In questa seconda puntata, la conversazione con Maria Arena parte dalle considerazioni che la nostra ospite, – regista e autrice di film, documentari, videoinstallazioni – riserva ad aspetti e relazioni inerenti i personaggi, il concetto di trama-intreccio e il rapporto con il pubblico.
Invito Maria a condividere quel che pensa circa i personaggi, o meglio – mi correggo, non appena considero il fatto che stiamo parlando soprattutto di documentari – di
Persone e Personaggi.
“Persona, se andiamo all’origine del termine significa “maschera”, quindi…già la persona è un personaggio.” Esordisce la nostra interlocutrice e prosegue: “All’inizio cerco di dissimulare, ma la prima cosa che mi accade è una sorta di ‘innamoramento’. Un innamoramento che non ha alcunché di conciliante. È uno scuotimento. Una bomba. Una specie di rapimento estatico. Amore di conoscere come in filosofia.
Per esempio, a San Berillo nel 2008, dopo aver letto i libri di Goliarda Sapienza, trovo la sua casa e poi vengo accompagnata dall’attuale proprietario in una passeggiata. Subito incontro Mery e Franchina, mentre parliamo capisco che non posso andarmene e allora propongo un incontro per l’indomani. Di giorno in giorno loro diventeranno le presenze chiave nel film Gesù è morto per i peccati degli altri.
La web serie viene costruita sulla scia di questo film, perché io ancora a riprese finite “non me ne ero andata”, ero rimasta in relazione con le persone di San Berillo. Quando la nascente associazione Trame di quartiere (a Catania), di cui sono socia fondatrice, mi propose di progettare un laboratorio di video-documentazione, sono stata molto felice. Dentro di me avevo sperato che succedesse qualcosa che mi facesse continuare ad avere relazioni con quel quartiere in un modo pratico.
La stessa situazione di ‘innamoramento’ si è verificata con le femministe e con la bellezza che ho trovato nel corteo dell’8 marzo 2017 di Non una di meno. Sono stata colpita subito dalla marea di ragazze e dalla voce di una giovane donna dal camion. Una volta avvicinatami vedo questa giovane parlare a braccio di argomenti importanti nei quali si manifestano discriminazioni di genere, come la salute, il lavoro, la formazione… La ragazza ha catturato la mia attenzione, per quel che diceva e per come lo diceva, per il tono, per il fatto che non stesse leggendo niente.
Poi mi sono ‘innamorata’ delle loro assemblee. Vogliamo dire che è stato perché io non avevo partecipato da giovane a riunioni di questo tipo? Forse. Il mio non attivismo è stato positivo, la sete di conoscenza, lo stupore sono stati maggiori, tutto ciò ha provocato un desiderio di approfondire.
Quando scatta questa sorta di ‘innamoramento’, non lo lascio trapelare. Si tratta di un moto interiore che non viene comunicato al personaggio o “personaggia”, o persona. Il mio animo è completamente in subbuglio, perché se non fosse così chi andrebbe ogni sera a seguire i diversi appuntamenti, senza certezza di futuri sostegni finanziari?
Ho seguito per tre anni tutti gli appuntamenti che organizzavano le attiviste e venivo dalla giornata lavorativa personale. Non è stato semplicissimo. Solo se hai un furore dentro puoi fare questo. Scatta un’energia particolare e si concretizza una specie di dono che i soggetti fanno a me e io faccio a loro, consegnandone il racconto agli spettatori. Ciò non significa che tutto sia bello.
La parola “amore”, o “dono” sono state riempite di altri significati, preferisco utilizzarle nella loro semplicità. Per me è importante questo elemento del dono nel rapporto con il personaggio. Magari qualche persona non si riconosce in alcuni momenti del film. Per esempio, in un caso, una donna mi ha chiesto se dovessi per forza inserire una parte dove “ sembrava un po’ stupida”. Le ho risposto che è importante svelare anche le fragilità.
Quando uno fa un dono di questo tipo, è un po’ una sorpresa diversa da quanto accade nel momento in cui ti regalo quello che so che ti piace. Forse uno dovrebbe regalare cose che non è sicuro possano piacere. La conoscenza, come succede a me, può avvenire anche in quello che non ti piace e scopri di apprezzarlo semplicemente perché amplia il tuo orizzonte.
In questo tipo di “dono” ci sono elementi che non necessariamente ti fanno stare bene, perchè in questo caso, il medesimo è un sovvertimento dei valori, una sorta di illuminazione. Nietzsche è un grande illuminato, un uomo che fa cadere il fondale della realtà condivisa e scopre il buio. Invece di pietrificarsi per il terrore, avanza con la sua lanterna.
Il sovvertimento di cui parlo è mio, del pubblico e anche del personaggio. Tutto ciò non ha nulla di conciliante, anzi, comporta qualche problema, perché è difficile convivere con una visione del mondo così.
Loro, le “personagge”, i personaggi scoprono una relazione nuova. Si vedono da un altro punto di vista e quello è il dono. Per esempio, per Franchina o le altre trans, non è il punto di vista del quartiere, delle istituzioni, degli immigrati, o dei loro famigliari su di loro. È il punto di vista di una sconosciuta – cioè me – che le rimanda a una visione. La stessa situazione si ha con le femministe. Non sono stata una femminista storica, non sono stata attivista. Sono una sconosciuta che restituisce loro uno specchio particolare.
Anche con i ragazzi del documentario “Viaggiatore Solitario”, lavoro della durata di una trentina di minuti, realizzato vincendo una residenza artistica a Santarcangelo dei Teatri nel 2007, c’è una specie di dono. Ho incontrato quei giovani quando avevo quarant’anni e anche in quel caso l’idea è partita dalla strada.
C’è una restituzione che avviene nel tempo. Nel mio modo di lavorare il tempo cronologico-lineare, l’inizio e la fine si trasformano nello stesso punto come in un cerchio. Quando monto i documentari c’è una continua relazione tra l’adesso e l’allora. Il tempo è circolare e non cronologico, anche se nel montaggio c’è un prima e un dopo. Le immagini, in ogni caso, hanno la potenza di essere simboli che travalicano questa successione.
A San Berillo abbiamo lavorato per cinque anni, con le femministe, per tre. Con questi tempi di frequentazione percepisci la crescita della relazione con la persona-personaggio-personaggia. La temporalità ha un grande ruolo; ha segreti che amo, non li riesco a capire, li sento e li trasmetto. Questo non potrebbe avvenire in un anno o sei mesi. La durata di tre anni mi permette di lavorare con ritmi adatti. Dopo, si chiude un ciclo e ognuno può andare per la sua strada, c’è una totale autonomia. Si delinea una dipendenza in questa relazione di tre anni, in seguito rimane solo amore, o la sua impronta…”
Rapporto con il pubblico
Concluse le riflessioni attorno al rapporto con persone-personaggi, porto l’attenzione di Maria Arena su un altro aspetto su cui riflettere, ovvero sul rapporto con il pubblico, con gli spettatori.
“In questo momento in cui le sale non sono ancora aperte sto soffrendo moltissimo, perché sto aspettando che Il terribile inganno vada al cinema. L’opera si conclude in sala, al cinema, nel confronto finale, conclusa la visione, quando il pubblico è sollecitato e si pone domande, che fa o che non fa non importa. Al termine di una proiezione a Trento di “Gesù è morto per i peccati degli altri”, sono rimasta molto stupita per l’intensità e la durata della conversazione, una quarantina di minuti, con la sala piena. C’era voglia di capire da parte degli spettatori.
Per me il rapporto con il pubblico consiste nella possibilità non di spiegare – il film parla da sé – ma di illuminare alcuni elementi, o generare ancora più dubbi…” Maria Arena rivela un aspetto fondamentale, riguardante ciò che avviene prima che il film passi effettivamente nelle sale. “Un primo pubblico dei miei film ha un ruolo molto importante. Quando col montatore o montatrice finiamo il montaggio organizzo anteprime per poche persone, perché nel mio intimo qualcosa mi dice che il film non è ancora finito, anche se tutti pensano il contrario.
Voglio vedere che effetto fa. Per “Gesù è morto per i peccati degli altri” avevo mandato a dieci persone di genere e professioni differenti una copia, per farmi fare osservazioni, avere un feedback individuale a distanza. Ricevuti i diversi pareri, mi sono riconcentrata per una settimana a rivedere il film, a rivestire i panni dello spettatore. Ho cercato anche di avere una visione distratta e mi sono arrivate intuizioni.
Nel rivedere il film alla luce di alcune osservazioni avanzate dal pubblico dell’anteprima, sentivo che erano calzanti in alcuni punti e allora ho effettuato spostamenti, ho aggiunto una scena in precedenza esclusa. Ho capito che cos’è il final cut che nella mitologia hollywoodiana è attribuito al produttore. Per Il terribile inganno avevo la necessità e il piacere di far vedere il film in anteprima alle sette ragazze che sono più presenti nel film e costituiscono ,ancora oggi, il cuore pulsante del movimento.
Abbiamo proposto la proiezione/anteprima in un grande salone. Il film durava due ore. Raccolti i pareri, le reazioni, e direi i respiri, ho passato una notte insonne in cui ho avuto importanti intuizioni, non logiche, come visioni ulteriori. Andavo dal letto alla scrivania a scrivere post-it che, l’indomani mattina, ho letto con stupore perchè mi apparivano sensati. Quindi, ho lavorato una settimana con la montatrice, Federica Ravera e abbiamo inserito tre o quattro scene nuove, tolte altre…
In ogni caso, insieme, siamo riuscite a trasformare il lavoro tagliando venti minuti! Il film aveva già la sua forma ma aveva bisogno di un guizzo di vitalità e questa, per fortuna, è arrivata attraverso lo “scuotimento”, grazie all’anteprima. In questi casi, è come se si attivasse una forma di empatia per cui vedo meglio alcune cose”
Maria Arena delinea così una duplice tipologia di rapporto con lo spettatore. Il primo è un confronto dialettico diretto in sala, con il medesimo, durante la presentazione del film, alla première e il secondo è costituito dalla scelta di calarsi nei panni del pubblico per elaborare al meglio il film stesso, negli ultimi momenti che precedono la distribuzione vera e propria, durante una particolare anteprima ristretta.
Desideriamo ora considerare il concetto di
Trama – intreccio
Chiediamo perciò alla nostra ospite di rivelarci cosa pensi al riguardo.
“Anche se sono una documentarista, vengo da una formazione cinematografica che include i film di finzione, il cinema sperimentale, la videoarte. La mia fruizione investe soprattutto la fiction, sia sotto forma di lettura, sia di visione. Come documentarista faccio documentari narrativi, non produco reportage, lavori giornalistici, o scientifici. Racconto qualcosa, dove emerge un punto di vista. Non è un disvalore il fatto di scegliere una prospettiva. Un tempo si pensava che il documentario fosse “oggettivo”, in realtà non esiste un documentario oggettivo.
Scopro connessioni, già presenti in me probabilmente e le individuo nello spazio urbano, nelle drammaturgie urbane. Non invento trame, piuttosto le seleziono fra molte a disposizione, le intuisco, le frequento. C’è un tempo di germinazione della trama che si precisa poco a poco e poi si realizza attraverso un ritmo proprio della narrazione. Mi piace costruire trame o ricostruirle. Rispetto alle loro elaborazioni, c’è un primo contatto con la realtà, un’intuizione iniziale in cui emerge una sorta di ‘imperativo categorico’.
In Gesù è morto per i peccati degli altri avevo avuto l’intuizione che la trama si potesse collegare all’elemento del tempo. La scansione, infatti, è in tre parti, si inizia con la vitalità, l’esuberanza dell’estate, per finire con la morte del Cristo nella via Crucis. Per quanto, nel film manchi l’ultima stazione, come se la rinascita fosse un avvenire auspicato ma non ancora giunto.
A San Berillo sono stata colpita dalla particolare temporalità che non si esaurisce nelle logiche di causa ed effetto. Mi è sembrato di ritrovare qualcosa che conoscevo e avevo visto da bambina, un ritmo simile alle feste dei territori, legati al ciclo agricolo. Ho scoperto che alcune feste di santi e madonne sono legate alle trans. Inoltre, ho pensato che la scansione temporale della festa avesse qualche relazione con le attese presenti nel quartiere.
In questo film mi ha coadiuvata la sceneggiatrice Josella Porto (anche coproduttrice). Il suo apporto è stato molto bello e nuovo. Nei tre anni impiegati alla realizzazione del lavoro, scrivevamo insieme, c’è stata una sinergia sulla trama che ha connessioni con quello che è realmente successo. Ne Il terribile inganno ho lavorato da sola, il confronto l’ho fatto con me se stessa.
Ho scelto una pratica tipica del femminismo, l’idea di guardare la realtà a partire da sé, senza la pretesa dell’oggettivazione. In questo modo, balza in primo piano il tentativo di superare la scissione fra soggetto e oggetto, attraverso il partire da sé. Guardi e ti avvicini al mondo esterno attraverso te, l’imperativo categorico diventa il partire da sé. Ho cominciato dalla “frattura” del mio cinquantesimo compleanno. Quando ho compiuto gli anni, seguivo “Non una di meno” da circa sei mesi e poiché avevo deciso di partire da me, ho deciso di filmare il mio compleanno.
È il momento in cui mi pongo domande. La scena è girata da una mia studentessa, Chiara Ferretti. Abbiamo fatto ritratti di me con gli ospiti, riprese su di me. Un altro imperativo categorico, legato al partire da sé, era il desiderio. Riguardandomi dentro ho capito. Ci sono scene riprese in questa stanza dove torno e rifletto. Ho cercato di restituire questo viaggio di scoperta, di una donna di cinquant’anni, con qualche insoddisfazione e che va allo sciopero. Alla manifestazione, si incuriosisce e da quel momento decide di seguire il movimento perché ritrova un senso di comunanza. Da lì prende forma la trama.
Il lavoro per Santarcangelo Festival, Viaggiatore solitario è nato da un ritrovamento per strada di uno zaino appartenente a un ragazzo di diciott’anni, da parte di una mia amica (Roberta Ferrari, documentarista che stimo molto), nel 2007. All’interno abbiamo trovato alcuni regali, ma non elementi per potere risalire al proprietario…Una situazione in cui pensi: “hai costruito la storia”. Invece non si trattava di fiction. Lo zaino conteneva diversi elementi, fra i quali un profumo, un libro, con una dedica dove si capiva che il proprietario compiva diciott’anni, un’agenda.
Ho pensato di utilizzare questo oggetto per far parlare i giovani, con un lavoro di mediazione. Attraverso lo zaino, un ragazzo può parlare di sé. Così, quando ho vinto “React” a Santarcangelo dei Teatri, sono entrata in contatto con un gruppo di ragazzi stranieri di seconda generazione, diciottenni, o ventenni. Nel progetto si parlava del passaggio verso l’età adulta, attraverso un oggetto smarrito, appartenuto a un ragazzo come loro e che parlava di un compleanno.
Nel film, pongo alcune domande, su Francesco il proprietario dello zaino. I ragazzi si raccontano. La trama in questo esempio è a monte: parte dall’oggetto. Il mistero è rimasto, che cosa ne è di Francesco? I direttori artistici di Danae Festival, di Milano, visto il lavoro a Santarcangelo, sotto forma di frammenti, di video-installazioni, hanno apprezzato il lavoro laboratoriale e mi hanno proposto di realizzarlo a Milano. Con un gruppo di ragazzi nella sede di Lachesilab di via Padova, abbiamo messo in scena il loro lavoro, anziché trasformarlo in video-documentario.
San Berillo web serie doc e “Viaggiatore solitario” sono format esportabili. Lo zaino potrebbe essere usato ancora per realizzare laboratori con giovani, anche a rischio. È uno strumento maieutico. Per quanto riguarda la web serie, contraddistinta dalla coralità della visione, dei giovani e della mia (non ho firmato la regia, ho instradato, supervisionato, aiutato, ma sono stati i ragazzi a lavorare), mi piacerebbe sperimentarla in altri contesti, non per forza per raccontare un luogo ma, per esempio, per raccontare un sapere. Potrebbe essere utile a proposito del femminismo, si potrebbe andare in una classe e lavorare su questo concetto, per una decina di puntate.”
Nel definire la trama un processo di selezione fra elementi preesistenti, dati oggettivi filtrati attraverso la scelta personale emerge un fattore importante, un tempo davvero misconosciuto, ovvero l’impossibilità sostanziale di fornire un resoconto “oggettivo” della realtà proposta allo spettatore, in un film-documentario.
Nella produzione di Maria Arena, costituiscono elementi portanti l’attenzione alla pluralità di punti di vista e l’educazione allo sguardo, alla ricerca di prospettive non convenzionali, la trasformazione dello spettatore attraverso un lavoro maieutico affidato alle immagini, alle relazioni fra i personaggi e la realtà che raccontano. Pluralità di voci e di sguardi permettono di comprendere meglio il mondo che ci circonda, costituiscono un modo per generare consapevolezza nel pubblico e vincere paure e pregiudizi. Osservare un ruolo, una situazione che non sono i propri aiuta a capire le differenze e a mettere in discussione consolidate, granitiche certezze che non sempre hanno ragione di esistere.