Una drammaturgia botanico-vegetale? Intervista a Rodolfo Gentili, ricercatore in botanica (II)

 

Intreccio

è una delle parole chiave che uso durante le interviste e la sottopongo sempre agli ospiti, ma in questo caso, abbiamo spostato l’attenzione verso il mondo vegetale. Come spiegava nella puntata precedente, il nostro ospite, Rodolfo Gentili, docente di botanica all’Università di Milano Bicocca, Dipartimento di Scienze dell’Ambiente e della Terra, esiste una sociologia delle piante.

Mi piacerebbe molto approfondire come interagiscono le piante fra loro, come convivono. Così chiedo a Rodolfo di dirci cosa gli viene in mente a proposito del concetto di intreccio applicato al regno vegetale, specie in ambito urbano.

“In natura ci sono specie che convivono bene e che troviamo sempre insieme, oppure specie che troviamo assieme e convivono male, o specie che sono repellenti reciprocamente. Mi irrito quando mi presentano le piante come un mondo ideale e pacifico. Nei fatti non è assolutamente così. Nel mondo delle piante la lotta per la vita è predominante e si manifesta per accaparrarsi lo spazio e le risorse. Nei casi in cui la lotta è per la disposizione, di solito chi prima arriva meglio alloggia.

Lepidio della Virginia, erba spontanea
Lepidio della Virginia (Lepidium virginicum)

Chi produce più semi e li produce più velocemente, e li dissemina anche a lunga distanza arriva primo, occupa più spazio rispetto a chi disperde meno, o disperde più vicino. Lotta per le risorse significa conquista di luce, acqua, nutrimenti. Anche in questo caso, se pensiamo a un prato, alle numerose specie che vi risiedono, ci sono specie a foglia larga, stretta, che svettano, si tratta di una lotta per raggiungere e sfruttare la luce nel modo più ottimale possibile. La luce è infatti una delle risorse principali per le piante, perché permette la fotosintesi, la componente per fornire nutrimento ai tessuti, alle cellule della pianta.

In questa varietà di fattezze è come se ognuno mostrasse le sue armi. “Io ho la foglia larga, combatto meglio per conquistare la luce”, “io ho la foglia stretta, prendo meno luce ma ho radici profonde e prendo più acqua dal sottosuolo”. Ognuno mette in campo le proprie armi, le proprie capacità o, come sono definite in campo botanico, i propri caratteri morfo-funzionali. La funzionalità degli organi di una pianta si osserva anche in relazione alle altre piante presenti, per arrivare alla riproduzione, a dare luogo a nuovi individui.

Anche nella riproduzione c’è una varietà notevole, ci sono piante che adottano strategie differenti. Alcune specie si riproducono per via vegetativa, ossia per via clonale. Occupano gli ambienti tramite propaguli di varia natura, sotterranei o sub-superficiali, dove al loro interno ci sono cellule che hanno la funzione di dare vita a un nuovo individuo-clone della pianta madre. Queste piante occupano pian piano spazi molto estesi, ma geneticamente sono un individuo solo.

Noi spesso vediamo in un prato tanti steli, tanti individui della stessa specie, fioriti, dispersi nel prato. Se andassimo a scavare un po’ e a tirare le radici scopriremmo che sono tutti interconnessi fra loro e formano una popolazione di cloni. Quindi tali piante competono con gli altri producendo tanti cloni di se stesse. Infatti, la riproduzione sessuata è un notevole dispendio di energie per le piante. Per ciò, questi esemplari di fatto risparmiano in riproduzione e investono in organi vegetativi, in fotosintesi, ricreando altri individui che vanno a fiore, e non a seme, o producono semi sterili. Si propagano in questo modo e sono vincenti in certi ambienti.

Esiste però anche il rovescio della medaglia. Avere tanti individui con la stessa risposta genetica può essere svantaggioso in caso di cambiamenti ambientali notevoli, perché la risposta è singola. Se un individuo è attaccato fatalmente da un patogeno, possono morire tutti gli altri geneticamente identici. La popolazione non è in grado di reagire al meglio alle sollecitazioni e agli stress ambientali, a qualsiasi aggressione operata da parassiti. Se invece c’è una variabilità genetica, ogni individuo risponde in modo diverso. Chi è più debole muore, l’individuo più resistente, geneticamente forte, sopravvive e, di conseguenza, crea una popolazione di prole più forte.”

Chiedo ora a Rodolfo di avere qualche esempio di convivenze felici e nefaste fra le piante, sempre in rapporto alla casistica urbana.

“La casistica urbana è più difficile perché gli ambienti sono inospitali di per sé. Ci sono innanzitutto piante che arrivano prima in certi spazi, colonizzano e creano le condizioni affinché si possano stabilire anche altre piante. Nel caso di piante annuali, alla fine della stagione queste rilasciano i semi e l’anno successivo nasceranno nuovo individui grazie alla germinazione dei semi. Se è una perenne muore solo la parte subaerea vegetativa, mentre la pianta in sé sopravvive con gemme, a livello del suolo, o nel sottosuolo, con bulbi e rizomi nel caso di altre piante.

Con la nuova stagione ricresce un individuo geneticamente identico a quello dell’anno precedente perché è cresciuto dallo stesso apparato radicale, dalla stessa gemma dove c’era la pianta l’anno precedente. Il materiale vegetale morto cade nel sottosuolo, è degradato da insetti, funghi, vari microorganismi presenti attorno alla pianta. Si crea sostanza organica che, successivamente, viene mineralizzata allo stato più elementare. Il materiale resta in loco e si possono creare le condizioni per l’arrivo di altre piante.

Così, se ci riferiamo ai fori metallici, basi del segnale stradale, riscontrabili nei marciapiedi cittadini, supponiamo che al loro interno arrivi prima la parietaria che rispetto alla poa ha una biomassa maggiore, perché ha foglie più larghe, è più alta. Ebbene, può creare le condizioni favorevoli per l’arrivo di altre piante, perché lascia nutrimenti necessari non solo per sé ma anche per le altre, così si crea una convivenza. Una micro comunità fatta di parietaria e poa all’interno del tubo.

Il tarassaco è un’altra pianta che produce una discreta biomassa, in ambiente cittadino: ha foglie larghe, con il fusto carnoso, il fiore consistente. Una volta deperito, lascia a terra molta sostanza organica che fertilizza il terreno: in primis per i microrganismi che la degradano, se ne cibano e nel medio e lungo periodo per altre specie vegetali che trovano il terreno idoneo per la germinazione.

aiuole clandestine, creato da Sonia Arienta, drammaturgie urbane teatro contemporaneo
Aiuola Clandestina, un tempo residente in Via Ausonio, Milano. Attualmente asfaltata….

Occorre considerare che non sempre quando il seme arriva si insedia. Se non trova le condizioni ambientali adeguate non germina. Rimane lì in stato quiescente per anni. I semi sono una forma di sopravvivenza a lungo termine, resistono in attesa del momento favorevole. Le piante nel deserto, per esempio, possono restare sotto forma di seme per decenni.

Negli ambienti cittadini, quando si scava il terreno di una strada asfaltata e l’asfalto decorticato rimane lì, da un lato arrivano semi, con il vento, con le intemperie, o per capacità propria di dispersione, dall’altro, a terra c’era una banca semi sepolta, rimasta lì per molto tempo. Così, una volta che il suolo torna a vedere la luce, alcuni semi sopravvissuti germinano. Ridanno vita in modo inaspettato e insperato alla pianta sepolta.”

Chiedo a Rodolfo di illustrare qualche conflitto potente e poderoso fra piante…

“Conflitti….Una volta che una pianta si è insediata, grazie alla presenza di un’altra, iniziano i conflitti perché tutte e due devono mangiare!”.  Esordisce il nostro ospite. “Soprattutto se pensiamo per esempio al caso di “aiuole clandestine”, le risorse sono esigue e le piante se le devono dividere.”

Il tarassaco che si era installato insieme alla parietaria, in una delle mieAiuole clandestine” residenti in Via Ausonio (peraltro ora cancellata da una colata di asfalto) in effetti dopo un po’ è scomparso…

“Alcune piante sono più svantaggiate di altre e vengono soppresse dalla competizione. Molte adottano una sorta di guerra chimica, emettono sostanze definite alellopatiche. Sono nocive per le altre piante, sia in modo diretto, sia indiretto, tramite meccanismi particolari che avvengono mediante batteri che metabolizzano le sostanze rilasciate da un individuo e creano veleni per quelle “rivali”. Di fatto, si tratta di una sorta di “avvelenamento”.

Una specie esotica, particolarmente presente negli ambienti ruderali cittadini, l’artemisia cinese  o (Artemisia verlotiorum, ha capacità alellopatiche notevoli cosi come altre piante del genere Artemisia. In quanto invasiva, ha sostituito la specie nativa, l’Artemisia vulgaris. È molto profumata, nei tessuti, produce parecchi metaboliti secondari e sostanze oleose rilasciati a seguito dello strofinamento dei tessuti. Si presume che questi ultimi svolgano una funzione alellopatica, ossia un avvelenamento delle piante circostanti. Tant’è che l’Artemisia verlotiorum cresce in popolamenti molto densi, in compagnia di pochissime presenze vegetali. C’è lei e poco altro.

Artemisia Verlotiorum
Bordura colonizzata da artemisia o assenzio dei fratelli Verlot (Artemisia verlotiorum)

L’Artemisia verlotiorum tende a sopprimere le piante che le stanno intorno, sia per capacità competitive sue, perché si riproduce abbastanza velocemente per seme o vegetativamente in popolamenti densi, sia per la capacità di emettere sostanza volatili che in grande quantità avvelenano ciò che la circonda. Un altro caso è quello del pesco. I nostri nonni sapevano che sotto le sue fronde non si coltiva l’insalata, in quanto il medesimo emette molti metaboliti secondari che avvelenano le altre piante”.

Chiedo ora a Rodolfo di condividere alcune riflessioni attorno al concetto di

Spazio

in relazione alle piante. Per esempio, mi piacerebbe sapere quali possono essere gli spazi più interessanti da un punto di vista botanico (e drammaturgico), sia in città, sia in un contesto naturale alterato fortemente dall’intervento umano, come le cave abbandonate. Una realtà quest’ultima che ha attratto la mia attenzione, proprio durante una precedente conversazione con il nostro ospite. A questo proposito Rodolfo spiega come le cave possono essere “rinaturate”:

“In montagna, le cave di solito vengono riempite con detrito su cui si impianta vegetazione ad opera dell’uomo. Su queste superfici vengono “sparati” semi con idrosemina, in modo da recuperare la vegetazione. Di solito si scelgono semi adatti per questa operazione: molte graminacee, leguminose che hanno la capacità di migliorare il terreno. Lo preparano per l’arrivo di altre piante che giungeranno in modo naturale per disseminazione, finché tutta la superficie sarà rinverdita e si spera riprenda il processo naturale interrotto dall’uomo.

Questo avviene anche nelle cave di pianura, più sabbiose e detritiche di quelle montane, però il procedimento è simile. Vengono messe piante particolari a rapida germinazione, con grande capacità di insediamento, per rinverdire, preparare il terreno all’arrivo di altre piante, arbustive o arboree.

Possono essere impiantati subito alberi o arbusti che, tuttavia, non hanno una grande capacità di insediamento, necessitano di più risorse, risentono in modo maggiore la selezione e lo stress ambientale. È meglio quindi impiantare piante erbacee e lasciare alla dinamica spontanea di vegetazione l’arrivo di piante arbustive e arboree, per ricreare il bosco, o l’arbusteto.”

Per quanto riguarda la città, chiedo a Rodolfo di parlare degli spazi sui quali si sono concentrati durante la ricerca inerente le erbe spontanee condotta entro l’area delimitata dall’anello delle tangenziali di Milano, in particolare in riferimento agli scali ferroviari.

“Abbiamo investigato Lambrate, Milano Centrale e la zona dello Scalo di San Rocco, collegata a Porta Garibaldi, di cui costituisce una prosecuzione, con binari morti, o usati esclusivamente da mezzi di servizio. Si tratta di un’area molto grande, con zone riservate al lavaggio dei treni dell’alta velocità, in capannoni immensi.

Iperico lungo i binari del treno (Hypericum perforatum)
Iperico lungo i binari del treno (Hypericum perforatum)

In alcune di queste vasche di lavaggio il drenaggio è scarso e restano pozze in superficie, mini laghetti dove possono arrivare propaguli di specie più legate all’acqua, specie igrofile tipiche di ambienti paludosi. Così troviamo specie di sponde umide di lago o ambiente palustre dentro la città, altrimenti impossibili da trovare.

C’è la cannuccia di palude (Phragmites australis) per esempio, il cui nome rivela le sue origini legate alle aree stagnanti dei grandi laghi, molto comune in pianura padana, ma non in città. Grazie alle condizioni idonee sopradescritte l’abbiamo trovata nello scalo di San Rocco.

Oppure, abbiamo riscontrato la tifa (Typha latifolia) che produce un’infiorescenza a pannocchia marrone, spesso usata nelle nature morte, o nelle composizioni floreali. O un tipo di epilobio (Epilobium hirsutum) che cresce negli ambienti paludosi dal bellissimo fiore, un’assoluta rarità Tra gli altri ambienti investigati, ci sono le mura del Castello, varie tipologie di strade a grande percorrenza, con vialetti al centro.

Anche in questo caso, le aiuole dei vialetti sono microhabitat dove si incontrano specie particolari, quando non sono gestite e curate. Così, man mano che ci si allontana dal centro, si possono riscontrare le specie più disparate. Una presenza molto comune in questi vialetti è la Malva (Malva silvestris), un tempo usata nella medicina popolare grazie alle sue proprietà rinfrescanti e anti-infiammatorie.”

Rodolfo mi spiega che la malva difficilmente diventa un personaggio in un’aiuola clandestina, alloggiata in uno dei tubi metallici della segnaletica stradale rimossa, perché ha una discreta biomassa e quindi necessita di uno spazio più ampio, di maggiori risorse del suolo rispetto alla poa o alla parietaria. Analogamente, le pratoline: sono piante che si trovano nei prati stabili, poiché hanno bisogno di più risorse.

Chiedo a questo punto informazioni circa una pianta incontrata in un’aiuola clandestina insediata per qualche tempo in Via Torino, si trattava di una margheritina molto piccola con foglie frastagliate, il nucleo centrale giallino e petali quasi trasparenti.

“Credo sia la saeppola (genere Erigeron),” mi suggerisce Rodolfo “Ci sono almeno quattro specie comuni in città. Tre di queste sembrano molto simili tra loro e si possono confondere, ma se si vanno a vedere i tratti anatomici o la forma del capolino si può distinguerle; Erigeron canadensis, Erigeron bonariensis, ed Erigeron sumatrensis.”

Aiuola Clandestina di Via Torino, Milano
“Aiuole Clandestine” – Personaggio Verde un tempo residente in Via Torino, a Milano.

Quindi, il nostro ospite riprende il discorso legato al concetto di spazio e precisa che nell’articolo sulle piante spontanee di Milano, gli spazi in realtà erano stati definiti “paesaggi”, o uso del suolo principale. Un termine quest’ultimo usato dagli architetti e dai pianificatori degli ambienti urbani.

“Nella ricerca ci siamo occupati di queste quattro: aree costruite: ferrovie, quartieri, parchi e giardini. In quest’ultimo caso ci troviamo al cospetto di interventi artificiali attuati dall’uomo, ma alcune specie giungono in modo spontaneo, perché sono ambienti dove arrivano semi e alcune piante possono insediarsi e crescere.

Li abbiamo chiamati paesaggi perché all’interno di ognuno ci sono microambienti, come l’esempio delle aree ferroviarie, dove c’è la zona umida, la massicciata, il prato arido. Sicuramente costituiscono un concentrato di biodiversità, dove si registra la maggior varietà di specie, rispetto agli altri ambienti. Nei binari  abbandonati crescono boschetti, i marciapiedi delle stazioni sono un habitat a parte.

Così lungo le strade cittadine esiste una varietà di habitat: abbiamo il marciapiede (con tutte le sue combinazioni, in cemento, in asfalto, con gli autobloccanti, con il granito, o il porfido, il pavé, ognuna delle quali è un habitat che accoglie specie diverse), l’aiuola di mezzeria. Ognuna di queste aree è diversa, li abbiamo chiamati paesaggi in quanto contenitori di habitat.”

Chiedo se nella distribuzione delle piante nelle aree urbane, durante la ricerca sia emerso se esistano zone di Milano dove le piante spontanee preferiscono abitare, si concentrano maggiormente, se, in sostanza, ci siano strade o quartieri che offrono zone più “abitabili” di altre, o se all’interno della porzione delimitata dalla tangenziale sia stato notato uno sviluppo più o meno equamente ripartito.

“Lo sviluppo è più o meno equivalente. È variabile, piuttosto, nell’ambito di una stessa strada. Se sei vicino a un parco questo funge da sorgente di propaguli per tutti gli habitat circostanti. Oppure, se si tratta di un pezzo di strada vicino alla ferrovia, questa presenza arricchisce anche la strada. La distribuzione della ricchezza è a macchia di leopardo e dipende da vari fattori. Non è così semplice catturare una tendenza.

Ogni fattore ambientale può influire nella capacità di reperire risorse della pianta, come l’acqua, o il sole. Il suolo è altrettanto importante. Un conto è crescere su un marciapiede, un altro è svilupparsi su un terreno spesso, dove le radici possono scendere in profondità, come in un parco o un giardino. Le caratteristiche chimiche sono fondamentali, inoltre.

Inoltre, ogni fattore ambientale influenza sia la tipologia di piante sia la loro quantità e la capacità di insediamento. Se c’è troppo sole, o un eccesso di una risorsa in generale, questo diventa un elemento limitante, in quanto crea stress alle piante-. In questi casi restano solo quelle molto adattate a gestire quel tipo di risorsa eccedente.

Se c’è troppa acqua per esempio e le piante hanno le radici perennemente allagate non riescono più a crescere, perché non sono abituate a quella tipologia di ambiente. Vanno in anossia e muoiono. In questo caso, possono trovarsi bene le piante igrofile, adatte a vivere in condizioni di umidità perenne, di suolo impregnato d’acqua.”

A questo punto raccolgo un po’ di informazioni riguardanti le “Aiuole clandestine”. Per quanto riguarda le condizioni ambientali, ho notato che il momento di maggior vitalità di questi Personaggi Verdi “in scatola” –  cioè cresciuti nelle basi metalliche a sostegno della segnaletica stradale in disuso, sui marciapiedi – corrisponde al periodo compreso far novembre e marzo-aprile. Pare che il sole e il caldo eccessivi nuocciano a siffatte creature.

 

“L’ambiente è molto selettivo. Semplicemente, il ferro arroventato del tubo che contiene queste piante raggiunge sicuramente temperature molto elevate, probabilmente superiore ai 40° e quindi mette in difficoltà gli abitanti, durante la stagione estiva. Questi ultimi si ritagliano allora uno spazio per vegetare soprattutto nella tarda stagione, o in quelle intermedie. In inverno non riescono ad andare a fiore magari perché fa freddo. Mentre in primavera possono non riuscire a completare il ciclo.”

Rodolfo mi chiede se ho notato qualche fioritura e confermo di aver visto qualche fiore di tarassaco e di saeppola. Oltre al caldo, un altro problema che minaccia la sopravvivenza delle “aiuole clandestine”, è il calpestio. Ho in mente una colonia di aiuole vicino al liceo Manzoni messa a dura prova dal parcheggio delle biciclette e delle rispettive ruote che le schiacciano, oltre che dai mozziconi delle sigarette.

In altri casi, possono essere “soffocate” dai coriandoli, o dalle foglie secche, dai residui provenienti dal taglio dell’erba di giardini confinanti. Inoltre, in alcune “aiuole” ho l’impressione che ci sia un ricambio di abitanti.

“Questo è interessante, perché in natura ci sono le cosiddette successioni. Gli organismi colonizzatori preparano il terreno a specie più esigenti che hanno bisogno di più nutrienti e lo migliorano, attraverso la biomassa che si degrada, attorno alla pianta.

Quando arrivano i propaguli di una pianta più esigente trova il terreno pronto e si insedia. Se una successione è lasciata allo stato spontaneo in teoria si arriva a quella che viene definita la vegetazione potenziale di quel luogo, in equilibrio con le condizioni climatiche e pedologiche.

In questo senso, se guardassimo le città dal punto di vista strettamente naturale, potremmo affermare che le stesse sono un enorme abuso. Obliterano lo spazio naturale. L’uomo ha occupato lo spazio in modo artificiale sfruttando le risorse naturali, tuttavia dove ci sono i suoi manufatti, in realtà c’è una vita potenziale che potrebbe svilupparsi dal sottosuolo.

Se lasciassimo sviluppare in modo naturale le piante, se l’uomo sparisse dalle aree urbane in trenta o quarant’anni ci sarebbero boschetti. La strada asfaltata non più gestita si riempirebbe di erbette, semi di alberi entrerebbero nei palazzi. Dopo oltre cento anni una città diventerebbe un bosco…

L’educazione verso la spontaneità nelle città è ancora tutta da inventare. Siamo ancora troppo abituati alle aiuole artificiali fatte dall’uomo, anche se queste ultime possono essere opere d’arte. Non tutti hanno la sensibilità verso il verde, per apprezzare le specie spontanee.

Per la maggior parte delle persone queste ultime sono considerate “erbacce” infestanti, da debellare e da sostituire con un’aiuola curata nei minimi dettagli. In futuro, potrebbe esserci un’educazione per valorizzare queste piante neglette/reiette: creano ricchezza nella città, svolgono funzioni importanti di varie genere.”

Rodolfo Gentili, in quanto ricercatore in botanica ha fornito una notevole quantità di informazioni interessanti sulle quali riflettere a più livelli, al di là del suo specifico campo d’azione riguardante le scienze ambientali e l’ambito scientifico. Sul piano drammaturgico e, più in generale, della creazione legata alle arti visive ha condiviso con noi concetti e idee particolarmente utili a stimolare l’immaginazione, a individuare contesti ricchi di significato.

Borracina Bianca, erba spontanea lungo un muro di cemento
Borracina bianca (Sedum album) lungo un muretto di cemento

Oltre alle lotte drammatiche per la sopravvivenza, alla fragilità delle creature verdi e al contempo alla loro forza, ci sembra molto stimolante pensare alle funzioni delle piante, ai compiti loro affidati dalla natura, alla capacità di preparare il terreno, di colonizzarlo, di propagarsi, al modo di interagire fra specie diverse e anche alla capacità di restare “in attesa” di germogliare quando le condizioni siano favorevoli.

Tutto questo senza “umanizzare” le piante, piuttosto cogliendo gli spunti che offrono per sviluppare nuove ricerche legate a una drammaturgia “vegetale” o naturale da affiancare a quella urbana, montana, marittima…domestica…o a qualunque altro contesto la si desideri applicare/riferire.

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