Drammaturgia degli spazi. Janet Cardiff & Bures Miller III

G. Bures Miller The video walks are like virtual reality, but they use a simple technology to create the feeling of being in another place. What interests me really is reality. People have brought up the idea of a video game. We don’t play video games, but we’re thinking about it.

J. Cardiff: We’re interested in the philosophical aspect of how we know reality. People can be transported into a particular physical situation, and it can totally change their belief about what it is. (…) I think we’ve been doing augmented reality for years.

GBM: Using a low-tech version of it seems powerful enough for me. It’s like a book— there’s nothing better than a book when it comes to immersive reality.

Janet Cardiff, "In real time", video walk
Janet Cardiff: In real time, video-walk, Carnegie International at Carnegie Library, Pittsburgh, 2001

La tecnologia, il suono e lo spazio

L’interesse per l’uso virtuale della voce, o di presenze spettrali, fantasmatiche è presente in tutti i lavori di Cardiff-Bures Miller, sia nelle installazioni, sia nelle passeggiate. In una conversazione con Anthony Easton, apparsa su Jacket Magazine, definiscono i propri lavori “sculture fisiche attraverso lo spazio e il tempo, svolte in un modo narrativo”.

Di certo, l’evoluzione dei loro lavori è strettamente legato ai perfezionamenti della tecnologia nel campo della registrazione acustica, in quanto hanno reso possibile effetti stereofonici sempre più sofisticati. In particolare, Janet Cardiff utilizza la tecnica di registrazione binaurale, con il ricorso a una “testa blu” con microfoni inseriti nelle orecchie, così da ottenere un suono tridimensionale, stereofonico, attraverso una fruizione in cuffia.

Discman, ipods, altoparlanti ricorso a tecnologia diffusa diventano strumenti necessari per esplorare gli spazi, supporti speciali per stimolare, o aumentare la risposta percettiva nel pubblico, sulle reazioni del quale i due artisti investono, infatti, la loro attenzione.

Nel realizzare le passeggiate, Cardiff si occupa della parte narrativa e concettuale del progetto, mentre Bures Miller compie un lavoro di editing, di producer creativo. Corregge, fornisce suggerimenti al fine di migliorare il progetto, così che diventa difficile distinguere ciò che è frutto di collaborazione e ciò che è un prodotto individuale. Per quanto riguarda le video-walk, George Bures Miller assimila il proprio contributo a quello di un editor cinematografico.

J. Cardiff dichiara inoltre che, mentre cammina in un luogo, lo percorre, riceve idee dal medesimo, intravede situazioni interessanti e al contempo si rende conto di quale suono potrebbe funzionare al meglio in una certa collocazione (” When I’m walking the site, it gives me ideas and situations–this could be cool here, this kind of sound would work well here”). Il luogo fornisce gli spunti (“The site gives me ideas”). L’artista, in questo caso, non sceglie, ma si “adatta” a ciò che ha davanti, anche in rapporto alle commissioni e alle “esigenze” della committenza.

Nelle video-walks dove è necessario riprendere al contempo video e suoni i due artisti si dividono i compiti. Janet Cardiff si occupa di utilizzare il microfono binaurale mentre cammina e sovente parla mentre registra. George Bures Miller usa la telecamera.

Per ottenere un effetto di sincronizzazione/compatibilità fra tutto ciò che si ascolta è fondamentale curare i dettagli. Per esempio, per quanto riguarda la sonorità emessa dalle scarpe che calpestano il terreno occorre uniformare i suoni delle suole, nella registrazione contemporanea di piste audio e video .

In un’intervista per borderscrossingmag, J. Cardiff rivela che durante la registrazione audio delle passeggiate usa uno specifico paio di scarpe che, mentre cammina, emettono un suono né troppo scricchiolante, né troppo piatto, grazie alla forma del tacco. Pertanto, per rispettare la stessa sonorità sulla pista video, George Cures Miller deve indossare scarpe identiche, affinchè il suono emesso sembri quello delle scarpe di Janet.

In alcuni casi, proprio la ricerca del suono emesso dalle scarpe può richiedere tempi anche lunghi di attesa durante le riprese, come avviene in occasione di In real time, dove è stato necessario aspettare tre settimane prima di trovare una persona con le calzature dalla sonorità adeguata.

VIDEO WALK

Nella produzione artistica di Janet Cardiff e George Bures Miller le video walk convivono, dalla fine degli anni Novanta, con le passeggiate acustiche e pongono problematiche differenti, un altro modo di relazionarsi con lo spazio circostante.

Janet Cardiff, George Bures Miller: Night walk for Edinburgh
Janet Cardiff, George Bures Miller: Night walk for Edinburgh, 2019. Video-Walk

In un’intervista comparsa su Sculpture  nel novembre 2018, condotta da Rebecca Dinling Cochran, George Bures Miller sostiene che le video walks siano simili alla realtà virtuale, ma si avvalgono di una tecnologia più semplice per creare la sensazione di trovarsi in un altro luogo. Soprattutto, ciò che desidera creare è strettamente legato alla realtà, è incentrato su di essa, a differenza per esempio di un video-game.

Sempre durante la stessa intervista J. Cardiff sottolinea l’interesse per gli aspetti filosofici legati al modo con cui “conosciamo” la realtà e ritiene di essersi occupata nei loro progetti di “realtà aumentata”.

In Real Time (1999) è la prima video walk (della durata di 18′) creata da J. Cardiff e collocata nella biblioteca del Carnegie Museum of Art di Pittsburgh, in occasione del 53° Carnegie International. I partecipanti indossano un paio di cuffie collegate a una piccola videocamera, con la quale compiono un percorso nel museo. Insieme a suoni e voce dell’autrice registrati, le immagini video da osservare si sovrappongono a quelle che gli occhi registrano nella realtà. Il lavoro si basa sulle discrepanze tra ciò che è trasmesso su un monitor e ciò che realmente accade nella biblioteca.

In questo esempio, il percorso si focalizza negli interni di un edificio pubblico, sede di un’istituzione culturale, in altre proposte i partecipanti compiono “esplorazioni” in esterni urbani. Negli anni Dieci del nuovo secolo  J. Cardiff e George Bures Miller realizzano in particolare due walk importanti. La prima per Documena a Kassel, nel 2012 (durata 26′), la seconda per il Festival di Edimburgo, nel 2019 (55′).

Janet Cardiff, George Bures Miller: Night walk for Edinburgh
Janet Cardiff, George Bures Miller: Night walk for Edinburgh, 2019.

Alter banhof video walk

è ambientata nella stazione ferroviaria storica di Kassel. I visitatori-partecipanti ricevono a un check point un iPod con cuffie (dopo aver lasciato in deposito la carta di identità) e mentre camminano, guardando il video che hanno di fronte, ascoltano contemporaneamente le indicazioni degli autori che li “guidano” attraverso i diversi luoghi della stazione.

Immagini della realtà e immagini filmate si sommano, si intersecano e creano una specie di “physical cinema”. Ciò che è nello schermo (dove l’inquadratura è esattamente la stessa di quella che il pubblico vede in quel momento mentre cammina) non c’è nella realtà. Disorientamento e sensazioni contraddittorie sono provocati deliberatamente.

Questo spostamento, questo passo di lato rispetto alla realtà, nelle intenzioni dei due artisti è un modo per osservarla, capirla meglio (“The walks especially. A step away from reality — consensus reality — in the interests of seeing it better.” dichiara J. Cardiff in un’intervista condotta da John Wray per il New York Times, del 26-7-2012).

La scelta, inizialmente, cade sulla stazione  semplicemente perché i due artisti hanno bisogno di uno spazio “interno” dove poter osservare lo schermo dell’Ipod. Ma una volta sul luogo scoprono che da questo luogo partivano i treni per i campi di concentramento, sul binario 13 (anziché sul numero 3, dove era collocato erroneamente il monumento a ricordo).

Cardiff-Bures-Miller-Alter Banhof Walk, 2012f
J. Cardiff, G. Bures-Miller, Alter Banhof Walk, Documenta, Kassel, 2012

Così nel momento in cui il visitatore si reca al binario 13 e scopre un treno nuovo, pronto a partire, con viaggiatori che salgono in modo più o meno frettoloso, percepisce un senso di spaesamento e disturbo.

Night Walk for Edimburgh 2019 (55′)

Nel 2019 la galleria Fruitmarket di Edimburgo commissiona alla coppia Cardiff-Bures Miller un’opera nell’ambito del Festival Internazionale. Nasce così una video passeggiata notturna ambientata nella parte antica, nel cuore della città. La fiction si sovrappone agli elementi del paesaggio urbano e alle persone che si muovono in esso.

Gli attori impiegati nelle registrazioni video – realizzate l’anno precedente (2018) durante una residenza nella capitale della Scozia – agiscono in un contesto che cita esplicitamente i codici del genere thriller-noir, insieme a elementi ludici da caccia al tesoro.

Gli autori provocano il “consueto” effetto spiazzante nel partecipante-pubblico, con lo sdoppiamento fra il livello visivo reale e quello identico, mostrato sullo schermo che tengono in mano. La compresenza di questi due livelli evidenzia la divergenza fra due piani temporali (presente e passato).  Alle immagini si sommano gli interventi audio, affidati alla voce di J. Cardiff e a “rumori di scena”.

Questa voce si assicura che il pubblico si collochi nella posizione “giusta” dalla quale deve essere osservata la scena, orientato in un certo modo nello spazio, in sostanza prevede un preciso “punto di vista” (“You should be at the bottom of Advocates’ Close, looking out at Cockburn Street with your back to the steps…”) e in seguito, come in quasi tutte le altre passeggiate di questi artisti, seguono le indicazioni sul “cosa fare (“Now let’s turn around… and go up the stairs”).

Lo Spazio

Il rapporto fra l’artista e i luoghi balza in primo piano nei lavori che appartengono alla drammaturgia degli spazi. L’esplorazione, il contatto fisico e concettuale con i medesimi costituiscono una parte prioritaria del lavoro preparatorio. Questo avviene anche nelle walk  sia audio, sia video, realizzate da Janet Cardiff e da George Bures Miller.

Per prima cosa, entrambi si recano sul posto e lo esplorano, vi camminano/vagano intorno, dichiara J. Cardiff, nella citata intervista di Rebecca Dimling Cochran, pubblicata da Sculpture (novembre 2018). Non solo. Leggono libri riguardanti l’area interessata, nonché eventualmente opere di scrittori locali, sebbene queste informazioni non siano, di solito, inserite direttamente nel loro lavoro.

Iniziano poi i sopralluoghi per le riprese audio e/o video che possono essere integrate a mano a mano che il lavoro procede e arrivano nuove idee inerenti il progetto. Nel percorso artistico di J. Cardiff e G. Bures Miller, le passeggiate acustiche e quelle visive si alternano ad altri lavori di tipo installativo che utilizzano spazi urbani, o interni (pubblici, o “privati”).

 

Blue Hawaii Bar 2007 (9′)

è un lavoro collocato in una specie di acquedotto-riserva d’acqua posto sotto il museo Mathildenhoehe di Darmstadt. Il pubblico mentre cammina può ascoltare musica hawaiana e vedere riflessi di luci colorate sull’acqua che arriva all’altezza delle caviglie (ai visitatori vengono forniti stivali di gomma), aggirarsi nello spazio molto particolare, percependo tutte le possibili evocazioni suggerite dal luogo e dalle sollecitazioni che trova.

Janet Cardiff, George Bures Miller: Blue Hawaii Bar, installazione, Darmstadt
Janet Cardiff, George Bures Miller: “Blue Hawaii Bar”, 2005, installazione, Darmstadt

Nei lavori più recenti, la passeggiata ha lasciato il posto a un’esplorazione personalizzata dello spazio, specie in ambienti chiusi. Per esempio, in

Osaka Simphony 2018

il pubblico è dotato del “consueto” IPod con cuffie ed è invitato ad esplorare un corridoio si ascoltano numerose tracce acustiche a seconda della posizione in cui si trova ciascun visitatore. Al contempo, i suoni in cuffia possono abbassarsi o aumentare di volume a mano a mano che il visitatore si allontana o si avvicina rispetto a una zona.

L’idea è che il pubblico possa controllare i suoni attraverso i propri movimenti del corpo, a mano a mano che “suonano” direttamente lo spazio stesso, come se fosse uno strumento. (“Each audience member becomes a DJ using their body movements as they ‘play’ the space.”).

Janet Cardiff, George Bures Miller: "Osaka Simphony", audio installazione site specificediale
Janet Cardiff, George Bures Miller: “Osaka Simphony”, audio installazione site specific, 2018

La produzione di J. Cardiff e G. Bures Miller disegna, anzi secondo la loro definizione, scolpisce lo spazio attraverso il suono, spinge il visitatore-ascoltatore a potenziare le proprie percezioni rispetto al mondo, a farsi domande sul possibile scostamento spazio-temporale di cui diventa testimone.

Il tempo, infatti, è un elemento in apparenza “nascosto” in questi lavori, ma molto importante per poterli capire. I livelli diversi, infatti, entro cui il pubblico si muove, le immagini, i suoni che osserva e ascolta sono volutamente sconnessi sul piano temporale e proprio in questa “differenza” risiede uno degli elementi che inducono il visitatore a stupirsi sul piano percettivo e a farsi domande, anche di ordine filosofico.

 

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