Riprendiamo il dialogo con Vera Pravda, in residenza all’Archivio di ViaFarini e ci concentriamo su aspetti legati alla “narrazione” e alla teatralità, applicati e applicabili anche in ambito delle arti visive.
Nell’ambito delle domande canoniche che rivolgo agli intervistati, proseguo il confronto con Vera, con la richiesta di parlarmi del
Concetto di personaggio
V: “Vera Pravda è un nome d’arte, è un personaggio nato con l’idea di mantenere la privacy e di dare centralità all’opera d’arte, anziché all’autorǝ.
Per anni ho lavorato così, ma nel 2018, affrontando nella mia ricerca temi legati all’ambiente, mi hanno chiesto di eseguire un live painting con pitture che riducono l’inquinamento nel quartiere di Brera durante il Salone del Mobile, sarebbe stato impossibile non comparire.
Ho soppesato a lungo le mie motivazioni all’anonimato da un lato, la maggiore forza del messaggio ecologico con la la presenza fisica dell’artista dall’altro. Dopo un’attenta valutazione, ho deciso di fare coming out, scegliendo però la via di azioni artistiche pubbliche, relazionali, partecipate.
Mi potresti parlare con il tuo rapporto con il pubblico?
V Quando ho deciso di fare coming-out l’ho fatto con l’idea di spostare il baricentro del mio lavoro su opere partecipate, frutto del coinvolgimento e del confronto con altre persone.
Una pratica che porto avanti chiedendo parole, frasi, oggetti, azioni alle persone che coinvolgo.
Quando si dipinge in pubblico le persone si fermano, domandano, parlano: è più facile affrontare i temi ambientali, che sono scomodi e che spesso vengono ignorati, rimossi.
Per darti un solo dato, secondo l’Agenzia Europea per l’Ambiente nel 2019 l’inquinamento atmosferico ha causato in Europa 307.000 morti premature:
Penso che il nodo della questione sia l’assenza di consapevolezza. Molte delle problematiche secondo me – e questo è un punto centrale del mio lavoro – nascono dalla mancanza di cognizione del nostro effetto sulle altre persone e in generale sull’ambiente e sugli ecosistemi.”
Dal mio punto di vista, credo che possiamo chiamarla sordità, sono anni che se ne parla ovunque, su ogni genere di media….
V: “Penso sia più complesso di così. I miei lavori si basano sulla non colpevolizzazione e sull’aumento della consapevolezza, con una presa di coscienza attiva.
Nessuno di noi può puntare il dito contro altre persone: tuttǝ ad esempio usiamo plastica e, volenti o nolenti, sosteniamo la produzione di CO2, usando mezzi di trasporto o prodotti industriali, dai vestiti che abbiamo indosso al cibo che consumiamo.
Le percentuali individuali con cui inquiniamo possono essere diverse, ma allo stato attuale delle cose è pressoché impossibile non inquinare.
Penso che occorra un ripensamento più profondo del nostro agire all’interno del contesto sociale, uno spostamento di paradigma – anche tecnologico – valutando sul nascere gli aspetti legati alla sostenibilità di azioni e produzioni.
Questo è un processo già in corso, pensiamo ad esempio agli SDGs dell’Agenda 2030 dell’ONU (2), ma che va sostenuto, sviluppato e fatto proprio. Essendo noi dentro al sistema, ogni nostra azione muta il sistema.
La serie Inter nos (2021) è basata sull’interdipendenza e sul rispecchiamento reciproco. Chiedo alle persone la frase “tu sei me” nelle lingue e nei dialetti che conoscono, e poi utilizzo queste frasi in varie opere, sovrapponendole ad immagini di animali, vegetali, paesaggi, o attraverso specchi alle immagini delle persone che guardano l’opera.
L’opera è un’indagine visiva sul concetto di ‘noi’, dal ‘royal we’ del plurale maiestatis a un gruppo di persone sempre più ampio, sino a ricomprendere l’umanità intera.
Ma il ‘noi’ non si ferma qui, può estendersi agli animali, alle piante, ai luoghi in cui viviamo: dove finisce l’‘io’ e inizia il ‘noi’? quanto è ampio nello spazio/tempo? E in che parte incidiamo e siamo responsabili di questo ‘noi’?
È importante notare che non ci sia un solo modo di tradurre questa frase, ci sono sfumature e modi di parlare differenti. Non cerco il dato grammaticale corretto, né il dato scientifico, cerco una riflessione, un coinvolgimento.
Oltre a una presa di coscienza, lavoro sulla dissonanza cognitiva, sul fatto che quando riconosciamo una parte di noi nell’altrǝ è più difficile ignorarla.
La serie è iniziata come una riflessione sul linguaggio, in occasione della mostra collettiva Atlas: mappe e visioni dal Mediterraneo, curata da Claudia Zanfi in Viafarini, per poi affinarsi e aprirsi alla parte visiva durante NAHR, residenza artistica curata da Ilaria Mazzoleni e la cui presidentessa è Gabi Scardi.
La serie è proseguita a Falìa, residenza artistica curata da Alice Vangelisti e ancora nella mostra Mappae allo spazio Giacomo dell’Accademia Carrara di Bergamo, insieme a Roberto Picchi e Maddalena Granziera.
Si è poi ibridata con progetto per il SUA2021 (vedi sopra) e ha partecipato al progetto collettivo L’Erbario in viaggio, curato sempre da Claudia Zanfi, sviluppato nelle Stazioni di Milano Porta Garibaldi, Mantova, Modena e all’Orto Botanico di Modena, rispettivamente durante la Design Week, il FestivaLetteratura e il FestivalFilosofia del 2021.
Ho inoltre portato il progetto a ‘Arte ed emergenze ambientali, azioni artistiche a confronto’, moderato da Beatrice Oleari e a Walk-in Studio 2021 in Archivio Viafarini DOCVA.”
Nel progetto /Confini/ (3) – in collaborazione con Viafarini e Gli Stati Generali – creato durante il lockdown, ho richiesto attraverso varie call video, libri, immagini, interviste che riportassero riflessioni sui confini.
Il progetto ha riscontrato una partecipazione ampia e inaspettata – puoi visitare la pagina instagram @confiniartproject – e ha collaborato con diverse realtà, partecipando ad esempio a #dilloinquindicisecondi per I luoghi del Contemporaneo del Mibact e all’VIII Convegno Nazionale SIAA, Società Italiana di Antropologia Applicata.”
Chiedo ora a Vera Pravda di parlare
del concetto di intreccio o trama
V: “Penso al tessuto, un materiale che utilizzo spesso nelle mie opere, sia perché costituisce le tele alla base dei dipinti, sia perché nei miei lavori spesso compaiono banner e arazzi in vari materiali.
Penso anche a un nuovo lavoro che sto realizzando proprio in questi giorni, Il colore di fondo, che sarà presentato a breve e sarà costituito proprio da bandiere.
In pittura il ‘colore di fondo’ è quello che dà il tono al quadro. Le tecniche sono varie: dall’imprimitura colorata, alla scelta accurata dei pigmenti e delle gamme cromatiche, fino alle velature finali.
Queste tecniche creano sapientemente e in modo non direttamente percettibile una base cromatica che rende la materia pittorica unitaria, e che aiuta i tratti ad emergere o a confondersi, a seconda dell’intenzione dell’artista.
Di fatto il ‘colore di fondo’ è l’universo cromatico all’interno del quale avviene il fatto pittorico e in cui l’artista si muove. Qual è il colore di fondo della società in cui sono immersa?
Per scoprirlo ho analizzato per 28 giorni le immagini del primo quotidiano nazionale on-line registrando quantitativamente il dato visivo, costituito prevalentemente da immagini di persone, polarizzate secondo il genere.
Ho scelto quindi di restituire questo dato attraverso una gamma cromatica: dal segno blu per ogni immagine di maschio a uno rosa per ogni femmina, come nelle tradizionali rappresentazioni eteronormate.
Ho usato il bianco come colore neutro, che comprende tutte le frequenze, per le immagini non riconducibili alla dinamica di cui sopra.
Anche qui è importante sottolineare che non si tratta di una ricerca scientifica, ma artistica, volta alla creazione di un orizzonte di pensiero che porta alla realizzazione di opere.
Al termine del lavoro, ho riportato i risultati su due bandiere: una con i dati registrati nell’ordine di apparizione delle immagini, una con i dati aggregati per colore.
Se nella prima il colore di fondo è più difficilmente intuibile, nella seconda le percentuali risultano più chiare, indicando ciò che secondo me può rappresentare il “colore di fondo”, esperito da me e da altri milioni di persone, durante il tempo dell’indagine.
Di fatto una parte rappresentativa dell’ “universo pittorico” in cui, volenti o nolenti, ci muoviamo e ci pensiamo.”
Chiedo a Vera quali sono i testi di riferimento, quelli che ritiene fondanti nella sua formazione e mi lascia questi suggerimenti:
- Donna Haraway, Manifesto cyborg. Donne, tecnologie e biopolitiche del corpo, di Liana Borghi, introduzione di R. Braidotti, Milano, Feltrinelli, 1995
- Rosi Braidotti, Soggetto nomade: Femminismo e crisi della modernità, a cura di Anna Maria Crispino, it. Tina D’Agostini, Donzelli, Roma, 1995.
- Donna Haraway, Chthulucene: sopravvivere su un pianeta infetto, di Clara Ciccioni e e Claudia Durastanti, Roma, NERO, 2019.