Elena Cologni – Arte e spazi pubblici – II Parte

La memoria è un altro aspetto centrale, nel contesto dell’esplorazione degli spazi pubblici per Elena Cologni, con cui riprendiamo in questa puntata le riflessioni attorno alla dimensione dello spazio. “Mi interessa molto la memoria del presente, quello che noi ci portiamo dentro da dove veniamo, e dalla nostra vita” parallela alla dimensione di “emigrante”, come si definisce Elena.

“Questa memoria non è statica. Il progetto realizzato al dipartimento di psicologia sperimentale dell’Universita di Cambridge (Rockfluid, 2011) aveva come riferimento il valore della memoria nel presente, perché ritengo che la memoria sia vissuta realmente nel presente, sovrapponendosi ai processi percettivi. Questo approccio mi aiuta a lavorare sul mio passato non in termini malinconici, ma considerando, appunto, la memoria nel suo riattivarsi attraverso il processo del ricordo nel presente. Un’azione che avviene anche attraverso il corpo.

Molto di quello che fa il corpo è implicito, anche se noi non ne siamo pienamente coscienti. Nel ripercorrere luoghi in cui sono avvenute situazioni, accadimenti che poi abbiamo memorizzato, non sempre ce li ricordiamo. A volte puo’ succedere di avere un flash back, in altri casi le memorie che abbiamo interiorizzato le riviviamo, ogni volta che transitiamo in un certo posto.

Quello che sto facendo più di recente è lavorare su come questo processo abbia un impatto sullo sviluppo dell’attaccamento al luogo. Un ambito della psicologia ambientale su cui ho cominciato a lavorare nel 2016, per il progetto Lived dialectics movements and rest, curato da Gulsen Bal e Walter Siedl e realizzato a Vienna, al Museums Quarter in due interventi all’interno e all’esterno dell’area che porta verso il Parco Imperiale, il Palazzo Imperiale, i musei storici.

Lived Dialectics-Elena Cologni-Museum Quartier. Vienna
Elena Cologni ‘Lived Dialectics, Movement and Rest’ #2, Vienna courtyard 7 (in front of AZW) to Burgtor/ Heldenplatz (2 facilitators + wooden structures + balloons, variable duration)

Mi riferisco in modo specifico al testo di David Simmons, psicologo che si occupa di architettura e psicologia ambientale. In questo lavoro, egli individua nella ripetizione un elemento fondamentale per sviluppare l’attaccamento al luogo. Un aspetto per me molto significativo, in quanto dal punto di vista estetico mi interessa la serialità, la modularità. Ho sviluppato i due lavori sull’idea di ripetizione, uno legato a un pattern che ho trovato sul pavimento nel Museum Quartier, l’altro affidato ai due facilitatori che indossavano due sculture portatili sulle spalle, incaricati di capire e rendersi conto della storia del luogo che l’architettura ci porta a tracciare.

Ai ragazzi che hanno effettuato il percorso, ho chiesto di soffermarsi in alcuni punti dove loro ritenevano che questo potesse essere sottolineato. Hanno creato così una loro routine, nella loro puntualizzazione dello spazio pubblico, in riferimento alla storia.”

A proposito dello stretto rapporto fra corpo e spazio pubblico apriamo una parentesi esemplificativa. “La conoscenza di un nuovo luogo avviene attraverso il corpo che attraversa lo spazio, la concettualizzazione di quello che fai è puramente mentale.” Sostiene Elena che ricorda un episodio della sua vita.

“Quando sono andata a New York la prima volta nel 1994 e sono restata per un anno, mi sono riorientata, nei termini di dov’ero e di chi ero: è avvenuto un momento di rimappatura personale. Quello che lo spazio pubblico mi aveva portato ad essere e a fare in Italia era completamente diverso rispetto a quello che mi stava succedendo in quel luogo. Ho capito il minimalismo e altre cose che non avrei mai capito se non fossi andata là.

In particolare New York, come del resto altre città degli USA,  ha una composizione urbanistica a griglia. Ti fa sentire immediatamente a disagio poiche ti costringe al suo interno, ma allo stesso tempo facilita gli spostamenti: una volta che ci entri allora sei tranquilla. La facilità di andare a est, nord, sud, orientarti, non ti porta ad avere bisogno di guardare la mappa…anche se questo può essere un errore…. Ero attratta da questa dimensione. Diventi cosciente del rapporto con lo spazio esterno, per la dimensione dei palazzi e gli scorci delle strate tutte ortogonali. Lì ho capito il minimalismo.

L’aspetto della teatralità del minimalismo mi ha portato a capire l’evoluzione della performance in rapporto al minimalismo stesso e a fare performance per qualche tempo. È stato un momento molto importante per me, per quanto riguarda l’organizzazione del mio lavoro sullo spazio pubblico. Ora lavoro con sculture dialogiche che si rapportano al corpo e si rapportano al tempo stesso allo spazio esterno.”

Chiedo così a Elena di spiegare che cosa intenda con il concetto di “scultura dialogica”.

“Il concetto di dialogo mi riporta all’idea del teatro, al dialogo, alla dialettica. Il rapporto con l’altro nel mio lavoro c’è da sempre. Ho fatto un lavoro su Gropius e il Teatro Totale per l’esame di Design con Boriani a Brera. Fin da quando frequentavo pittura, l’idea della percezione era fondamentale. Avevo iniziato a estroflettere la tela (affascinata dai lavori di Castellani). Sagomare la tela e realizzare lavori tridimensionali che avessero a che fare con la visione era fondamentale appena uscita dall’Accademia, inizio anni Novanta. Il dialogismo di base parte dalla percezione, il dialogo l’ho sempre creato attraverso la visione.”

Nello sviluppo delle riflessioni concernenti sempre la dimensione pubblica esterna Elena Cologni riprende a parlare dell’attaccamento al luogo.

“Ho fatto un altro lavoro con cui, molto coscientemente, ho indagato sul rapporto fra l’attaccamento al luogo e il rapporto genitori-figli, o fra una persona che si prende cura e persona in cura, rispetto all’influenza sull’attaccamento al luogo. Questo passaggio successivo ha riguardato il concetto di maternità come ruolo nel sociale, il ruolo del prendersi cura.

L’etica del prendersi cura è diventata importante nel mio lavoro, in particolare dal 2016, una riflessione che ha forti legami, a New York con i movimenti femministi di quel periodo. Ho avuto scambi con Virginia Held e il mio interesse nel femminismo, nella cura è legato al concetto di cura nel sociale e alla possibilità di trovare un modo diverso di concepire il sociale e il politico.

Ho elaborato un progetto realizzato con il centro della famiglia con l’Università di Cambridge e la psicologa Margaret Lowenfield che ha lavorato con la creatività e il non verbale. La “school run” (il momento di andare a scuola) in Inghilterra, come ovunque, ha un impatto su quello che succede alla mattina, ma viene ritenuto un ostacolo, un disturbo per chi va al lavoro, costituisce quasi un problema per le amministrazioni delle città britanniche.”

Elena ha pensato al dialogo, a uno scambio diverso rispetto a quello che avviene a tavola, in quanto in questo caso è collocato nello spazio pubblico.

“Il genitore porta a scuola il figlio, si evidenzia la dipendenza reciproca, l’interdipendenza che si interrompe con la scuola secondaria, sancita anche  in modo ufficiale e legale. I ragazzi allora cominciano ad avere esperienze proprie nello spazio pubblico e sono indipendenti, incrociano persone e le notano cosa che avviene meno se è accompagnato da un adulto.

Il mio discorso si è così concentrato su come si colloca questo momento rispetto a ciò che capita a quell’ora e di come il genitore e il figlio, vivano questo momento di libertà. Alla mia richiesta di indicarmi un luogo del tragitto casa-scuola, con i partecipanti , ci in quei luoghi da loro individuati, dove poi avveniva un’interazione. La nostra azione di apertura della scultura, una sorta di dialogo non verbale connotavano i “corridoi” della città, non luoghi fra un punto e l’altro

Elena Cologni-Seeds of attachment- 2016-18. Cambridge
Elena Cologni: “Seeds of attachment” – 2016-2018. Cambridge

“Nel momento in cui ci incontravamo con i partecipanti, anche sconosciuti la prima cosa che avveniva era il comunicare solo con la nostra fisicità a determinare la nuova finzione di quel luogo. Lì ho capito che quello che stavamo facendo aveva un’influenza sul modo con cui viene usato lo spazio pubblico.”

Un altro aspetto analizzato da Elena negli ultimi tempi in rapporto allo spazio pubblico riguarda la “spazializzazione femminista”.

“Ho incominciato a pensare in dialogo con geografe femministe, con una sociologa Susan Buckingham che ha parlato di eco-femminismo. Ho presentato a una conferenza a Chicago un momento di riflessione sulla griglia della spazializzazione cartesiana sul mondo. Parlo di geometria, ma cerco di scardinare le regole statiche della geometria.

“La griglia cartesiana sul mondo si attiene anche a quella di google map, la uso, mi rendo conto del paradosso, ma cercare di riflettere su quanto sia riduttiva è utile. Ho letto le riflessioni di Donna Haraway, Doreen Massey, che si riferiscono alla geometria del potere. L’idea che ho elaborato è quella di intervenire in modo soggettivo in questa mappatura geometrica. Il mappare indica una volonta di controllo, ma è un’azione di cui abbiamo bisogno per collocarci nel mondo, a livello soggettivo.

Centrale diventa quindi svippare delle modalita’ per farlo. A Chicago nel 2020 ho presentato una performance lecture, in cui mi spostavo nella stanza in cui eravamo, da un punto all’altro. Mappavo con segni dov’ero io e dove erano le persone intorno a me, senza che lo sapessero. Avevo fogli di carta millimetrata su cui ho sovrapposto quella da lucido, disposti a ventaglio .

Alla fine del processo di ciascuna delle pile che avevo formato, dalla forma a vetaglio le richiudevo e il risultato era una mappatura paradossale: negava la struttura iniziale, era un accrocchio di puntini senza più l’ordine da cui ero partita. L’aspetto soggettivo emergeva in primo piano ache attraverso questa trovata porosità. Si trattativa di un’azione simbolica che mi ha aiutata a riflettere. Nel progetto realizzato a Venezia nel 2021 l’idea di inserire l’aspetto soggettivo, non solo mio, ma della storia, è risultato attraverso l’idea di identificare la storia di lavori ritenuti non fondamentali, poco considerati, o che esulano dall’automatizzazione, dalla digitalizzazione e si riferiscono al periodo preindustriale.

Ho interagito con le donne della Bevilacqua Tessiture che mi hanno parlato dei luoghi nella città da cui passano per andare al lavoro. Ho realizzato così una mappatura tradizionale delle posizioni di questi luoghi, attraverso la quale pero’ in realtà mappo la città attraverso storie invisibili o dimenticate.

Gli esercizi esperienziali che succedono a Venezia, sono fatti da persone che si rendono disponibili poi a parlarne, chiedo cosa è successo, che cosa hanno notato. C’è un forte aspetto individuale nel modo in cui avvengono questi dialoghi, posto che do dei parametri di riferimento, faccio una domanda, che rimane nella mente delle persone e, inoltre, ci sono le sculture dialogiche composte da due elementi rigidi rivestiti da un materiale autopulente di carbonio, con una parte stretch in mezzo.

Lavorando in coppia, si spostano nello spazio in un certo modo. L’idea è misurare lo spazio, in modo non esatto (grazie allo stretch). Inoltre una persona fa da perno, l’altra si sposta, si creano curvature continue, sempre imprecise perché il tessuto è appunto elasticizzato. Questa caratteristica instabile del tessuto stretch, la sua elasticità mi ha affascinata. È un materiale che uso da anni, perché permette l’oscillazione, il non esatto, aspetti che mettono in discussione la geometria”

Nella prossima e ultima parte delle riflessioni che raccogliamo attraverso la nostra “solita” griglia di domande ci dedicheremo a sviluppare i nodi relativi a “pubblico” (nel senso di audience) e di “personaggi”, per avere una panoramica completa delle principali questioni sulle quali stiamo lavorando e raccogliendo “dati”.

Elena Cologni-Ehe body of  at work-biennale di architettura. Venezia 2021
Elena Cologni: “The body of at work”. Biennale di Architettura, Venezia. 2021

 

 

 

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato.

error: Content is protected !!