Le esperienze acustiche proposte dall’associazione MU di Cesena, come gruppo di lavoro e dai suoi singoli componenti (Giovanni Lami, Enrico Malatesta, Glauco Salvo), sono modi per promuovere e formare un ascolto attivo, consapevole, critico, per leggere con occhi nuovi la quotidianità attraverso un affinamento dei sensi e della percezione.
Educare, stimolare all’ascolto in modo inedito la realtà che ci circonda pone una questione fondamentale di natura cognitiva, amplia gli orizzonti mentali del pubblico che smette il ruolo di spettatore inerte, gli si chiede di esplorare in prima persona, condurre “esperimenti” acustici, semplici, ma non semplicistici o banali.
Lo mettono nella condizione di chiedersi come ci si relaziona con lo spazio, con l’altro, con il mondo circostante, un esercizio fondamentale della consapevolezza che trascende la dimensione acustica in sé, per aprirsi verso il modo di stare al mondo.
Lontano dalla standardizzazione delle esperienze di ascolto, le orecchie possono lavorare sull’importanza dei dettagli, così come il cervello può depurarsi dall’inquinamento mentale prodotto da strumenti tecnologici, utilissimi in sé, quando usati in modo critico, molto pericolosi se usati in modo passivo (nella maggior parte dei casi). In questo articolo, riprendiamo il discorso sullo spazio, da una prospettiva più personale, legata alla visione dei singoli componenti di MU.

L’uso dello SPAZIO nel percorso individuale di Giovanni Lami, Enrico Malatesta, Glauco Salvo.
Enrico Malatesta dichiara di non lavorare in modo esplicito sullo spazio, fa una ricerca basata molto sui laboratori, elabora, scrive pratiche di ascolto rivolte a contesti legati alle arti performative. Si confronta soprattutto con chi lavora con il corpo, con persone che perciò hanno una consapevolezza, una capacità molto più sviluppata di percepire ciò che li circonda nello spazio e con le quali trova subito un linguaggio comune.
“È molto più semplice confrontarmi con queste persone rispetto a musicisti classici. Di base mi muovo molto sull’intuizione in luoghi e situazioni che incontro in modo fortuito, in contesti dove sono già presenti in situ caratteristiche e potenze acustiche, sonore, o morfologiche tali per cui già il fatto di attraversare questi spazi, di abitarli, di ascoltarli ha implicazioni trasformative per quel che riguarda le dinamiche dell’ascolto e le modalità con cui si può ascoltare.”
Questo per esempio è avvenuto nel caso di un lavoro effettuato alla Riserva Naturale Speciale della Bessa di Biella, una miniera d’oro romana. “Una lingua di nove chilometri di ciottoli scuri di fiume, tutti grandi più o meno come il piede, consentono l’appoggio, costituita dagli scarti di lavorazione di una miniera romana, lungo il fiume Cervo. La conformazione del terreno obbliga ad abbandonare la zona di comfort, ogni ciottolo può scivolare e rendere difficoltosa la progressione del cammino, può essere sottilmente pericoloso.
Muoversi in quello spazio implica che controlli i piedi costantemente e quindi alzi e abbassi la testa di continuo per guardare dove stai camminando, non puoi fare un percorso lineare. Così, se io propongo di avvicinarsi a uno speaker che emette un rumore bianco, piazzato a venti metri dal corpo dell’ascoltatore, l’ascoltatore si muove verso lo speaker, ma chiaramente non sa che tipo di traiettoria descrive. Di sicuro non lineare. Quello spazio cambia continuamente, sei partecipe in modo visibile del suo cambiamento, perché sposti letteralmente i ciottoli mentre ci cammini sopra.”

Nel caso di un lavoro realizzato in occasione del festival “Stazione di Topolò“, a Topolò, paesino al confine sloveno, vicino a Cividale del Friuli, nella valle del Natisone, Enrico è partito da un luogo privo di interferenze sonore. Qui, ha lavorato “con un edificio ai margini del paese che si affacciava su una gola attraversata dal torrente Coderiana. A un certo punto ci siamo resi conto che stavamo tutti ascoltando il suono del fiume, uno sciabordio simile a un rumore bianco che entrava dalle due finestre affacciate sul torrente e si riverberava sulla parete nuda, vuota opposta a queste ultime.
L’assenza di filtri, l’assenza di attività consentivano a quel suono minimo di esprimere una serie di fenomeni che in un altro ambito, in un altro momento, o se avesse piovuto molto poco in quell’anno, non avremmo mai sentito. Di fatto, quindi, cerco di accumulare queste esperienze un po’ improvvise, di annotarmele, di trasformarle anche in esercizi, come è avvenuto nel caso di SantArcangelo Festival con il progetto Ephemeral Islands comprendente tre appuntamenti (2017).
Prende la parola Giovanni e spiega che uno di questi incontri era posizionato dentro una fabbrica semiabbadonata, la Paglierani. “C’era un capannone gigantesco, vuoto. Io ed Enrico eravamo fisicamente separati nello spazio, in ambienti diversi.
Lui accompagnava le persone attraverso un percorso su più piani, in particolare al primo piano c’era una stanza in disordine, con archivi, diversi oggetti sparsi. Lì si facevano piccoli esercizi d’ascolto, c’erano finestre a vetri che si affacciavano sul capannone dove io ero dentro con i miei strumenti (campionatori, registratori a nastro magnetico, etc.) e l’impianto di diffusione (sonora).
A un certo punto, finiti gli esercizi, Enrico ha aperto queste finestre e io alzando lentamente i segnali nel mixer ho fatto entrare quello che stavo facendo, nelle stanze dove loro erano posizionati, così che si creasse un ascolto diverso rispetto a quello dove stavo io, al piano di sotto. Loro non sapevano che io fossi lì, fra l’altro. Quindi a un certo punto sono stati “invasi” dal suono che è cresciuto piano piano. Una situazione simile a quella che si era creata a Topolò, in via naturale grazie al torrente.”
Interviene Glauco. “Un’altra esperienza secondo me, molto significativa, molto simile a quella di Topolò l’ho sperimentata l’anno scorso durante la quarantena. Uscivo a camminare nei miei duecento metri intorno a casa, il giorno dopo una mareggiata riuscivo a sentire il suono del mare riflesso dalle pareti degli edifici, degli alberghi, degli stabilimenti balneari vicino a casa mia.
Ascoltare in quel caso, oltre a percepire un suono, voleva dire anche percepire la presenza di oggetti. Si tratta di una situazione che, nonostante mi occupi di field recording (registrazione ambientale), non sono riuscito a registrare. Quelle esperienze non sono registrabili. Ascoltarla attraverso il medium dei microfoni senza muoversi non ha alcun senso.
Una cosa molto interessante del nostro approccio allo spazio, è il fatto che in alcuni casi, strumenti che utilizziamo quotidianamente nel nostro lavoro, anche ipertecnologici non dico che falliscano, ma non riescono a riprodurre piccole sfaccettature della realtà, persino nell’hifi più estremo.

L’eco, come fenomeno, per esempio, si può facilmente registrare. Si registra il riverbero di un colpo in una vallata. Tuttavia, è un accadimento acustico che nel momento in cui sei presente sul luogo ti permette di ascoltare la morfologia dello spazio, la sua geografia, ma nel momento in cui lo registri, si appiattisce e diventa solo un suono. Quindi perdi tutte le informazioni che nella situazione originale si aggiungono al fatto di aver ascoltato semplicemente un suono.
Sia come individui, sia come MU, siamo inclini a osservare questo tipo di avvenimenti e a interessarcene anche a fondo, per quanto questi progetti escano dalle traiettorie classiche del nostro lavoro, fatichino a essere capitalizzati, nel senso che è difficile che siano “catturati” e proposti.”
Nel progetto 3ECO/Cienfuegos, riguardante fenomeni acustici (eco, riverberi) nella città di Cesena, lo spunto è quello di una caccia al tesoro. Enrico spiega che il pubblico è guidato nel suo percorso da segni, ovvero “i segni sono murales o disegni sulle pareti urbane, in cui questi suoni emergono, sono dichiarati. In questo lavoro, pensato in epoca Covid, l’invito era a effettuare un percorso in autonomia. L’idea era che i partecipanti cercassero gli spot. Uno di essi, fra l’altro, ora non c’è più, perché hanno ridipinto la parete. Il percorso si muove su indicazioni temporanee.
Non siamo naturalmente gli unici a muoverci in questa direzione, ci sono altre realtà, come NUB a Prato, Standards a Milano, i quali lanciarono uno dei progetti più interessanti, per me, durante la quarantena, al quale ho anche contribuito, Quarantine Workout. Hanno chiesto a una serie di persone di immaginare delle partiture, testo e suono, partiture verbali, esercizi, pratiche, inviti per cui chiunque nel suo spazio domestico poteva procurarsi esperienze di ascolto un po’ più problematiche. Magari anche dove ci fosse un lavoro pratico di indagine. Quindi, a proposito di quegli esercizi inseriti nel sito ci siamo un po’ “accodati” a quel tipo di idea, ricontestualizzandola. L’abbiamo collocata non più nello spazio domestico, ma in due luoghi precisi. Il lavoro per il partecipante comprende quindi anche il fatto che deve andare in quel posto.

Si tratta di una bozza per un’idea che svilupperò in seguito a Prato per NUB.” A questo punto, però Enrico, avanza qualche dubbio circa la possibilità di trovare persone disposte a compiere in autonomia questo genere di percorsi. Si chiede perché una persona dovrebbe “perdere del tempo” ad andare ad ascoltare l’eco… così mi sembra giunto il momento di spostare le riflessioni a proposito del rapporto con il…
…PUBBLICO (inteso come partecipanti)
Chiedo quindi come Enrico, Giovanni, Glauco si pongono rispetto al pubblico, che cosa si aspettano nel rapporto con l’ascoltatore?
Inizia Enrico. “Nel caso di Esercizi di ascolto, abbiamo pensato a una proposta molto semplice, quando ancora c’era la quarantena, circa a metà maggio del 2020. Siccome avevamo in mente di realizzare un lavoro nella zona del fiume verso monte, io e Glauco abbiamo scritto un esercizio a testa. In particolare, riguardavano le possibilità d’ascolto offerte da due luoghi specifici: un ponte di ferro che attraversa il fiume e la vecchia centrale idroelettrica dei primi anni del Novecento.
In un anno ho parlato con solo una persona che l’ha fatto, non so gli altri. Qui entriamo nel problema del pubblico. Per quanto abbiamo sempre successo nei nostri numeri, nel senso che in una certa misura ci sono persone che nell’ombra ci sostengono e che comunque vengono quando organizziamo proposte, nonostante non abbiamo una grande struttura promozionale, forse siamo un po’ anacronistici in questo, ci sono poche lucette della festa che attirano in sé.
Il discorso sul pubblico è molto lungo. Una ventina d’anni fa, quando ho iniziato a organizzare e a fare questi lavori il mondo era totalmente diverso. Non avevo internet nel cellulare e forse allora le province erano più forti. A sensazione, forse c’erano più cose, c’erano più persone che rimanevano. Oggi è più difficoltoso, anche creare un pubblico che non esiste come entità, non esiste più secondo me. Mi sembra che sia un momento molto difficile per capire chi è il pubblico. Noi siamo accomunati, per questo ci siamo associati, dal fatto che abbiamo sempre seguito contesti diversi, al di là delle infrastrutture che li contenevano. Nel senso abbiamo seguito i contenuti, al di là dei contesti. Ho memoria di cose incredibili viste in cantine, come viste all’Hangar Bicocca.
Noi quindi non siamo molto addomesticati come spettatori. Non è che faccio l’abbonamento per seguire una certa programmazione, dove c’è un certo tipo di linguaggio, di codici, di colori. Se il centro anziani organizza una cosa “che spacca”, io ci vado. Siamo sempre stati mossi verso la diversità, quindi anche come associazione un po’ riflettiamo questo. Il tutto è difficile anche da comunicare. Se decidiamo di invitare Seiji Morimoto che è quasi sconosciuto fuori dal “nostro giro” e non hai un grande apparato retorico nella promozione, chi diventa pubblico di quella proposta? Poi di fatto le persone vengono, ma forse per un sistema di risonanza tra noi, più fatto quasi di rapporti personali.”
Giovanni dice che loro di MU “sono visti come qualcosa di abbastanza esotico e quindi l’esotico attira. Nel caso di Seiji Morimoto, il pubblico arrivava in kajak al tramonto, alle saline. Forse il pubblico veniva solo per vedere il luogo, per noi il luogo faceva parte del contenuto. Io non ci vedo niente di male se le persone vengono perché si vogliono fare un giro in kajak alle saline e anche a vedere quello che succedeva nella performance.”

Enrico riprende la parola per dichiarare di condividere quello che ha appena detto Giovanni e specifica che non percepisce l’esistenza di “un’entità pubblico” rispetto a quello che organizzano, sebbene “ci siano eventi come quelli citati da Giovanni molto attrattivi per tanti aspetti ed effettivamente la gente partecipa.” Riprende Giovanni: “In tutti i lavori che abbiamo fatto, sia negli spazi aperti inusuali, in un palazzo storico di Cesena, o nel porto di Ravenna, il pubblico è incuriosito inizialmente anche solo dalla cornice, una volta sul posto gli arriva il contenuto.
Glauco: Nel momento in cui le persone si trovano di fronte alle nostre proposte che in alcuni casi possono essere semplici e in altri casi possono avere un aspetto respingente noi cerchiamo di fare in modo che sia chiaro che quella è una possibilità di ascolto, ha una durata limitata, se non ti piace non succede niente… Il nostro è un invito a fare un’esperienza diversa, non convenzionale, e ad ascoltare il lavoro di artisti che passano il prossimo mese e poi non tornano più per anni. Nel momento in cui le persone si trovano dentro la situazione tutte queste problematiche in parte svaniscono, alcune persone rimangono folgorate da alcune cose e torneranno, altre rimangono indifferenti.
“Però” precisa Enrico la problematica di cui stiamo parlando, la difficoltà di collocazione e visibilità riguarda l’apparato precedente. L’apparato precedente è fondamentale. Nel caso belga di q-O2 tu sai che se hai voglia di impegnarti sai che ottieni risultati, riesci ad accedere a fondi, a sostegni, uso di spazi, un supporto logistico. In Italia c’è spesso una frattura enorme negli amministratori e nelle istituzioni culturali fra quello che è un pensiero ideologico, o idealistico e il modo in cui le cose funzionano.
Questo cambia tutto. C’è una differenza fondamentale nel produrre un progetto se sai in partenza di avere un sostegno, di trovare ascolto in un’istituzione che ti supporti, o se invece sei costretto a procedere nel vuoto, con enormi perdite di tempo e di motivazione.
Attraverso questi lavori, il cittadino è messo nelle condizioni di attivare le proprie consapevolezze percettive, di guardarsi attorno in modo nuovo, di ragionare, porsi domande. Ho sentito questo genere di progetti molto affini al mio percorso di ricerca attuale dedicato all’esplorazione di piccoli, apparentemente insignificanti eventi, situazioni, contesti del quotidiano e che invece hanno un enorme significato simbolico o metaforico. Anche se è molto difficile riuscire a superare le barriere della pigrizia mentale e a condurre una comunicazione efficace che nei progetti “indipendenti” ha ancor più un rilievo importantissimo.
Chiedo di lasciare un messaggio e ricevo un appunto di buon auspicio: che le persone possano contattarsi incuriosite dalla validità, dalla particolarità, dalla serietà di un progetto artistico interessante. Che si torni a un interesse che non sia mediato dai rapporti verticali di potere.
