La funzione primaria del semaforo, almeno per quel che concerne il codice della strada, è quella di regolare il flusso del traffico in situazioni di conflitto, in una società che deve andare di corsa.
Il primo semaforo è comparso nel 1914 a Cleveland (USA), esportato in Europa nel 1922, a Parigi. In Italia la prima città a dotarsene è stata Milano, nel 1925, per regolare l’incrocio fra Piazza Duomo, Via Orefici e Via Torino. Si trattava in questi casi di semafori che si occupavano di veicoli, più che di pedoni. Solo all’inizio degli anni ’60, a Berlino est, è stato introdotto uno specifico riservato all’attraversamento a piedi.
Tempo e spazio
Lavorare sul concetto di attraversamento a tempo determinato significa riflettere oltre che sui concetti e le implicazioni legate all’azione in sé del passaggio, del transitare da una sponda all’altra, sullo spazio, anche sul tempo. In questo senso si può provare a pensare ad altre attività simili, o al contrario, a quali siano gli elementi evocati dalla presenza del semaforo come regolatore di passi e traiettorie di viaggio, di tempi “forzati”.
In particolare, la questione dei tempi forzati mi sembra una problematica centrale sulla quale riflettere. Nel momento in cui compare il semaforo sulla strada di un pedone, quest’ultimo sa che deve mettersi in una posizione di attesa se gli è impedito il passo, perché non è ancora il suo turno, oppure affrettarsi se sta attraversando e vede comparire la luce gialla, o quella rossa.
Quindi le parole e le condizioni dell’attraversamento rimandano innanzitutto all’idea di “fretta”. Non è concesso attraversare con calma, a ritmo di passeggiata, o al passo di una persona anziana, o di un bambino. Sbrigarsi, non perdere tempo, accelerare il passo, accelerare i tempi perché gli automobilisti che, peraltro, sono di per sé veloci, non possono aspettare un secondo di più.
Per andare dove? Come prima risposta probabilmente a lavorare. Un semaforo è messo per lasciare passare i pedoni con una certa sicurezza, ma anche con una certa velocità, per non intralciare il traffico. Il rallentamento è un fattore temutissimo da tutti gli automobilisti. Una coda è un evento “noioso”, è un’inutile perdita di tempo, è un sentirsi in trappola, impotenti, tagliati fuori dai propri impegni, appuntamenti, attimi di vita.
Il rosso è un “problema” anche per i pedoni se il medesimo dura tanto e si è di fretta, perché siamo in ritardo sulla tabella degli appuntamenti e dei programmi. Proprio in relazione alla durata, la gestione dei conflitti regolata dal semaforo può rivelarsi, peraltro, fallimentare. Per esempio se si formano le “code”.
Negli ultimi anni, non a caso, soprattutto dove lo spazio lo consente, i segnali luminosi per le macchine sono sostituiti dalle rotatorie. Gli automobilisti procedono a vista, secondo le regole delle precedenze. I pedoni continuano a essere tutelati dal semaforo, specie nei centri cittadini, perché i flussi di macchine sono più densi.
Il nodo a cui rimanda il semaforo, quindi, al di là della gestione dei flussi – circolazione – è il tempo, in relazione allo spazio, in riferimento alla capacità di accettare o rifiutare situazioni di attesa. Quando si circolava a cavallo, a piedi e in carrozza i semafori erano assenti, la concezione del tempo era diversa dalla nostra. Le distanze si misuravano con il ritmo dei propri passi o quelli delle zampe degli equini.
Tutto il mondo di conseguenza non poteva che adeguarsi a questi ritmi che, rispetto ai nostri erano più lenti. I nostri tempi sono “artificiali”, “dopati” perché non tengono più conto della “velocità dei piedi” e delle zampe, ma delle ruote delle macchine, dei treni, o delle ali degli aerei nella consegna delle merci, oltre che della velocità istantanea dei bit di un computer.
Il semaforo, tutela per gli utenti più deboli ed esposti a lesioni anche mortali, allo stesso tempo, entra in conflitto a sua volta con le esigenze specifiche di questi ultimi. In quanto regolato su tempi standard di attraversamento, sembra incapace di prevedere situazioni “critiche”, difformi dal “modello”. Questo è il nodo della questione: rivela la contraddizione in sé del meccanismo e mostra i “compromessi necessari” in una società dove non c’è tempo da perdere, perché il tempo è “denaro”.
Ho avuto modo in un altro post di esprimere la mia diffidenza nei confronti del tempo e del suo utilizzo, delle caratteristiche che la società capitalistica gli proietta e gli ha proiettato addosso. Occuparmi di attraversamenti a tempo determinato mi permette di usare un’immagine metaforica che mostra le contraddizioni e i conflitti generati dalla forzatura, dalla compressione del tempo.
Non solo. Dà modo di riflettere anche su altre situazioni in cui spazio e tempo sono collegati, sia nei fatti, sia sul piano concettuale: per esempio per quel che concerne il caso dei “corridoi umanitari”. Abbiamo di recente tutti in mente ciò che è avvenuto durante gli ultimi giorni della ritirata delle truppe americane dall’Afghanistan. E’ solo uno dei tanti casi.
Corridoi umanitari a tempo determinato sono l’equivalente di un attraversamento regolato da un semaforo. Scaduto il tempo a disposizione, stabilito dalle autorità di questo o quel Paese, quindi da qualcuno che detiene un notevole potere, chi non ha completato il percorso, o chi non l’ha iniziato, non riesce a fuggire resta esposto al pericolo di essere travolto e annientato, dai persecutori, o dagli elementi naturali (neve, gelo, acque di mare/oceano).
Accanto alle riflessioni attorno all’attarversamento di uno spazio (anche metaforico), in un tempo dato, il progetto di drammaturgia urbana che sto elaborando prevede un dialogo e un’interazione diretta con le persone.
Appunti per un questionario
I lavori di drammaturgia urbana che conduco implicano uno scambio con i cittadini. In questo caso, una parte del lavoro comprenderà la riflessione fra persone che si occupano di progetti di arte partecipata, di arte pubblica, abituate alle interazioni con i partecipanti; un’altra prevederà un contatto con i cittadini che si accingono ad affrontare la prova dell’attraversamento pedonale regolato da un semaforo, o l’hanno appena conclusa…
In particolare mi piacerebbe scoprire le soluzioni proposte ad alcune domande-chiave. Per esempio, se si deve percorrere una certa distanza entro un tempo dato e non ci si riesce che cosa si fa? Si accorcia la distanza? Si torna indietro e si rinuncia alla meta? Ci si sforza, fino al limite delle proprie possibilità? La soluzione è “contrarre” lo spazio? Meno spazio a disposizione per ciascuno, più veloci saranno gli spostamenti?
Le strisce pedonali accolgono milioni di passi, nel corso della loro vita, effimera, richiedono manutenzione regolare per ricontrollare i confini, dare una “rinfrescata” alla vernice bianca che con il tempo si cancella, si opacizza, tende a svanire.
Al contrario nessuno si preoccupa di immortalare i milioni di impronte che lasciamo nel corso dei nostri attraversamenti (veri e metaforici, come momenti della nostra vita). Le nostre “scie” personali. Quali sono le tracce del nostro passaggio a tempo determinato, lungo il percorso della nostra esistenza? Le impronte hanno una scadenza?
Che cosa può essere un attraversamento a tempo determinato al di fuori di una strada? Quali sono le sue forme possibili? Che spazi investono e che situazioni possono interessare? Possiamo creare un attraversamento a tempo determinato portatile per le occasioni difficili? Per attraversare a tempo determinato o indeterminato i luoghi che ci interessano?
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