Drammaturgia dello spazio. Carlos Garaicoa II

Le strade sono state la linfa vitale per il mio lavoro. Tutte le città hanno un cuore da scoprire. In questo modo, guardo la città come un grande testo, dove io sono un suo frammento, il mezzo per interpretarla e decostruirla. Fin dall’inizio, il mio lavoro mostra idee di tipo sociologico, una archeologia simbolica, e una nuova architettura. Tutto questo costituisce un progetto per cambiare gli spazi delle strade in uno spazio utopico, un nuovo spazio simbolico e politico.

Queste parole di Carlos Garaicoa, estrapolate da un’intervista rilasciata per la rivista giapponese “ArtTank” (scritta da Toshio Kondo) motivano la scelta di occuparci della sua produzione sulle pagine del nostro blog dedicato alla drammaturgia urbana nello specifico e più, in generale, alla drammaturgia degli spazi.

Consideriamo il suo lavoro pertanto da una prospettiva particolare, quella appunto della drammaturgia, della scrittura teatrale, dove la parola teatro nella nostra accezione ha un senso  moooolto esteso, con un senso metaforico e simbolico molto forte.

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Carlos Garaicoa: La Ciudad vista desde la mesa de casa, Installazione, 1998.

Nel considerare il lavoro di Garaicoa, partiamo dalla scrittura, perché come dichiara lo stesso autore (in un’intervista di Hollhy Block, pubblicata su Bomb Magazine nel 2003), è da lì che occorre iniziare per capire come sono organizzati e come nascono i suoi lavori. La scrittura, anche dal nostro punto di vista, è il punto di partenza per poter affrontare un lavoro di drammaturgia degli spazi e non solo.

Writing plays a very important role in my work. Before I tried my luck at being a visual artist, I devoted some of my time—although not enough—to writing. From my childhood on, thanks to my father, books have been revered at home. Somehow this interest and obsession have returned over and over and permeated all my work. Words are always present in my pieces; they can appear in the titles of works (where they are essential), in the texts accompanying my installations, in the critical essays of my catalogues and even in the works themselves as language play.

There’s a search for narrativity in most of my works: they are always linked to a story that I intend to tell, be it about a place, a person, a city, a particular object, or event. Often my projects are conceived first as text, and this is why I think that the rest of media I use (photography, video, sculpture, and installation) can change and even be substituted. The only unchanging thing would be the anecdote from which sprang forth the work in question, made of a series of visual elements.

Garaicoa ha più volte dichiarato nel corso di sue interviste e conferenze l’importanza della scrittura nel suo lavoro e la pratica scrittoria attuata nei primi anni della sua formazione, tuttavia non ha mai parlato di “teatro”.

Eppure le sue opere sono profondamente drammatiche, teatrali, dove il personaggio primncipale, il protagonista assoluto è la città stessa, nell’insieme delle singole individualità che la compongono.

Le fotografie degli edifici dell’Avana sono un elemento fondamentale fin dall’inizio della produzione artistica di Garaicoa. Palazzi, case in rovina, luoghi dimenticati, abbandonati continuano a mantenere il ruolo principale anche negli anni successivi di svariate serie fotografiche, declinate in modi diversi, realizzate con materiali differenti.

Carlos Garaicoa, Jardin, installazione, 1998
Carlos Garaicoa: Jardin. Fa parte della serie La ciudad vista desde la mesa de casa. Installazione. 1998

Una vera e propria drammaturgia urbana realizzata attraverso la visione, l’elaborazione grafica, il ricorso alla scrittura, a commenti, frasi ironiche, sarcastiche. Un contrappunto affidato alla parola trasforma le immagini in racconti fulminei, in “teatri portatili”.

Garaicoa ricorre alla tridimensionalità: dei materiali a supporto delle foto, come nelle fototopografie stampate su polistirolo, nei pop-up, o in quelle stampate su ossi, nei puzzle; o esegue interventi con spilli e fili sottilissimi colorati sulle fotografie in bianco e nero. Come in La International (2009),  “up, down, to the side. Without a place. The poor of the world.” 

Gli interventi sulle immagini fotografiche di edifici preesistenti, “ritoccati” e “manomessi” con elementi fittizi, narrativi, o grafici dalla fine degli anni Novanta, convivono con le opere nate e cresciute attorno ai concetti di tavolo, di interno domestico, di introspezione, in rapporto allo spazio esterno.

Garaicoa, infatti, sul finire degli anni Novanta, evade dalla verticalità della parete per utilizzare l’orizzontalità del tavolo, o di suoi derivati,  con la prima installazione della serie La ciudad vista desde la mesa de mi casa (1998).

Un tavolo che può essere considerato un vero e proprio palcoscenico su cui rappresentare conflitti e rapporti dialettici, contrasti fra personaggi-edifici, personaggi case…scelte politiche, situazioni storico-economiche. I modellini  sono al contempo “set”, luoghi in cui accade qualcosa e personaggi da osservare in un teatro metaforico.

Storie di edifici, di persone, di gruppi sociali, di interessi nazionali e internazionali che si riuniscono attorno a un tavolo. La città e i suoi simboli diventano protagonisti di trame e scene offerte allo sguardo e al pensiero del visitatore.

L’interno convive e si fonde con l’esterno, con ciò che sta fuori, le regole di proporzione e di scala imposte dalla traduzione prospettica sono cancellate, avviene una deliberata confusione di dimensioni, di rapporti di scala.

Carlos Garaicoa: Nuevas arquitecturas o una rara insistencia para entender la noche-1999-2001
Nuevas arquitecturas o una rara insistencia para entender la noche-1999-2001

Questa scelta nel giro di poco tempo spinge Garaicoa a esplorare le  risorse, le possibilità offerte dalla pratica architettonica, in particolare quella attinente la produzione di modelli, di pre-esecutivi tridimensionali e che eserciterà un forte impatto sul suo lavoro. Inizia a collaborare con architetti, designer, modellisti per risolvere i problemi di realizzazione.

In Now let’s play to disappear(2001) prima realizzazione ad Arnhem nella chiesa di S. Eusebio, successivamente riproposta per la prima mostra italiana a Siena (2002), presso Galleria Continua, gli edifici simbolo del mondo occidentale, realizzati in cera, si consumano lentamente, mentre risplendono, attraversati dallo stoppino acceso.

Carlos Garaicoa: Campus, o la babel del conoscimiento
Carlos Garaicoa: Campus, o la babel del conocimiento. Installazione 2002.

A Documenta 11, nel 2002, Garaicoa porta modellini che egli definisce “naif” (fra le quali Campus o la Babel del conocimiento, in mostra successivamente alla Fondazione Merz, insieme alle installazioni che compongono El Palacio de las tres historias), crea un gruppo per ragionare sugli edifici non finiti dell’Avana.

Edifici rimasti incompiuti e destinati alla rovina per interruzione di fondi, in seguito alle ripercussioni della caduta del Muro di Berlino nel 1989, sommate all’embargo contro Cuba.

Garaicoa propone tre costruzioni (un campus universitario, un ospedale, una biblioteca) a partire dalla pianta originale delle rovine di edifici realmente progettati e con gli architetti del suo gruppo di lavoro, crea i rispettivi modellini, con una serie di testi che accompagnano l’opera. In sostanza dà una seconda chance di vita completamente fittizia a progetti abortiti, naufragati nella realtà.

Carta a los Censores (Letter to the Censors, 2003, Tate) riproduce in scala il teatro dell’Havana, con all’interno uno schermo cinematografico in miniatura che propone film censurati in varie parti del mondo.

In questo caso il visitatore si trova coinvolto in più piani e livelli di rappresentazione e di visione. Una sorta di metateatralità visiva: guarda un’installazione che all’interno contiene la riproduzione di film, da vedere, benché in formato mignon.

Postcapital. Política, ciudad, dinero (2006), installazione realizzata per Barcellona, si incentra sul rapporto fra capitale e città, in un periodo di espansione e bolla speculativa alla vigilia della crisi del 2008.

In questo caso l’opera si avvale della collaborazione di Daniel Garcìa Andùjar, teorico cubano e Ivàn de la Nuez artista di Valencia. La riflessione sulla città contemporanea, si traduce nella scelta di inserire in una sorta di “città ideale” gli edifici in scala raffigurati sulla carta moneta.

Ciascuno di questi palazzi è contrassegnato da un numero che rimanda alle didascalie dove sono descritti i corrispondenti biglietti di banca. Garaicoa lo ha definito “un parco tematico dell’economia”.

Il visitatore è messo nelle condizioni di visitare contemporaneamente luoghi molto distanti fra loro, tutti riuniniti sotto ai suoi occhi, grazie al ricorso ai modellini in scala; una panoramica a volo d’uccello che offre la visione di tutti gli edifici delle banche nazionali.

Un viaggio attraverso presenze solide, massicce, imponenti, inflessibili, austere, solo in apparenza innocui in virtù della loro riproduzione in scala; edifici simbolo del potere economico e dei ricatti sottostanti fra le nazioni, come si potrà sperimentare due anni dopo, in seguito alla crisi del 2008.

Nell’installazione Bend City per la Biennale di Shanghai del 2008, la scelta del titolo “città piegata”, racchiude in sé il dramma potenziale della fragilità enfatizzato attraverso il ricorso alla carta intagliata come materiale privilegiato nella realizzazione dei modellini di edifici.

Il materiale costitutivo, cartoncino bristol, rosso, in omaggio al colore nazionale cinese, al di là della citazione geografica, al colore locale, restituisce l’immagine di una città di carta, una città pieghevole. 

Carlos Garaicoa: Bend City, installazione, 2008
Carlos Garaicoa: Bend City, installazione, 2008. Biennale di Shanghai

Dalla fragilità della carta, nella sempre rinnovata capacità di esplorazione delle possibilità offerte da materiali diversi, in funzione del messaggio da comunicare, si passa a quella del vetro…

…In particolare gli edifici in cristallo (fondazione Botin) e le teche contenenti paesaggi e oggetti come nel El palacio de las tre historias realizzato alla Fondazione Merz.  La drammaturgia degli spazi nel lavoro di Garaicoa è davvero un percorso sorprendente e ricco di stimoli per il fruitore delle sue opere.

L’autore si trasforma in architetto di progetti fittizi, non più solo nella bidimensionalità delle fotografie, ma “teatralizza” i suoi lavori e dà loro una forma che occupa lo spazio, nelle sue tre dimensioni. Crea scene, set in cui si svolgono storie con un’esplicita connotazione politica e sociale, con una visione critica del potere.

Le intenzioni sono confondere interno ed esterno, destabilizzare l’osservatore; far convivere la dimensione ludica del modellino, da casa delle bambole, o da gioco di costruzioni, con la sollecitazione rivolta al pubblico affinché si ponga domande riguardo al controllo, al destino, alla responsabilità personale, all’autodeterminazione, alla libertà di coscienza.

Con la “svolta” tridimensionale, l’adozione di tecniche impiegate dagli architetti per verificare la fattibilità e l’aspetto dei loro progetti, la realizzazione di modelli in scala appunto, diventano un aspetto fondamentale del lavoro di questo artista che, negli anni, conserva una rara capacità di rigenerarsi, di mettersi in costante discussione.

Lo sguardo e il pensiero sono facilitati, poiché il controllo sulla situazione è reso più agevole, rispetto a quello dello spazio reale, a causa delle dimensioni, dell’estensione, dell’ordine di grandezza 1:1.

L’esplorazione di materiali differenti nella realizzazione dei mondi che costruisce e offre al visitatore (carta, cera, metalli, vetro), la creazione di edifici con la tecnica delle lampade cinesi, con quella del pop-up, le continue “sorprese” riservate dall’autore sono tutt’altro che “trovate” fine a se stesse. Sono intrinsecamente collegate all’idea, al concetto espresso da ogni singola opera.

Di per sé i modellini hanno una forte valenza teatrale e immaginativa, permettono e anzi sollecitano lo spettatore a visualizzare mondi, porsi domande, sullo spazio, sulle relazioni fra i corpi che lo abitano, in virtù della dimensione ridotta e quindi più facilmente “controllabile”. Il materiale con cui ciascuno di essi è realizzato è un aiuto in più per l’osservatore, una connotazione simbolica o metaforica.

Al di là della notevole capacità di sperimentazione e degli effetti ottenuti sul piano estetico, il lavoro di Garaicoa è particolarmente interessante dal punto di vista di una drammaturgia degli spazi, per la complessità delle storie proposte; per il continuo stimolo del pensiero e della vista nel fruitore, grazie a un costante “spaesamento”, o destabilizzazione, ricollocazione nell’uso degli spazi.

Il visitatore vaga, osserva, immagina, pensa, attraverso “set”, scene incentrate sugli edifici, sulla città, realizzate in interni, su supporti, o collocati in teche che sigillano, proteggono il loro contenuto.

Carlos Garaicoa: El palacio de las tres historias, Fondazione Merz, 2017
Carlos Garaicoa: El palacio de las tres historias, Installazione. Fondazione Merz, 2017

Storie di luoghi, spostamento a sorpresa nella visione e nell’utilizzo dei materiali, con la presenza costante della componente giocosa e pop: l’uso del puzzle, il pop-up come nei libri per bambini, i plastici in particolare.

I modellini architettonici rimandano infatti alla costruzione in scala usata da quanti si occupano di modellismo per hobby, ai plastici dei trenini, alle case delle bambole.

Come dichiara lo stesso Garaicoa, “ciò che dà forza all’arte è l’uso cosciente ed elaborato del linguaggio” (intervista di Suzette Sànchez, 2016). Questa capacità di comunicare fra individui, di sollecitare pensiero ed esperienza estetica, ad alti livelli, grazie a una forte capacità di sintesi e a uno scambio dialettico instaurato con chi osserva, appartiene a nostro avviso a una peculiare forma di drammaturgia degli spazi, a partire dalla dimensione urbana.

Posiblemente lo único que arma y da fuerza al arte es el uso consciente y elaborado del lenguaje, la manera un tanto sofisticada y ambigua que tiene el lenguaje del arte de existir.

Yo diría que lo único que sobredimensiona la realidad y logra hacerla más “real” es su posterior existencia como ficción.”

Carlos Garaicoa: El palacio de las Tres Historias, 2017
Carlos Garaicoa: El palacio de las Tres Historias, 2017, Fondazione Merz.

 

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