Alla nostra raccolta a proposito delle problematiche riguardanti la teatralità fuori dal teatro – e, in generale, la drammaturgia urbana – non possono mancare le riflessioni di un’artista che utilizza il linguaggio delle immagini video. In questa occasione abbiamo raccolto il contributo di Maria Arena, visual artist, regista cinematografica e documentarista, oltre che docente all’Accademia di Belle Arti di Catania.
Di se stessa dice che viene “dal video, inteso sia come fiction, sia video arte, sia video legati alla musica e alle performance” e che la finzione le stava un po’ stretta, mentre adesso la incuriosisce. Ci tiene inoltre a precisare che, in realtà, non faccia queste differenze rigide fra i generi. “Nell’immagine in movimento ci sono diversi livelli che si intersecano.”
Dal suo portfolio, in particolare, spiccano quattro lavori che qui mettiamo al centro dell’attenzione: il film “Gesù è morto per i peccati degli altri” (2014), “San Berillo web serie doc” (2017-2018), realizzati nell’omonimo quartiere di Catania, città d’origine di Maria; il documentario corto “Viaggiatore solitario” (Santarcangelo dei Teatri, poi ripreso come laboratorio teatrale a Danae Festival, Milano) e il nuovo film “Il terribile inganno” (2021).
Drammaturgia urbana.
“Io sono una documentarista, quello che mi piace è documentare.” Inizia da questa affermazione Maria Arena come premessa alla sua definizione del concetto di “drammaturgia urbana” e prosegue: “Questo termine, però, a volte può essere fuorviante, in quanto è un termine-contenitore che ci portiamo da lontano. Quindi bisogna capire prima che cosa i documentaristi intendono con tale parola. San Berillo web serie doc è una serie documentaristica, fra le prime esistenti, girata tra il 2016 e il 2017 (montata e uscita nel 2017).
Maria è attenta a sottolineare questo “aspetto pionieristico”, perché “i pionieri sono sperimentatori, non hanno riferimenti, modelli sui quali basarsi e questa grande libertà è la cosa più bella. Ora, documentare la realtà è come scoprire una certa drammaturgia nella realtà stessa. Non si tratta di finzione, di rappresentazione, ma di concatenazioni anche non per forza logiche, non descrivibili razionalmente, legate a sistemi simbolici. L’immagine non è qualcosa di semplice, in quanto è costituita da più livelli. In sostanza, si tratta di una drammaturgia particolare.
Nel mio modo di lavorare, ho uno sguardo che trova connessioni da poter evidenziare in una forma di drammaturgia. Ho studiato Filosofia e mi confronto con le situazioni, faccio epochè dei pregiudizi, cerco di metterli tra parentesi, influenzata dalla fenomenologia. I miei studi, le mie letture, i miei interessi articolano e nutrono il mio approccio alle cose e al mondo.”
Dopo queste premesse arriva un’interessante affermazione, la nostra ospite estrae una carta a sorpresa: “Non so dare una definizione di drammaturgia urbana. So però che dedicarsi all’osservazione della realtà significa riconoscerne una sua drammaturgia che – chiaramente – sarà quella proposta dal mio punto di vista, non universale, intendo. L’elemento più interessante della web serie è la pluralità del punti di vista, la pluralità degli sguardi. Non è la mia visione, ma la coralità della visione, dei giovani partecipanti al laboratorio, insieme a me che ho coordinato e fatto educazione allo sguardo. Si parla di una drammaturgia complessa e questo è particolarmente significativo.”
Pluralità di punti di vista, pluralità di sguardi sembra essere una costante riscontrabile a proposito della definizione di drammaturgia urbana, nelle interviste alle diverse personalità intervistate fino ad ora, nonché della nostra personale interpretazione del termine. Un elemento che sarà utile avere ben preente in futuro quando inizieremo ad avere materiale sufficiente per osservare elementi comuni e visioni dei singoli individui che hanno accettato di riflettere sulle problematiche che proponiamo.

Prosegue Maria Arena: “Quando l’associazione Trame di quartiere (Catania), allora nascente e di cui sono socia fondatrice, mi chiama per propormi il laboratorio di video-documentazione, il lavoro diventa una drammaturgia perché c’è una coralità non solo a San Berillo – luogo che avevo già visto e raccontato nella forma cinematografica del film documentario Gesù è morto per i peccati degli altri. Questa coralità del quartiere, con le sue contraddizioni, scissioni, liti, amori, odi, poteva essere raccontata da una pluralità di osservatori che, per di più, provenivano da formazioni diverse. Questa era la mia scommessa per il laboratorio.”
Il concetto di drammaturgia urbana, in questo lavoro di web serie consiste, così, nel riscoprire con una pluralità di sguardi – quelli dei partecipanti del laboratorio – ciò che racconta il quartiere, quali sono le sue voci, chi lo racconta. Ho formato piccoli gruppi fra gli studenti del laboratorio (circa una ventina), in modo da consentire il lavoro di tutti i membri. Penso sia stata una soluzione vincente, in quanto credo molto nella relazione fra le persone e nell’educazione allo sguardo. Attraverso il lavoro realizzato insieme, guardando le cose, sperimentando, lo sguardo degli allievi diventa più “loro”, meno convenzionale. Nel caso di San Berillo, perciò si è trattato di un saper vedere quello che c’era nel quartiere – ognuno con il proprio punto di vista e con le proprie domande – e di trasmetterlo ad altri.”
Spostiamo ora l’attenzione al concetto di spazio e chiediamo a Maria Arena di dirci come considera e come si rapporta con lo…
SPAZIO
“Si parte da una differenza per arrivare a una relazione. Penso a uno spazio interno e a uno esterno e al fatto che ci sia una permeabilità fra queste due condizioni. Avviene questo nei miei documentari. Vado per le strade, qualcosa cattura la mia attenzione…è sulla strada che si realizza questo aggancio fra la curiosità, la voglia di raccontare. Nel senso che la curiosità di conoscere, in un secondo momento, diventa voglia di raccontare e lo spazio esterno, senza dubbio, mi sollecita, sollecita lo spazio interno.
Lo spazio che sta fuori di me, non è composto solo di cose, case, strade, ma di persone. Sulla strada io vengo catturata dalle persone. Anche rispetto a San Berillo ho capito che volevo girare un film lì, quando ho incontrato le persone. Quel quartiere in sé, l’avevo già visto, ma non aveva attratto la mia curiosità. Per me lo spazio, è sempre uno spazio abitato, agito.
I legami sono onnipresenti, legami non per forza sempre positivi. San Berillo, in particolare, è un campione di relazioni, anche con strappi violenti che, però, alla fine si ricuciono. Si tratta di un luogo strano che sa rigenerare le proprie ferite. Le genera, ma riesce anche a curarle. Sono arrivata nel 2008 a San Berillo. Inizialmente, leggo di questo quartiere nei libri di Goliarda Sapienza, lo scopro attraverso l’autrice sulla quale, in seguito costruisco uno spettacolo teatrale, nel 2010; quindi giro il film “Gesù è morto per i peccati degli altri” nel 2014.”

Fin qui per quanto riguarda lo spazio esterno. Per quanto riguarda quello interno Maria Arena sostiene “Lo spazio esterno attrae lo spazio interno, creativo, tramite una relazione. Ad esempio la casa è luogo da cui guardare il mondo, ed in questo caso per me sono molto importanti le finestre. Il mio studio, ad esempio, rappresenta il mio spazio interno, rappresenta il mio mondo, molto più di una casa normale. Perché dentro questa stanza c’è tutto, è il luogo dove ho scritto un libro, montato due film. È una stanza tutta per sé alla Virgina Woolf. Proprio questa stanza è inserita nel mio nuovo film “Il terribile inganno”.
In questo caso, vado nello spazio urbano, incontro le giovani del movimento Non Una Di Meno Milano e poi torno qui. Il film è il racconto di una relazione fra spazio interno e spazio esterno, questo lavoro si potrebbe definire così.” Fra spazio interno-esterno, spazio urbano, c’è un grande legame.
Tornando al film ‘Gesù è morto per i peccati degli altri’ per prima cosa ho immaginato il quartiere leggendo Lettera aperta (1967) di Goliarda Sapienza, dove l’autrice fa un percorso a ritroso, racconta la sua infanzia, fino alla partenza per Roma. Questo luogo urbano mi attrae non solo per quello che è oggi, ma per la sua capacità di generare drammaturgie totalmente imprevedibili, diverse e continuerà così nel tempo. Il luogo verrà sempre identificato come San Berillo, ha un potere forte. Forse perché per tanto tempo è rimasto come una roccaforte, da assediare, da cambiare.
Inoltre, ha una connotazione forte, come luogo della libertà, declinata in modi diversi. Anche Goliarda Sapienza parla del quartiere (che lei chiama Civita) come luogo di libertà, sebbene descriva anche le condizioni di oppressione delle donne povere. Anche per Franchina e le altre trans, protagoniste del film, è il luogo delle libertà, e anche per gli immigrati, nel senso che in questo caso si tratta di una libertà come rifugio.”
Maria riprende a parlare a proposito de “Il Terribile inganno” e precisa che in modo analogo, “si parte da un incontro per strada. Si tratta ancora di uno spazio esterno ma più “anonimo”. Lo spazio milanese è uno spazio mitteleuropeo, con altre frequenze rispetto allo spazio più piccolo di un quartiere, di una città siciliana. Andare a una manifestazione per strada significa aprirsi allo spazio di una metropoli. Le manifestazioni, il passaggio della folla trasformano una grande città. Le persone ascoltano i canti da casa, sentono i manifestanti in transito.
Io mi unisco alla manifestazione per strada l’8 marzo del 2017. La festa della donna è declinata quell’anno nella forma di ‘sciopero’ delle donne e io vi aderisco incuriosita. Desidero sapere che cosa abbiano da dire, e lì, per strada scopro subito che è un movimento parlante e pensante. Lo spazio urbano, quel giorno, non accoglie una festa, è il luogo dove far vedere una contestazione. Non è lo sciopero dei lavoratori, è lo sciopero delle donne.
Lo spazio esterno si riempie di canti, di corpi, bellissimi. Le immagini nel film messe insieme rendono la potenza di quella situazione. È attraversato da parole che mi coinvolgono totalmente, non sento solo slogan, sento parlare a braccio persone, dal camion, di pratiche per me importanti che avevo dimenticato, o credevo non mi appartenessero più. Sento parlare di piano antiviolenza, una violenza di genere che esiste e oggi, dopo quattro anni, ne capiamo mediamente forse un po’ di più.”
Dalle parole di Maria Arena emerge questa stretta relazione fra spazio esterno urbano e spazio interno, intimo, personale continuano in un rapporto dialettico continuamento rinnovato.
“In questo lavoro, perciò, l’esterno mi attira e in un secondo momento si trasforma in uno spazio interno. Nel senso che io entro in relazione con le donne del movimento, e il mio interno è invaso da questo nuovo elemento, trasformato poi in una forma di appartenenza, di “accomunamento” (come direbbe Lea Melandri). Ci deve essere qualcosa che mi accomuna a quello che sento, qualcosa di relazionale che travalica gli spazi, mette in connessione. Nel film lo spazio urbano è importantissimo. L’azione delle attiviste è quella di pensare, riflettere, programmare, ma anche di essere visibili, per le strade.
Internet ha molto aiutato la visibilità del movimento perchè altri media come la stampa e la TV ne parlano poco. La visibilità per strada è importante. Lo spazio urbano che si apre con una contestazione è attraversato da persone consapevoli e aggancia anche persone inconsapevoli. Inoltre nel film si percepisce anche uno spazio, molto più ampio, rispetto a Milano. Il movimento “Non una di meno” è diffuso in molti posti del mondo, ti rendi conto che l’accomunamento travalica lo spazio cittadino e diventa globale. Questo accomunamento è molto potente, per me, e mi ha cambiata molto.”
Un altro punto interessante da sottolineare è l’importanza degli elementi dello spazio pubblico “necessari” alla creazione, in questo caso si tratta, nello specifico, della strada.
“Nei miei documentari tutto nasce dalla strada. Non smetterò mai di andare per la strada perché mi aiuta a crescere. Sono nata in una famiglia borghese, privilegiata, bianca, ho avuto un’educazione molto protettiva: forse è per questo che ho un forte desiderio di capire che cosa c’è fuori. In me la strada provoca una grande attrazione, senza nessun romanticismo. Intendo un’attrazione nel senso conoscitivo, anche nei conflitti, nelle contraddizioni, nel male. Girare il film su San Berillo è stato molto difficile.
Anche il lavoro con le femministe di Non una di meno è stata una grande fatica, mi metto in gioco con i miei dubbi e ciò che non conosco. Cerco di restituire lo scontro con i miei pregiudizi, l’intento è far emergere la mia trasformazione come fatto possibile anche per altre e altri.”
La città, lo spazio urbano diventano un luogo di stimolo, adottato per ampliare i propri orizzonti interiori, per sollecitare nello spettatore una presa di coscienza rispetto al mondo che lo circonda. Ancora una volta, questa spinta ad osservare in modo critico, consapevole la realtà è un elemento che emerge durante un’intervista rivolta a un’artista che si occupa specificamente di “drammaturgia urbana”, in una delle sue molteplici, possibili declinazioni.
(Fine della I Parte)
