Francesca Consonni – Frammentazione del quotidiano

La progettazione di opere nello spazio pubblico affidate a molteplici linguaggi, legati all’ambito teatrale, a quello dell’azione performativa e non, sembra segnare un’accelerazione quasi vertiginosa negli ultimi anni e certamente in questo ultimo periodo, anche in seguito alle restrizioni imposte dalla pandemia. Ci si può chiedere tuttavia, come le giovani generazioni si confrontino con questo genere di lavori, se siano più o meno interessate ad affrontare questo particolare ambito di produzione e di proposte, quali siano i motivi che li sollecitano ad affrontarli.

Mi rivolgo quindi a una giovanissima scenografa, Francesca Consonni, appena uscita da Brera e NABA, molto incline a sperimentare, alla ricerca in ambito video e nuovi media, attenta e consapevole rispetto all’uso critico dei diversi linguaggi, così come alla fruizione attiva da parte del pubblico. Anche a lei propongo la griglia abituale con la quale propongo alle persone che si occupano di drammaturgia urbana e più in generale di lavori strettamente legati agli spazi aperti, alle problematiche legate alla teatralità della vita quotidiana, di riflettere su alcuni aspetti nodali, almeno dal nostro punto di vista. Incominciamo con il primo punto riguardante la definizione di….

Drammaturgia urbana, o drammaturgie urbane

“Mi piace più la versione al plurale, di drammaturgie urbane” esordisce Francesca “nel senso che io ho un approccio molto visivo, da scenografa e da artista visuale. Il concetto di drammaturgie urbane lo vedo come un grande contenitore dal quale estrarre alcune parti. Il mio lavoro si basa molto sulla selezione e sulla frammentazione soprattutto del quotidiano. Di un quotidiano che può essere pubblico, ma anche soprattutto privato. Lavoro con medium strettamente connessi all’immagine, quindi la fotografia e il video. Tendo a rimpicciolire questi piccoli momenti del quotidiano nei miei lavori. Quindi c’è una specie di trasposizione spaziale di ridimensionamento.

Francesca Consonni Brutta copia di una stanza
Francesca Consonni: “Brutta copia di una stanza” – Installazione. Piazza G. Aulenti. Milano.

Ci sono alcuni lavori che ti colpiscono quando studi e che poi trascini con te sempre. Per esempio mi hanno molto colpita gli scatti fotografici di Ghirri di oggetti kitsch in negozi turistici. Dava loro molta autorità tramite la fotografia, perché in questi casi egli ingrandiva l’oggetto. Per tornare alla questione della drammaturgia urbana, mi piace questo ambito perché sono una grande osservatrice, nel contesto attuale, così saturo di immagini. È satura l’immagine stessa e le città sono sature di immagini. Sono sempre affacciata verso l’esterno. Ho sempre il telefono in mano, per scattare, anche se non sono immagini che utilizzerò, ma per comporre una geografia, una mappatura degli spazi. Se dovessi sintetizzarla in due parole direi che la drammaturgia urbana per me è una scrittura visiva.”

A questo punto, Francesca tiene a sottolineare che preferisce la dicitura al plurale a quella al singolare e spiega:

“Drammaturgie urbane al plurale forse perché alla mia generazione nata in un contesto dell’immagine, dei social, riesce davvero difficile pensare a una cosa singolare. Purtroppo è anche una difficoltà a volte questa pluralità, quasi invasiva. Per questo secondo me è importante sezionarla, frammentarla e soprattutto dislocarla. Secondo me, per fare emergere le criticità che sono insite nel contesto urbano, la dislocazione si rivela un metodo che potrebbe essere sovversivo di alcuni elementi e aspetti; il portare questi spazi all’interno di altri spazi per creare un discorso critico.

L’urgenza di far transitare spazi e oggetti è stata approfondita soprattutto in seguito alle ricerche per la mia tesi magistrale, incentrata sulla nascita dell’immagine video. La tesi, di carattere più storico e filosofico, evidenzia come le tecnologie di riproducibilità dell’immagine siano i nuovi dispositivi di controllo. Perciò per me è diventato necessario mettere in discussione l’immagine e lo stesso medium che la riproduce, ma questo si può anche allargare al linguaggio, all’architettura intesa come disposizione degli spazi.

Mi spiego meglio, in un testo di fondamentale importanza per la mia ricerca, La volontà del sapere di Michel Foucault, viene descritta la costruzione della spazialità domestica come forma di controllo e repressione sessuale da parte della religione cattolica: la camera matrimoniale è l’unica stanza dove è concesso l’atto sessuale, ovviamente al fine di procreare. L’autore sottolinea quindi come gli spazi siano già delimitati per costruzioni e comportamenti corporei.

Il mio approccio è minimo, come la scelta di posizionare un comodino all’interno di una piazza pubblica, e cerca di disinnescare meccanismi canonici non solo visivi.”

A questo punto, dato che il riferimento allo spazio sembra essere già particolarmente forte nelle dichiarazioni della nostra ospite, chiedo di spiegare come lavori con lo spazio, come si rapporti con il medesimo, come lo intenda, quale importanza gli assegni nei suoi lavori.

SPAZIO

“Ho un rapporto con lo spazio molto timoroso, diffidente. Mi sento come un gatto che ha difficoltà a prendere confidenza in una nuova casa. Mi piace l’idea di essere invisibile, mi guardo attorno, mi piace più osservarlo piuttosto che partecipare, faccio un passo indietro. È impossibile avere un punto di vista oggettivo, piuttosto è importante avere un punto di vista plurale: estraggo alcuni elementi dello spazio e li porto in un’altra dimensione. A questo punto opero una traduzione.

Francesca Consonni Brutta copia di una stanza
Francesca Consonni: “Brutta copia di una stanza” – Installazione. Piazza G. Aulenti. Milano.

Oltre la questione del punto di vista, mi è sempre interessata la relazione tra spazio pubblico e spazio privato. Per esempio nel lavoro Brutta copia di una stanza ho deciso di mettere in scena questa dinamica, questo contrasto così forte. Con la mia collega Federica Famà, che ha collaborato al progetto, abbiamo ragionato sulla spazialità partendo da un riferimento testuale, Specie di spazi di Perec. Egli considerava la pagina come spazio e le parole anche come immagini. Infatti nei suoi libri sperimenta la scrittura attraverso la dislocazione della parola.

A partire da questo riferimento, abbiamo cercato di capire come appropriarci di uno spazio pubblico attraverso una sorta di colonizzazione privata. Discutendo con Federica, abbiamo deciso di utilizzare il comodino in quanto spazio già chiuso, e che può avere un’altra dilatazione. Volevo inserirlo in uno spazio pubblico forte, dove c’è stata una gentrificazione, come la zona Garibaldi. In particolare mi interessava sperimentare l’uso di piazza Gae Aulenti.

Inoltre, abbiamo deciso che l’area ricoperta dall’installazione sarebbe stata di nove metri quadrati, perché secondo il decreto del Ministero della Sanità del 1975 le dimensioni minime di una stanza devono essere di nove metri quadrati. La scelta dell’inquadratura è stata funzionale a evidenziare il contrasto tra il comodino e lo sfondo con i video wall pubblicitari: da questo rapporto è emerso lo slittamento fra il movimento continuo, stressante, manipolante delle réclame e la fissità del piccolo comodino, al centro della piazza attraversata freneticamente dai lavoratori.

Francesca Consonni Brutta copia di una stanza
Francesca Consonni: “Brutta copia di una stanza” – Installazione. Piazza G. Aulenti. Milano.

Abbiamo agito come in un rituale, come in una specie di processione, sfilando ogni oggetto dal comodino uno alla volta e esponendolo sull’asfalto, molto lentamente. Nel video che documenta la performance si osserva esclusivamente l’apparizione dei diversi oggetti nella voracità del continuo passaggio delle persone, un momento di sospensione e immobilità dalla produttività milanese che non si ferma mai. L’immagine del comodino in mezzo ai palazzi costruiti di recente ha una grande potenza e anche la reazione del pubblico è stata interessante.

Spesso le persone tendono a ignorare quello che non torna in un contesto visivo canonico per cui, anche quando guardano, sebbene abbiano lo sguardo puntato nella direzione dell’oggetto che ha catturato l’attenzione, cercano di non farsi notare disorientati. Infatti, nel video che documenta la performance è possibile osservare che molti passanti si girano poco dopo avere superato il comodino, per capire che cosa sia. Tuttavia non si avvicinano, prevale la diffidenza.

Le uniche persone che si sono avvicinate lasciandosi guidare dall’ingenuità sono stati alcuni ragazzi adolescenti, che nei loro codici non ancora allenati al canone hanno tradotto quell’installazione come “mercatino delle pulci” e mi hanno chiesto se qualche oggetto fosse in vendita.

Francesca Consonni Brutta copia di una stanza
Francesca Consonni: Lista degli oggetti in “Brutta copia di una stanza” – Installazione. Piazza G. Aulenti. Milano.

La messa in mostra del comodino come oggetto intimo è stata una rivelazione sia per il pubblico che per me stessa: nel comodino conservi cose che spesso dimentichi, ma che fanno parte della tua vita. Alla fine è stato inevitabile collegare gli oggetti fra loro e tracciare un racconto. Esposti come in vetrina, gli oggetti hanno un’identità propria e rivelano l’identità della persona a cui appartengono. Puoi capire se quella persona è cattolica, se ha figli, quali sono i suoi autori preferiti. In questo caso ho utilizzato il comodino di mia madre, perché essendo più anziana era più ricco, poteva raccontare una storia più grande rispetto alla mia. Preferivo esporre una vita collocata al di fuori del contesto artistico.

In Brutta copia di una stanza è presente anche il concetto di lente di ingrandimento. Per osservare bene gli oggetti, lo spettatore si deve avvicinare, altrimenti molti dettagli vengono persi nella narrazione d’insieme. È, invece, molto interessante osservare gli oggetti, alcuni anche minimi, come può essere una pastiglia di Xanax, non percepibili a una prima occhiata distratta e lontana. Alla fine del video abbiamo deciso, tornando a Perec, di realizzare un elenco scritto di tutti gli oggetti esposti.

Riferirsi ancora allo spazio della pagina è servito per mettere nero su bianco come tutti questi oggetti possano avere anche un’altra spazialità oltre la propria, nella scrittura oltre che nell’installazione.Nei nostri piani futuri c’è l’ipotesi di creare un continuum di questo progetto. L’idea sarebbe quella di prelevare altri oggetti dal contesto domestico, per esempio una piccola libreria, e ripetere il rituale di esibirlo in pubblico per creare una cartografia, una geografia condivisa degli oggetti privati.

(Prosegue nella prossima puntata)

Francesca Consonni Brutta copia di una stanza
Francesca Consonni: “Brutta copia di una stanza” – Installazione. Piazza G. Aulenti. Milano.

 

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