lavoratori” e “collaboratori”. Sono quindi le situazioni a suggerire quando si può continuare e riprendere i dialoghi con gli abitanti.
Sul piano drammaturgico, ritengo molto stimolanti questo insieme di problematiche. L’indagine delle reazioni, delle motivazioni, degli schemi di comportamento delle persone rispetto ai loro ambienti, nel momento in cui questi ultimi siano assai diversificati, costituisce la base e la spinta, il nucleo di questi lavori.
Grazie agli interventi condotti con il coinvolgimento della popolazione, inglobata a poco a poco, senza offendersi per defezioni, rifiuti a collaborare, ma come parte del lavoro, si possono raccogliere informazioni da tradurre in progetti di drammaturgia montana, espressi in forme diverse, con linguaggi differenti.
Nel caso di Nidi. Fluidi pensato in questo momento per Topolò e dintorni (in particolare le frazioni più vicine del comune di Grimacco: Clodig, Seuza), ho agito e raccolto materiale in un luogo per me del tutto nuovo, con la collaborazione degli abitanti con i quali sono entrata progressivamente in contatto.
La mediazione di alcuni di loro mi ha permesso di muovermi più rapidamente, velocizzare i tempi con cui entrare in contatto con il resto dei membri della comunità, anche se al contempo ho coltivato canali che mi sono “aperta” da sola, parlando con alcune persone che sono andata a “cercare” nei luoghi dove immaginavo di trovarle….Ho, infatti, iniziato a frequentare i posti dove queste ultime hanno la possibilità di sostare. Sono così entrata in diretto contatto con loro.
Un progetto di drammaturgia montana, inoltre, per me che vengo da un contesto urbano, comporta anche un’esplorazione a largo raggio del territorio, soprattutto come in questo caso la zona è per ignota, per individuare, riconoscere capire ciò di cui parlano gli abitanti, collocare in modo spazio-temporale le loro testiimonianze, le loro riflessioni, i loro contributi in genere.
Questo ha implicato così lunghe camminate verso i punti nodali per gli abitanti, quelli che per loro rappresentano la geografia locale, i principali confini della loro “zona”.