La nostra idea di “personaggio” trascende la specie umana e i suoi “eroi”, o “antieroi”. Affinché il resto degli animali e il regno vegetale godano di una pari, giusta e legittima considerazione agli esemplari di Homo sapiens sapiens, implicante conseguente rispetto, dignità, tutela, è importante “accorgersi” di loro anche nella scelta dei soggetti legati alla drammaturgia di ricerca e alla sperimentazione artistica in genere. Nel nostro piccolo, al momento stiamo lavorando ad “Aiuole clandestine“, un progetto di drammaturgia urbana-vegetale, dedicato alle erbe spontanee che crescono nelle basi metalliche ex sostegni della segnaletica in disuso, sui marciapiedi e lo proponiamo a Milano, dal 15 al 30 settembre 2021, al CAM di C.so Garibaldi 27, grazie al contributo del Municipio 1.
Da questo punto di vista, quando, qualche tempo fa, ho scoperto grazie alla mia amica urbanista Angelica Demaestri, il lavoro di un gruppo di ricercatori dedicato alle piante spontanee in alcuni luoghi specifici di Milano ho pensato che fosse importante entrare in contatto con loro, in particolare con Rodolfo Gentili, docente di botanica all’Università di Milano Bicocca, Dipartimento di Scienze dell’Ambiente e della Terra.
Così, oggi e nella prossima puntata riflettiamo insieme a lui attorno ai “soliti” punti che propongo ai nostri ospiti inerenti la drammaturgia, i personaggi, gli spazi, ma in questo caso, l’insieme acquista una valenza particolare e decontestualizzata, poiché la applichiamo alle piante, in particolare a quelle spontanee che crescono in città. Ci muoviamo, così, su un doppio binario: da una parte quello dell’immaginario, dei simboli, delle metafore; dall’altro quello delle scienze naturali, dei dati, delle reazioni chimiche…Un binomio dialettico che riteniamo interessante mettere a confronto.
Inizio così a chiedere a Rodolfo Gentili in che cosa possa consistere dal suo punto di vista una drammaturgia urbana “vegetale” (o naturale, o botanica, come la si desideri definire).
“La drammaturgia urbana vegetale per come me la immagino io è semplicemente il racconto della vita delle piante, perché le piante combattono ogni giorno per sopravvivere nell’ambiente in cui crescono, quindi si tratta di una drammatica lotta per la sopravvivenza.
Le città, gli ambienti urbani costituiscono un ambiente altamente selettivo e inospitale, quindi la lotta è la parte predominante nella scrittura del “dramma”. Se pensiamo alle erbe a bordo-strada, a una pianta che cresce fra le crepe dell’asfalto, o fra i mattoncini autobloccanti, o ancora, nei muretti a secco, abbiamo subito l’idea di quanto sia ardua la lotta per questi esseri viventi che, ogni giorno, cercano di assicurarsi il nutrimento necessario.
Le piante cercano risorse che, in questi ambienti, sono davvero scarse. Così allungano le radici, cercano di togliere nutrimento ad altre piante, di arrivare alla luce nei luoghi più ombreggiati, perché anche la luce è una risorsa, o cercano l’acqua. Fondamentalmente per sopravvivere fanno questo.
A proposito di quello che tu chiami “drammaturgia urbana vegetale” o “naturale” pensavo al lavoro svolto da Roland McMillan Harper, un botanico americano attivo nella prima metà del Novecento, teso a identificare e a definire la sociologia vegetale. Ovvero come le piante vivono in comunità negli ambienti di crescita. Questo scienziato ha cercato di fare un parallelismo fra società umana e quella delle piante, così, per esempio, alludeva agli aristocratici, o al terzo stato, a personaggi eminenti, a individui reietti, o ai colonizzatori. Tutte figure che si possono riconoscere anche in ambito vegetale. Con una differenza fondamentale: nelle piante non abbiamo una singola specie come per l’Homo sapiens.
Le società vegetali sono formate da specie diverse, quindi le interazioni che avvengono fra individui della stessa specie e fra specie differenti sono stratificate, decisamente molto più complesse della società umana. Ciò vale anche per quel che riguarda l’inizio della vita di una pianta. Nei mammiferi l’inizio della vita parte nel grembo materno dove è assicurata massima protezione. Al contrario l’aspetto predominante dell’inizio della vita di una pianta è la disseminazione, ossia il lancio, la dispersione del seme contenente l’embrione. La contrapposizione di queste due situazioni evidenzia la differenza sostanziale fra i due mondi.
Spesso noi esseri umani cerchiamo di trovare parallelismi, di incanalare la vita delle piante riproponendola, rapportandola ai nostri schemi. In realtà, la vita delle piante è proprio diversa. Se osserviamo bene quel che avviene negli spazi urbani camminando per le strade possiamo renderci conto di questo. È una storia tutta da raccontare. Quando proviamo a inserirla nei nostri schemi di pensiero, per esempio attraverso l’idea di una drammaturgia urbana vegetale, ci muoviamo in un contesto che è un riflesso, un’ombra di quello che può essere nella realtà la vita delle piante.”
Al di là del fatto che sul piano scientifico sia necessario evitare di lasciarsi andare all’individuazione di immagini metaforiche, o simboliche sulle quali lavorare, materiale indispensabile invece a chi lavora nell’ambito della produzione culturale-artistica, è interessante rilevare l’importante punto sul quale ci fa riflettere Rodolfo: il concetto di lotta per la sopravvivenza in un ambiente ostile, come lo spazio urbano cementificato, da parte delle piante spontanee e di strategie attuate per resistere e affermarsi, guadagnare spazio.
Un altro punto che mi ha particolarmente colpito è il concetto di sociologia delle piante, così confesso che mi piacerebbe approfondire questo aspetto e di farmi esempi riguardanti l’identità e le caratteristiche delle piante “aristocratiche” e di quelle “proletarie”, ovvero di parlarmi diffusamente dei….
…Personaggi (verdi)
“Possiamo fare vari esempi, semplicemente attraverso l’osservazione degli ambienti abitati dalle piante. Se ci soffermiamo sull’ambito urbano, il Castello Sforzesco, per esempio, una delle più evidenti manifestazioni di nobiltà del passato e uno dei tanti cuori della città, possiede mura sulle quali crescono diverse piante. In parte sono state portate dall’uomo, fin dai tempi della sua edificazione, in parte si sono diffuse attraverso una colonizzazione spontanea.
Alcune di queste piante potrebbero essere definite nobili. Sulle mura, infatti, è stata recentemente riscoperta una pianta endemica fra i muretti a secco del fossato: lo ieracio milanese (Hieracium australe subsp. australe). Si tratta di, una piccola composita gialla, appartenente a un gruppo di piante che va a incontro a differenziazione, ovvero a un’evoluzione veloce sulla base dell’ambiente in cui cresce e grazie ad un tipo di riproduzione molto particolare (si riproduce quasi esclusivamente per via asessuata).
Si è così differenziato uno ieracio milanese sulle mura del castello già nel passato, descritto nel 1848 dal botanico svedese Elias Magnus Fries (che fu allievo di Linneo) e ritrovato durante un censimento recente. L’endemismo, per i botanici e i biologi, in generale, è una forma di pianta nobile, in quanto è molto rara, esclusiva di un territorio ristretto, per questo ricercata e osservata. Da un lato possono essere specie di probabile neoformazione, come lo ieracio milanese, dall’altro sono di origine antica. Gli endemiti vivono in luoghi particolari, in condizioni ambientali peculiari”
Data la mia ignoranza botanica chiedo a Rodolfo che cosa si intenda per “specie di neoformazione”
“Mi riferivo agli endemiti (ma possono anche non essere tali)”, mi spiega “Si tratta di specie che si formano per processi di evoluzione, tramite selezione, adattamento e quindi con differenziazione genetica e morfologica. Questi processi che, nel complesso, sono definiti speciazione, generano nuove entità. In alcuni gruppi di piante la speciazione può essere molto lunga, in altre più veloce, ciò dipende da tantissimi fattori.
Per esempio, pensiamo alla selezione operata dall’ambiente, all’accumulo di mutazioni tradotte poi in adattamento all’ambiente in cui si trova la pianta, fino al momento in cui la medesima diventa così diversa dagli individui della sua specie originaria da non incrociarsi più. Non è più interfertile, pertanto ci troviamo di fronte ad una specie nuova. L’interfertilità può poi dipendere sia da fattori genetici, sia da barriere geografiche, ma questi sono altri aspetti molto complessi..
Gli endemiti, come nel caso dello ieracio, sono popolazioni molto isolate in un’enclave cittadina. In questo caso il castello sforzesco per le sue caratteristiche intrinseche (muri a secco, circondati da un parco, posto in un’area urbana molto grande) ha creato le condizioni grazie alle quali, le popolazioni dello ieracio milanese sono rimaste separate da altre popolazioni, si sono adattate e differenziate. Così è stata descritta questa specie nuova.
Nell’ambito di una certa area geografica un’endemita dà valore alla flora locale. Anche a livello scientifico la presenza di tanti endemiti in un dato territorio dà valore alla flora. Infatti, gli hot spot della biodiversità distribuiti nel mondo vengono definiti anche sulla base della presenza di specie endemiche, esclusive di quel territorio, oltre che per la perdita di habitat originario.
Altre piante, invece, vivono in luoghi negletti, inospitali, periferici, degradati, “pericolosi”. In queste aree spesso si trovano piante “ruderali” (così denominate perché crescono fra ruderi, rovine, macerie, terreni abbandonati, bordi strada). Le possiamo chiamare i reietti vegetali delle città. Fra questi possiamo citare il farinello comune (Chenopodium album). Negli ambienti cittadini e periurbani è fra le specie più comuni, tipico delle aree degradate.
Fra questi due estremi, nel mezzo, si inserisce un altro mondo ancora: le piante che crescono nei parchi e nei giardini. Potremmo individuarne alcune “nobili”, perché vivono in un ambiente agiato, ricco di risorse, con un terreno fertile o fertilizzato artificialmente. Sono piante che non hanno problemi a crescere, si nutrono bene, al contrario delle piante più “povere” così classificabili in quanto dispongono di poche risorse, poca acqua, pochi nutrienti, faticano a vivere, lottano per la sopravvivenza e per lo spazio ogni giorno.”
A proposito dei reietti, chiedo al nostro ospite di spiegarmi meglio la vita dei personaggi residenti nelle zone più difficili e impervie, povere, ostili, dove la sopravvivenza è dura e domando quali siano i personaggi più interessanti o i suoi preferiti, perché abbiano storie più drammatiche da far conoscere.
“Per quanto sia difficile operare esclusioni, a me piacciono molto le piante dotate di una grande capacità di dispersione, piante che “viaggiano tanto” e cercano di occupare gli ambienti viaggiando. Queste specie, in grado di spargere i loro semi, i propri propaguli, le troviamo un po’ ovunque. Fra loro c’è una sottocategoria, le specie non native, ossia che si trovano al di fuori del proprio areale di origine (provenienti quindi da altre regioni del globo) e diffuse volontariamente, o involontariamente, dalle attività umane. Si chiamano specie alloctone o aliene.
Sono viaggiatrici, spesso portate deliberatamente dall’uomo come le specie ornamentali diffuse nei parchi e nei giardini. In un secondo momento, in modo spontaneo si sono diffuse al di fuori di questi ambienti artificiali, negli ambienti naturali. Alcune di queste, sono diventate invasive e dannose per le attività umane stesse.
Ci sono state entità alloctone arrivate in modo clandestino, indipendentemente dai propositi umani, per esempio nelle derrate di semi, come il grano, o nei mangimi di uccelli o altri animali. Spesso i semi di queste piante, durante la raccolta del grano vengono a loro volta recuperati accidentalmente e finiscono nei sacchi trasportati e commercializzati in giro per il mondo.
Giunti a destinazione, alcuni di questi semi non riescono a germinare perché l’ambiente è troppo differente da quello di origine e quindi selettivo; altri invece raggiungono l’obiettivo e quindi si riproducono nei terreni coltivati (ed in aree limitrofe) delle regioni invase, infestandole. Queste piante sono molto osteggiate dall’uomo, soprattutto in ambito agricolo, posto che riducono la produttività.
Fra le piante viaggiatrici clandestine c’è, ad esempio, il senecione sudafricano (Senecio inaequidens), una composita gialla, originaria delle montagne del Sudafrica dove vive sugli accumuli di detriti. La crescita sui detriti – un substrato instabile, di per sé selettivo per una pianta – implica che questi organismi siano particolarmente robusti, abituati a sopportare la fatica, gli stenti. In montagna, i raggi solari colpiscono i tessuti in modo più intenso per cui le piante si devono difendere, e resistere attraverso l’adattamento.
Il Senecio inaequidens produce piccoli semi con un pappo, una specie di peluria che cresce su uno degli apici del seme, di fatto diventa un seme piumato. Questi suoi peli, questo piumaggio favoriscono la dispersione del seme, il suo volo, così che esso si possa anche attaccare alle pellicce degli animali. In montagna, i semi si sono “appoggiati” sui manti delle greggi di pecore che frequentano i pascoli in quota, in un secondo tempo, le piante si sono avvicinate alle zone di bassa quota del Sudafrica.
Alla fine del XIX secolo, quando la lana derivante da tosatura è stata immessa sul mercato mondiale, i semi di senecione intrappolati nella merce sono stati introdotti in Europa. In seguito la pianta si è naturalizzata e quindi si è ulteriormente diffusa in Italia ed Europa proprio attraverso tale attività commerciale. Così da letteratura, è raccontata la modalità di dispersione e invasione di questa specie.
In Europa il Senecio inaequidens ha invaso diversi ambienti, in particolare quelli ferroviari, posto che ama crescere sui detriti. Sulle massicciate è, infatti, molto diffusa, in fondo è come fosse ritornata alle origini… Soprattutto in autunno fa macchie di colore giallo molto belle e allieta i viaggi dei pendolari. La noto spesso nei miei viaggi in treno. Tuttavia, può essere nociva per l’uomo perché contiene sostanze tossiche nei propri tessuti.
Dato che cresce anche nei pascoli, gli animali, brucando la ingeriscono e le tossine contenute in lei si trasferiscono al latte e ai suoi derivati. Inoltre, la pianta è spesso visitata dalle api e quindi queste sostanze tossiche presenti nel polline corrompono di conseguenza il miele. Infine, invade praterie naturali, occupa spazi non secondari delle nostre latitudini e può ridurne in parte la ricchezza quando occupa superficie estese. Per queste ragioni il Senecio inaequidens è considerato indesiderato, benché in ambito cittadino abbellisca le aree ferroviarie e crei macchie di colore da pittore”.
Chiedo a Rodolfo di proseguire con la presentazione di altri Personaggi Verdi significativi, dalle storie interessanti. Ognuno di loro, come si può intuire dai dettagli e dalle spiegazioni precedenti, rimanda a problematiche e dinamiche complesse, altamente simboliche. Trascendono la dimensione naturale e implicano risvolti davvero considerevoli, spunti sui quali riflettere a proposito delle conseguenze delle attività umane e alla globalizzazione economica, dei traffici internazionali, così come alla destinazione d’uso degli spazi, ai concetti di “invasione”, di “presenza indesiderata”. Il prof. Gentili riprende così a raccontare:
“C’è per esempio la poa (Poa annua), specializzata nel crescere fra i mattoni, nelle crepe di asfalto, nelle buche dei cartelli stradali. È una pianta piccola, con poche esigenze di nutrienti, quindi può tranquillamente crescere anche nelle fessure del cemento o lungo i bordi strada sabbiosi con poco o nullo nutrimento. In alcuni Paesi, specialmente in America, è considerata invasiva dai progettisti di campi da golf, perché danneggia il manto erboso. In realtà, pare sia amata dai golfisti perché non danneggia il percorso della pallina e spesso la si trova attorno alle diverse “buche”.
In ogni caso, è diventata famosa negli Stati Uniti, in parte combattuta, in parte amata, perché non è così facile eradicarla. Quando una pianta si stabilisce e sta bene, per quanto l’uomo cerchi di estirparla, in realtà è davvero difficile eliminarla. Quando decide di starci ci sta. Così fa la poa, pianta cosmopolita. Ha avuto un gran successo perché resiste in modo ottimale al calpestio, non a caso la troviamo in ambiente urbano dove vegeta bene. È uno degli abitanti delle città più comuni.”
Insieme alla parietaria…aggiungo io, una delle mie recenti nozioni botaniche, acquisite dopo una precedente conversazione con Rodolfo che inizia a presentarla:
“Sì, una pianta poco amata perché è molto allergenica, conosciuta in ambito biomedico e da chi è allergico. Di solito sui muri in città si trova la Parietaria giudaica, mentre la Parietaria officinalis cresce in ambienti più umidi, nei fossati, in alcune zone più ombreggiate, soprattutto fuori dal contesto cittadino.
Tra le specie allergeniche in ambito cittadino c’è anche l’ambrosia (Ambrosia artemisiifolia), un’altra pianta viaggiatrice, originaria del Nord America, arrivata da noi probabilmente attraverso le derrate alimentari, mischiata al grano. Produce una quantità enorme di semi e come tutte le piante che producono una gran quantità di semi riesce a colonizzare maggiormente gli ambienti, perché prima o poi trova il luogo giusto per germinare e una volta attecchita si espande molto velocemente.”
Ho un’impellente curiosità da soddisfare in relazione alle osservazioni realizzate durante il monitoraggio delle erbe spontanee per “Aiuole Clandestine a Milano, così chiedo se per quanto riguarda l’acetosella incontrata più volte nei buchi di metallo ex sedi per i pali della segnaletica stradale, ci siano diverse specie.
“Sì ci sono diverse specie che appartengono al genere Oxalis alcune sono native in altri casi ci sono varietà coltivate, alcune anche esotiche, importate dall’uomo per scopi ornamentali. Alcune hanno il fiore bianco, altre rosa, o anche giallo.”
A questo punto, seguo una curiosità personale e chiedo delucidazioni a proposito di una pianta spontanea che è cresciuta nei vasi del mio balcone e che “spara” semi quando la tocco. Rodolfo apre letteralmente un vaso di Pandora…:
“Nella classificazione delle piante, oltre alla filogenesi, all’evoluzione, alla similarità genetica di caratteri, del patrimonio genetico, morfologico condivisi, rientra anche quella legata ai caratteri funzionali della pianta, o ad alcune capacità peculiari, come appunto quelle legate alla disseminazione. Uno di questi metodi di disseminazione è definito “ballocoro”. In questi casi la pianta compie operazioni “balistiche”, spara il seme, una volta maturo, lanciato con meccanismi biomeccanici legati al turgore dei tessuti, non appena viene toccato il frutto, sfiorato da un animale, o in relazione alle condizioni atmosferiche, dal vento, o dalla pioggia. In questi casi, il seme è sparato lontano dalla pianta madre.
Oltre al sistema di dispersione designato dal termine “ballocoria” possiamo citare altre forme fra le quali l’inseminazione “anemocora” legata al vento, o idrocora, legata alla pioggia o ai corsi d’acqua, antropocora legata alle attività dell’uomo, zoocora se i semi sono dispersi grazie all’intervento di altri animali.
Fra le varie possibilità affidate agli animali, c’è quella delle formiche, definita mirmcocoria, degli uccelli (ornitocore), e via dicendo. Insomma, c’è tutta una classificazione correlata alla capacità di dispersione davvero notevole e fantasiosa.
Ci sono tantissimi modi di dispersione. Le piante cercano l’ambiente più idoneo perché vengano ospitate e non sono ospitali per tutte le specie. Se torniamo all’ambito cittadino, gli ambienti ospitali sono pochissimi, per questo si insediano soprattutto piante che hanno una grande capacità di dispersione e poche esigenze di nutrienti, di risorse per crescere e rigenerarsi in un nuovo ciclo.”
Ho ancora qualche curiosità a proposito del tarassaco (Taraxacum sp.), una delle presenze più comuni fra le “Aiuole Clandestine”, così chiedo a Rodolfo se, in presenza di foglie con piccole spine, si tratta di una piantina appena nata o di un’altra pianta.
“Se ha foglie con vere e proprie spine potrebbe essere un’altra specie. Se ha peli irti sui margini dentati della foglia potrebbe ad esempio trattarsi del grespino comune (Sonchus oleraceus). Di solito il tarassaco presenta pochissima peluria su fusto e foglie, se non nulla. La peluria delle piante è un aspetto molto complesso ed osservato dai botanici in quanto spesso rientra tra i caratteri per discriminare una specie da un’altra.
Nelle fasi della sua vita, una pianta può avere peli che poi perde durante l’età più adulta, o durante la sua senescenza. In altri casi può mostrare pubescenza per tutto il ciclo di vita. Questo rientra nella variabilità delle piante, caratterizzate da notevoli differenze, nella forma, nella dimensione, nella distribuzione di elementi (peluria, denti). La variabilità delle piante è notevole, come la nostra…”
(Prosegue la settimana prossima…)