Microdrammi quotidiani.
Gli spazi pubblici al centro della nostra ricerca nell’ambito della drammatugia urbana costituiscono un punto di osservazione privilegiato per ammirare panorami mozzafiato da un punto di vista sociale e sociologico. Letteralmente. Nel senso che possono rivelare situazioni che tolgono il respiro, mettono i brividi, perché rimandano alla faticosa constatazione quotidiana di situazioni nelle quali continua ad emergere una pesante disparità di genere. Anche nei momenti e negli angoli dove in apparenza dovrebbe essere lontana: quella del gioco…
Che cosa può riservare una domenica pomeriggio al parco, in città? Che cosa rivelano i giochi quotidiani in esterno dei bambini in città? Quali storie e abitudini raccontano? Sono diverse da quelle di medi e piccoli centri di provincia?
Fra le fortune che ho avuto da bambina c’è quella di aver giocato in un giardino condominiale molto grande, con miei coetanei, maschi e femmine senza subire discriminazioni, insulti, allontanamenti. Eravamo una banda di circa dodici-quattordici ragazzini più o meno della stessa età e tutti i giorni da maggio a settembre ci trovavamo appena possibile per giocare insieme all’aria aperta.
Guardie e ladri, tornei di tennis, gare di pattinaggio, autostrada (infiniti giri di bicicletta attorno al condominio, dove si fingeva di essere autotrasportatori, con soste e rifornimenti in luoghi “deputati” a fungere da autogrill), Star Treck o Spazio 1999 (fingevamo di essere su un’astronave e di planare su vari pianeti), indiani, pallavolo, ciclocross su piste ottenute inzuppando una parte del giardino – riservata al gioco – con la pompa dell’acqua e sfruttando una vasca per la sabbia a disposizione dei bambini più piccoli (i nostri genitori non erano proprio fieri di tutto ciò, ma lasciavano fare…).
Mi annoia e mi annoiava giocare a calcio e anche le mie amichette condividevano la medesima repulsione. Così, quando arrivavamo in giardino, se i bambini erano intenti a giocare a calcio, dopo un po’ gli chiedevamo di cambiare gioco. Loro accettavano, concordavamo il nuovo genere di attività, distribuivamo i compiti e partiva un’altra fantastica avventura condivisa. Tutto questo avveniva fra gli anni Settanta e gli Ottanta, sul lago Maggiore, sponda piemontese.
Ci si aspetterebbe che in Italia, in Europa, a Milano, nell’anno di grazia 2021, i genitori, i nonni, gli zii, le zie, i parenti, gli insegnanti avessero ampiamente compreso l’importanza di stroncare sul nascere comportamenti discriminanti nei bambini. Illusione delle illusioni. Gli stereotipi e gli schemi più frusti, per non dire beceri, continuano a tramandarsi anche nei contesti culturali dove la consapevolezza dovrebbe essere maggiore, in particolare quando ci si trova in presenza di genitori, o adulti con un alto livello di istruzione e reddito.
In seguito a un episodio di sessismo odioso fra bambini a cui sono stata testimone, pochi giorni fa, nel centro di Milano e che mi ha profondamente colpita, ho sentito l’urgenza di dedicare al più presto un progetto di drammaturgia urbana alle discriminazioni di genere in un contesto apparentemente idilliaco: il parco giochi e più in generale i parchi urbani, proprio nella loro funzione di luoghi di svago, per bambini e adulti. Il progetto riguarda perciò i rapporti di potere in un ambiente dove in apparenza non c’è la “pressione” presente in un luogo di lavoro, o in famiglia, dove psicologicamente le relazioni sono tese, complesse.
Sto pensando, nella fattispecie, a brevi drammi da parete, con protagonisti i bambini e i loro genitori, presenti di persona, o indirettamente, attraverso i loro insegnamenti o non insegnamenti, desumibili dal comportamento dei figli. Il materiale che ho appena raccolto rappresenta lo stadio iniziale per costruire un progetto di MICRODRAMMATURGIA QUOTIDIANA che verrà….
Ciò che hanno sentito le mie orecchie e visto i miei occhi si trasformerà nel tempo in un lavoro che potrà sollecitare a riflettere,…l’idea è che diventi proprio una spina nel fianco da regalare a tutti coloro (e sono TANTI) che si voltano dall’altra parte, fanno finta di niente, credono che questi argomenti siano irrilevanti, o che la “tradizione” imponga e comporti la tutela di comportamenti cristallizzati, inaccettabili sul piano dell’uguaglianza umana, fra individuo e individuo.
Molti genitori, nonostante l’argomento sia ampiamente noto, si mostrano disattenti, inconsapevoli, distratti, in sostanza fanno poco o nulla per correggere i comportamenti scorretti sul piano sociale dei loro figli, futuri adulti, futuri cittadini di uno Stato e del mondo.
Ecco allora di seguito qualche appunto per:
MICRODRAMMI QUOTIDIANI AL PARCO
UNO
Un venerdì soleggiato di ottobre. Pomeriggio attorno alle 17.00. Anno 2021. Una piazza pedonale alle spalle del teatro Strehler, a Milano.
Personaggi in ordine di apparizione:
Bambino A di circa nove o dieci anni, che urla, irritato
Bambino B della stessa età, la cui voce è troppo lontana per percepire le sue parole
Bambina C loro coetanea, che non parla
Una palla
Io che attraverso la piazza frettolosamente, in ritardo per una conferenza che mi interessa e non parlo, anche se mi piacerebbe molto.
Scena Unica
La palla vola lontano e il bambino B corre a recuperarla dall’altra parte della piazza, lancio lungo.
Bambino A: (rivolto al Bambino B) “Hai capito che non me ne importa niente?”
Bambino B: è una voce fuori campo, le sue parole si disperdono nell’aria…o quanto meno il mio cervello non le registra…
Bambino A: (alzando la voce) Non me ne frega proprio un cazzo se lei è la tua fidanzata…
Bambino B: risponde ma le parole continuano a non pervenire alle mie orecchie, ma potrei dire che alludono a una specie di giustificazione bofonchiata di qualcosa.
Bambino A: (urla) Tanto lei è solo una femminuccia puzzolente.
La bambina tace e cammina velocemente come se cercasse di intercettare la palla, ha uno sguardo pensieroso.
Io sento avvamparmi di sdegno e furia. Però, per quanto sia furibonda, dovrei intromettermi con modi civili e tutto questo mi porterebbe via almeno un buon quarto d’ora, forse di più. Sono in ritardo e non posso fermarmi a spiegare alcuni concetti basilari sul rispetto interpersonale all’energumeno in crescita.
Spero che si trovi al più presto in una situazione in cui qualcuno gli spieghi come ci si relazioni con gli altri, chiunque essi siano. Mi incuriosisce molto sapere da chi gli arrivi l’associazione fra “femminuccia” (dispregiativo) e “puzzolente”, se da una fonte interna alla famiglia (gravissimo), o esterna (qualche amico, o compagno di scuola). Purtroppo non essendomi fermata a parlargli, la domanda è destinata a restare inevasa per l’eternità dei secoli.
Così altrettanto sarà senza nome il motivo di tanta ferocia. Forse la ragazzina aveva fatto un tiro sbagliato, forse aveva reso lento il gioco perché era estranea alle consuetudini, o perché riteneva poco interessante il tutto?
Redigere un elenco di possibilità potrebbe essere un lavoro interessante da proporre al lettore…Tanto ognuna di esse non giustificherà mai le parole che ha sentito quella bambina e che resteranno, se non debitamente disinnescate e ridicolizzate da un adulto, un segno capace di contribuire a minare la sua sicurezza di donna da adulta.
Nei giorni successivi la voce del bambino A che gracchiava i suoi insulti sessisti alla coetanea (probabilmente per mera invidia di non avere “una fidanzata”), ha continuato a perseguitarmi e continua a farlo.
“Ma Fatelo tacere….” direbbe stizzito Scarpia….un personaggio che la sapeva lunga sull’esercizio perverso del potere maschile, ma in questo caso, quell’imperativo mi sembra particolarmente adatto all’uopo.
(Prosegue)