Francesca Consonni – Frammentazione del quotidiano. II Parte.

Proseguiamo nelle riflessioni attorno al concetto e all’uso dello spazio nel lavoro di Francesca Consonni, giovane scenografa e visual artist, attiva a Milano e formatasi all’Accademia di Brera e alla NABA. In particolare la nostra ospite, in questo momento della sua produzione, è particolarmente interessata a operazioni di ricollocazione e trasposizione legate allo spazio, nonché alla frammentazione delle immagini legate alla quotidianità, alla loro ricollocazione e decontestualizzazione.

Così a proposito di un progetto di natura editoriale su un testo della “poeta” Patrizia Cavalli, intitolato Il dolce limite avviene una trasposizione spaziale:

“Ho deciso di definire il progetto “messa in scena”, proprio perché ne richiama la struttura. Non vi è tridimensionalità teatrale ma la spazialità si crea attraverso la sovrapposizione di testo e immagine. Utilizzo i volumi e le estensioni fisici del libro come filtro con cui tradurre in un altro modo lo spazio. Anche questo progetto, di nuovo, gioca sulle sproporzioni: all’interno, il corpo ingigantito si staglia su paesaggi, cieli e architetture. Ho utilizzato gli elementi del contesto urbano e dei paesaggi come sipari mutevoli in cui il corpo rimappa e cartografa i propri confini.

Francesca Consonni Il dolce Limite
“Il dolce limite” elaborazione su testi di Patrizia Cavalli

Il poeta (come ama definirsi Patrizia Cavalli) nei suoi versi esprime l’irrequietezza del corpo che fugge da qualsiasi limite spaziale alla ricerca dell’Altro, si rifugia in scenari quotidiani effimeri che però ogni volta si manifestano vani. È a partire da questo rapporto di contrazione e dilatazione che ho realizzato le fotografie e successivamente i collage che evidenziano un corpo alle volte sezionato altre volte in forma di estensione, di completamento.

Quella che ho operato è una violazione della gerarchia spaziale, in cui il corpo prende spazio, diventa protagonista, si scontra e al contempo si esibisce sulla solennità di edifici e paesaggi. Inoltre, il testo poetico traspare in ogni fotografia come traccia, questo perché per me il rapporto con il testo è fondamentale.

Tutti questi elementi formano il corpo del libro, una messa in scena. La scelta di creare un dialogo, dove testo e immagine si sovrappongono è importante, per questo motivo cerco di guidare il pubblico attraverso una drammaturgia scritta, oltre che visiva.

Un altro lavoro basato sul concetto della traslazione spaziale è “Piccoli cambiamenti di luce”, un work in progress, in cui appena ho la possibilità aggiungo un tassello. Nasce come un lavoro fotografico incentrato sulla presenza della figura umana. Ho fatto questi scatti divisi in tre atti, dove il corpo compie un percorso in cui si dichiara. Il soggetto diventa bidimensionale quando è proiettato su uno schermo, in quello che ho chiamato “teatro cinematografico”, dove lo spettatore ha un rapporto più ravvicinato con il soggetto.

Francesca Consonnni - Piccoli cambiamenti di luce. Videointallazione
Francesca Consonni. “Piccoli cambiamenti di luce.” Videoinstallazione

Durante la scansione delle foto, il personaggio rappresentato si avvicina sempre di più allo spettatore e si dichiara come presenza corporea, nonostante la bidimensionalità della videoproiezione. Sono presenti una quinta centrale e due laterali, all’interno di un magazzino che conserva materiali di alluminio e isolanti. Lo stesso luogo dove ho scattato le foto che proietto. Questo elemento così estetico-cinematografico, in uno spazio abbandonato, ha aiutato molto a potenziare il lavoro.

L’installazione è costruita con fondali verticali perché volevo richiamare la struttura prospettica del teatro, della successione di quinte. Al contempo, i fondali ricordano la quinta ma sono realizzati con le proporzioni dello schermo panoramico. Questo perché lavoro sulle caratteristiche tecniche del medium per poi fare emergere altre dimensioni visive.

L’idea di potere creare spazi cinematografici o teatrali fuori dagli spazi istituzionali è molto importante per me: credo sia un approccio più critico verso il lavoro e più stimolante. Ovviamente il teatro ha la sua struttura, però questo metodo fa sempre parte della frammentazione di spazi istituzionalizzati.

Quando ho realizzato questa installazione per la prima volta ero da sola, ma l’idea sarebbe quella di aggiungere una piccola performance all’inizio dove viene recitato un testo letto in playback, sempre di Patrizia Cavalli, per ragionare sul concetto della presenza e dell’assenza. Il performer abbandonerebbe il palco e la recitazione continuerebbe dal punto che ho appena descritto.

Francesca Consonnni - Piccoli cambiamenti di luce. Videointallazione
Francesca Consonni. “Piccoli cambiamenti di luce.” II Atto. Videoinstallazione

Chiedo a Francesca Consonni di dirmi che cosa le suggerisce la parola

“Personaggi”

“Viviamo in un contesto dove è difficile identificare personaggi, piuttosto vedo comparse, alcuni volti però possono essere importanti. In Corsivi miei, un lavoro più fotografico ma sempre con una traccia teatrale, ho usato una busta postale come contenitore. Vi ho inserito frame del contesto urbano, assegnando loro un contesto diverso rispetto a quando le ho scattate, in cui ero turista, automobilista, pendolare, etc. Insomma, ho prodotto uno scarto nel restituire i miei diversi punti di vista e ho voluto dichiarare quello da cui stavo guardando la realtà in ogni occasione.

Anche senza accorgermene, scattando queste foto è emerso, a proposito dei personaggi, un aspetto importante: il concetto di multiculturalità negli spazi urbani, ancora così difficile da accettare per il contesto di provincia. Nel contesto urbano è ovviamente molto più radicato e visibile, come mostrano le foto anche delle insegne.

Si può notare per esempio nel caso, quasi ironico, di una chiesa cattolica di fianco a un ristorante cinese. Ogni busta contiene un capitolo. All’interno, ci sono sia paesaggi, sia persone. Le foto sono scattate da lontano, con il telefono, un po’ di anni fa, con una risoluzione di immagine non ancora così buona come quella dei dispositivi attuali, ma l’ho usata volutamente così, in senso critico: i telefoni stavano andando verso l’alta definizione, io invece volevo fare vedere i limiti della camera. Infatti, con la ripresa da lontano, le foto venivano sgranate.

Queste persone-personaggi non hanno un’identità e non se ne riconosce l’identità del volto. Ci sono, sono comparse, agiscono in un ambiente che ho delimitato e scelto io. Corsivi miei è quindi un archivio di sguardi suddiviso in capitoli di realtà. Su ogni cartella viene dichiarato il punto di vista di chi scatta, anche rispetto al contesto antropologico. Si tratta di poor images, secondo la definizione di Hito Steyerl, l’artista che ha dato il via a questo nome per le immagini povere, a seguito della primavera araba.

In quel contesto, non era importante che le immagini fossero di alta qualità, ma che si potessero diffondere velocemente e fornissero una testimonianza di ciò che stava accadendo. La qualità dell’immagine ha valori diversi a seconda del contesto e del periodo storico. Per fornire autorevolezza a questa definizione “scadente” dell’immagine ho stampato gli scatti su una carta molto povera, la carta da pacco.

Francesca Consonni: "Corsivi miei". Fotografia su carta da pacco.
Francesca Consonni: “Corsivi miei”. Stampa a colori su carta da pacco.

Anche in questo caso mi sono ispirata a Foucault, quando dichiarava che l’oggettività critica non esiste e che bisogna esplicitare il punto di vista. Volevo creare storie, una drammaturgia, e ho deciso di creare capitoli con titoli poetici e ironici. In questi contesti interagiscono sia personaggi sia elementi di paesaggio. Mi piaceva l’idea di assicurare la libertà e non costruire una storia definita; di spingere lo spettatore a interpretare questi immaginari, senza dare una narrazione chiusa da un inizio e da una fine.

Per quanto la giovane età della nostra ospite implichi ancora un ridotto contatto diretto con il pubblico, provo a chiedere a Francesca che cosa pensi del rapporto con esso e come valuti di affrontarlo.

“Domanda difficile. Sto pensando alle reazioni dei passanti in Brutta copia di una stanza. Alcuni meccanismi catturano l’attenzione del pubblico. Nel prendere un elemento familiare come il comodino, da un lato avvicino il pubblico, perché ha una dimestichezza, empatia, confidenza, con l’oggetto mostrato. Allo stesso tempo è decontestualizzato, così nello spettatore si innesca curiosità e interesse per quel che sta vedendo, anche se l’azione non è così dichiarata.

Il mio approccio non è comunque invasivo sullo spettatore, suggerisce un avvicinamento e una comprensione verso un qualcosa che a livello visivo, sul piano canonico, non può essere compreso immediatamente. Per quanto riguarda il rapporto con il pubblico a cui mi rivolgo, il mio spettatore potrebbe essere una persona come mia madre, cioè uno spettatore estraneo all’ambito artistico. Mi spiace molto se l’installazione pubblica esclude la comprensione. Desidererei sempre mantenere una finestra aperta verso un pubblico non addetto ai lavori, usare un approccio confidenziale, con elementi più vicini al suo immaginario, ma presentarlo in modo del tutto decontestualizzato.”

Un desiderio immagino, che deriva dalla volontà di spingere lo spettatore ad avere un approccio critico verso la realtà. Nel percorso che abbiamo affrontato con Francesca Consonni, emergono allo stato attuale del suo lavoro, la propensione all’esplorazione dello spazio urbano, e non solo, attraverso le immagini fotografiche, o video, dove codici di comportamento e oggetti di uso quotidiano appaiono decontestualizzati, ricollocati, ridiscussi.

In tal modo lo spettatore è sollecitato a meditare sugli scarti possibili che emergono nel proprio modo di percepire la realtà, osservarla e registrarla. Contemporaneamente il medesimo è anche messo “in guardia” dall’attribuire eccessivo potere all’immagine stessa, in un mondo e in una società basati proprio sulla ridondanza del materiale visivo.

Francesca Consonni "Piccoli cambiamenti di luce"
Francesca Consonni: “Piccoli cambiamenti di luce”. Videoinstallazione e performance.

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