In questi mesi abbiamo iniziato a raccogliere qualche testimonianza diretta attraverso interviste-dialoghi attorno a cinque punti cardine: drammaturgia urbana (al singolare) drammaturgie urbane (al plurale), spazio, personaggi, trama-intreccio, pubblico. Abbiamo scelto di proporre ai nostri intervistati sempre questi elementi così da poter confrontare le loro opinioni attorno a elementi comuni al centro del nostro interesse.
Nei dialoghi sono emersi idiosincrasie personali verso alcuni aspetti, criticità rispetto al teatro “ufficiale”, una forte motivazione personale verso l’esplorazione. Non tutti gli intervistati per esempio si sentono “drammaturghi”, anzi alcuni di loro percepiscono e identificano il termine “drammaturgia” con una pratica molto probabilmente legata alla “tradizione”, a qualcosa di “imposto”, si fisso, schematico.
Tanto che alcuni di loro hanno rifiutato di definire il termine “drammaturgia urbana”, perché lo sentivano estraneo dalla loro ricerca. Nonostante fossero decisamente impegnati in progetti di “drammaturgia urbana”, o quanto meno “drammaturgia degli spazi”, dal mio punto di vista, in quanto il loro lavoro prevede un forte coinvolgimento del pubblico nello spazio urbano, o in quello naturale, attraverso sound-walking per esempio, o riflessioni sulla percezione del sé nello spazio.
I più “ostili” verso il termine “drammaturgia urbana” fra gli intervistati non a caso sono stati operatori con una formazione di ricerca musicale, o artistica non legata al teatro. Al contrario, per chi in qualche modo parte da una formazione di ambito teatrale di qualunque tipo, ha mostrato familiarità e confidenza con il termine.
Desidero sottolineare questo aspetto quindi: la diffidenza mostrata verso il termine “drammaturgia” in sé e nella sua declinazione singolare o plurale “drammaturgia/e urbana/e” da parte di alcuni artisti. Una questione importante che sicuramente approfondirò con gli interessati e che rivolgerò ad altre persone impegnate in ricerca ai confini fra arte e teatro in senso esteso.
Per quanto riguarda noi, abbiamo una forte diffidenza, sospetto e fastidio verso il concetto di Tempo. Così forte da averlo voluto escludere dallo schema proposto agli intervistati. Lo associamo, infatti, alle principali ossessioni della società capitalista: la produttività, l’efficienza, la velocità di produzione e consumo.
Tutti aspetti sintetizzati nell’espressione Time is money, con cui si apre lo scritto di Benjamin Franklin Advise to a young tradesman, inserito in un manuale dedicato a giovani aspiranti commercianti (George Fisher, The American Instructor: or Young Man’s Best Companion, 1748).
Questa frase ereditata dalla società capitalista ottocentesca, così gretta da diventare grottescamente pittoresca, è ancora oggi alla base della voracità spiraliforme con cui si sollecitano/solleticano desideri del consumatore, oggetti del desiderio, si masticano, si triturano, se ne cercano altri in una loro frenetica sostituzione. L’importante è perdere il minor tempo possibile per tuffarsi in nuovi e più vorticosi “affari”.
L’irritazione verso la lentezza si riconosce anche nell’uso del termine “ritardato” (sottinteso “mentale”), da usare nei confronti di chi non ha prontezza di risposta, di riflessi, lucidità di pensiero adatto a essere efficientemente rispondente alla principale richiesta: la produttività.
Preferiamo concentrare l’attenzione innanzitutto sullo spazio, poiché quest’ultimo è fondamentale per sviluppare il senso critico, l’autonomia di pensiero, la capacità di relazionarsi con il mondo, con gli altri. L’esperienza di “guardarsi attorno” , così come quella di “adottare un punto di vista” avvengono dentro uno spazio.
Lo spazio lascia emergere tutte le contraddizioni, le caratteristiche di una società. Da questo punto di vista la lettura dei lavori di Henri Lefebvre è fondamentale (La production de l’espace, in particolare). Una volta acquisita questa capacità si può passare a esplorare le criticità poste dal Tempo.
In questo momento abbiamo anche capito che “drammaturgia urbana” è un'”etichetta” utile a descrivere una certa parte del lavoro di alcuni artisti oltre che del nostro, ma è meglio affiancarla ad un’altra: “drammaturgia degli spazi”.
Quest’ultima infatti comprende situazioni molto diverse e una casistica molto più ampia. Stimola e offre una gamma di possibilità pressoché infinita di sperimentazione, in linea con le idee di fondo del nostro lavoro e della nostra ricerca: l’ampliamento, l’estensione del termine drammaturgia, la sua applicazione a contesti extrateatrali che vadano oltre la dimensione della rappresentazione consapevole, professionale di uno o più attori impegnati su un palcoscenico, nonché l’esplorazione non solo delle relazioni fra i cittadini e lo spazio urbano, ma, più in generale fra tutti gli esseri viventi e lo spazio.
Ciò non significa voler sostituire, abolire, cancellare, defraudare il teatro inteso come scatola scenica, o più in generale, forma di spettacolo con un pubblico pagante che guarda l’esibizione di uno o più attori impegnati in un ruolo fittizio. Neppure negare il valore delle sperimentazioni realizzate attorno al proprio corpo e a quello altrui proposte allo sguardo del pubblico nelle performance, dagli esperimenti dadaisti, o futuristi, a quelli degli anni ’60-’70, fino a quelli a noi contemporanei.
Lavoriamo affinché noi e il pubblico miglioriamo la consapevolezza nei rapporti con lo spazio, con tutte le creature che lo abitano, con il concetto di punto di vista, di abitazione/percezione/relazione con lo spazio, attraverso la ricerca di obiettività e capacità critica, di osservazione del reale, così da acquisire autonomia, indipendenza nella lettura della realtà, nella riflessione circa la fruizione, i suoi meccanismi, il valore estetico-etico di un progetto (binomio inscindibile, secondo noi).
Con queste premesse, emerge come possa essere riduttivo limitare i confini della ricerca teatrale al genere teatro, o relegare all’ambito delle visual art molti lavori dalla forte impronta drammaturgica. Ha ancora senso la rigida distinzione nella produzione di questi due settori, almeno per quanto riguarda i progetti di ricerca? Ha senso mantenere la “scomunica” nei confronti del teatro, come arte impura, frutto di un crocianesimo di ritorno, sempre in agguato?
Moltissimi interpreti che si occupano dell’allestimento teatrale (registi, scenografi, costumisti), usano l’arte contemporanea sovente solo come un campo da saccheggiare con citazioni che rasentano il plagio. Appropriazioni indebite effettuate per cercare risorse quando si è a corto di idee e si desidera mostrarsi à la page con un pubblico non troppo consapevole di quel che sta fruendo (per mancanza di aggiornamento, pigrizia mentale, difficoltà di reperire dati). Viceversa, nel campo dell’arte contemporanea, molti lavori catalogati come “sperimentali” sono assimilabili invece a operazioni di mero intrattenimento, di “trovata”, o di provocazione fine a se stesse.
Al di là di queste singole situazioni, tuttavia esiste una quantità di lavori “sinceri” che si muovono in territori di confine, percorsi individuali che può essere riduttivo inserire in un’area o nell’altra, questo è ancora più evidente negli ultimi anni, dove sovente gli artisti possono usare mezzi molto diversi di espressione, dal video, alla scrittura, al disegno, alla scultura, all’impiego di modellini e plastici, al linguaggio del corpo, all’uso della voce.
Per spostare l’attenzione del lettore su queste problematiche, dedichiamo alcuni articoli incentrati sulla produzione di artisti che dal nostro punto di vista può rientrare nell’ambito di una drammaturgia urbana, o in quello di una drammaturgia più estesa. Ovvero di quella che può essere chiamata “drammaturgia degli spazi”. E’ uno dei nostri modi per tentare di placare l’ansia catalogatoria che spinge a considerare i prodotti artistici secondo rigide ripartizioni per generi, sottogeneri, come avveniva due secoli fa.
Un’abitudine che tarpa le ali a chi sperimenta, percorre strade meno frequentate, al confine fra discipline diverse. Nei prossimi articoli presentiamo così le differenti modalità con cui realtà, linguaggi diversi possono emergere nel territorio ibrido che, dal nostro punto di vista è il concetto di drammaturgia allargata. Una produzione di artisti dove lo spazio, i luoghi pubblici, la fruizione, il ruolo dell’audience, il concetto di personaggio hanno ruoli fondamentali, nel loro insieme o nelle loro singole essenze.
Ci occuperemo, quindi, di alcuni artisti di formazione differente, estranea all’ambito teatrale vero e proprio, provenienti da contesti culturali, geografici, generazionali diversi, con una produzione caratterizzata da una particolare attenzione per gli spazi pubblici, per il coinvolgimento diretto/attivo dell’audience.
Artisti di cultura, di genere e età diversi, riconosciuti dalla critica a livello internazionale, con una voluta commistione, un “disordine” apparente della selezione. In realtà, i loro lavori sono accomunati dal fatto che alcune, se non la maggior parte delle loro opere rimandano a, rientrano sul piano concettuale nell’universo della teatralità e della drammaturgia urbana o della drammaturgia degli spazi.
Alcuni di loro hanno studiato, o hanno avuto a che fare con il mondo della musica, o della scrittura, o del teatro; in alcuni casi il legame con la “tradizione” della performance è evidente, in altri meno, o è del tutto assente. Fra i nomi che desideriamo presentare al lettore iniziamo a citare Carlos Garaicoa (nato a Cuba nel 1967), Leandro Erlich (1973, argentino di Buenos Aires), Jonatas de Andrade (1982, Maceió, Brasile),
….Giovanni Ozzola (Firenze, 1982), Margherita Morgantin (Venezia), JR (1983, Francia), Daniel Buren (Boulogne-Billancourt, 1938 Francia), Eva Marisaldi (1966, Bologna), Gordon Matta Clark (New York 1943-1978), Song Dong (1966, Cina), Massimo Bartolini (Firenze), Haegue Yang (Corea, 1971), Eleanore Antin (New York, 1935), Gianfranco Baruchello (Livorno 1924)…
…Lara Favaretto (Treviso 1973), Fabio Mauri (Roma, 1926-2009), Chiara Fumai (Roma 1978-2017 Bari), Amy Balkin (San Francisco), Judith Barry (1954, Ohio), Janet Cardiff (Bruxelles 1957) & Georges Bures Miller (1960, Canada), Ibrahim Mahama (1987, Ghana), Georgia Sagri (1979, Atene)…