Tra il 2010 e il 2011 un gruppo di ricerca facente capo al Dipartimento di Scienze Politiche e Sociali dell’Università di Catania si avvicina al quartiere San Berillo, nel cuore della città, nel corso di un progetto di mappature di comunità.
La storia del quartiere San Berillo merita una breve parentesi esplicativa per i non catanesi, senza la quale sfuggirebbe la comprensione del contesto e il senso del processo di rigenerazione urbana avviato una decina di anni fa in quel luogo. Nonché dell’attività di Trame di Quartiere, oggi Cooperativa Sociale di Comunità, un gruppo di lavoro interdisciplinare che promuove e facilita pratiche di azione e ricerca su quel territorio, al centro dell’attenzione in questo articolo e del prossimo.
Il loro nome è indicativo, in quanto rimanda al contempo all’idea di relazioni, legami (trame di relazioni) e a quella di narrazione. Riqualificazione urbana, inclusione, rispetto e valorizzazione delle diversità sono i punti fondamentali attorno ai quali si concentra l’attenzione del gruppo. Desideriamo quindi scoprire come si articola, da che cosa è mossa la loro attività e qual è il loro rapporto con il concetto di drammaturgia urbana, spazio, personaggi.
Alla fine degli anni Cinquanta del Novecento una vasta area del centro storico di Catania denominata San Berillo, abitata da ceti popolari, è sottoposta a una bonifica forzata, promossa dall’amministrazione comunale in accordo con l’ISTICA (Istituto Immobiliare di Catania), dove le specifiche necessità di risanamento si intrecciano a intenti di speculazione edilizia, nonché alla costruzione di una nuova ‘city’.
I proprietari vengono espropriati e risarciti con cifre molto inferiori al valore di mercato, i lotti rivenduti a privati e all’ISTICA stessa, oltre trentamila abitanti vengono sradicati dal proprio contesto socio-abitativo e trasferiti nella nascente periferia. In corso di realizzazione, tuttavia, l’operazione è sospesa e la zona resta alla mercé del tempo, degli elementi, del degrado.
Flavia Monfrini spiega in dettaglio. “Di quello che era San Berillo noi abbiamo tre testimonianze: una parte completamente ricostruita in cemento armato, una demolita che non è mai stata ricostruita e una, infine, che, in seguito ad un esproprio pre-demolizione, è stata abbandonata dai proprietari ed è il San Berillo oggi comunemente conosciuto. Non stiamo parlando, perciò, solo di quattro stradine molto suggestive perché sono piene di ruderi.
Parliamo di una fetta di città che ricopriva un’area molto più estesa rispetto a oggi, le cui trasformazioni sono state determinanti per l’intera città e la cui memoria oggi può porre le basi per una cittadinanza attiva e consapevole. La mostra Narrazioni da noi curata è una delle modalità di organizzazione del corposo materiale di cui disponiamo e che stiamo catalogando per renderlo fruibile alla cittadinanza.
Ciò che attualmente è conosciuto come San Berillo è, quindi, solo una piccola porzione del territorio interessato dal progetto iniziale. RIcordiamo che l’area comprende tre zone: quella sottoposta all’opera di sventramento e riedificata sotto forma di blocchi abitativi; una parte costituita da vuoti urbani, testimonianza dell’interruzione del progetto; una porzione di edifici storici sopravvissuti, abbandonati e oggi sempre più fatiscenti ora indicati con l’appellativo San Berillo.”
Flavia Monfrini ci informa che le prime attività del gruppo nel quartiere si sono svolte in modo non troppo formale intorno al 2010-2011. Sono nate, come si è anticipato all’inizio dell’articolo, dalla collaborazione tra alcuni laureandi, ricercatori e docenti del Dipartimento di Scienze Politiche e Sociali dell’Università di Catania, nel corso di un progetto finanziato di mappatura di comunità (realizzare, studiare, sperimentare mappature di comunità), nel quale è rientrata anche la pubblicazione del volume Urban cultural maps.
“Il gruppo di ricerca ha iniziato a creare relazioni con gli abitanti, a esplorare il quartiere con lo scopo di conoscerlo” racconta Flavia “e grazie a questa conoscenza si è capito che al di là del percorso incentrato sulla mappatura di comunità, sulla riflessione sociale, storica, al di là del confronto con il quartiere prima e dopo lo sventramento, c’erano attività commerciali, lavorative, c’erano (e ci sono ancora) esigenze primarie e importanti problemi socio-abitativi che mancavano di uno spazio di ascolto e confronto. C’è stato tanto lavoro di ricerca dietro… tanto più ci capiamo, più la gente ci racconta. Oggi lo spazio espositivo nella nostra sede è aperto e le persone possono lasciare le proprie informazioni, le proprie descrizioni.
Una serie di variabili studiate in questo progetto, gli ingredienti che hanno favorito la relazione, sono fattori all’origine della fondazione di Trame di Quartiere. Terminato il progetto universitario si è andati oltre. C’è stata la volontà di approfondire la conoscenza del contesto attuali del quartiere e della sua memoria, di interrogarsi sul valore che il medesimo ha nella città di Catania.
La prima attenzione è stata per San Berillo vecchio perché permane un senso di comunità, di appartenenza da parte degli abitanti, ma è altrettanto vivo il conflitto fra le persone che lo abitano e quello con l’esterno.
Attraverso incontri mirati sono nate riunioni in strada alle quali inizialmente partecipavano in pochi. In seguito sono state sempre più frequentate, non solo da abitanti del quartiere, ma anche da cittadini interessati a queste problematiche. Parliamo di abitanti del quartiere che non dialogavano fra loro e magari abitavano a cento metri uno dall’altra, nella parte di quartiere che è rimasta in piedi e che adesso si chiama San Berillo vecchio.
Una porzione di territorio volutamente tagliata fuori. Un quartiere molto ricco, grazie alla sua diversità culturale, diventato un luogo dove a fronte dei residenti rimasti, è diventato un quartiere marginale, anche sul piano economico.”
Dal progetto universitario in cui i ricercatori camminano per le vie e dialogano con gli abitanti, nasce il Comitato Cittadini Attivi San Berillo nel 2013. E’ un piccolo organismo che si confronta sui propri bisogni, problemi, mancanze, apre un dialogo fra sex workers, stranieri con residenza fissa, italiani che occupano edifici, abitanti “regolari”. Si sono trovati a interagire persone molto diverse fra loro.
Con la fondazione del Comitato si sono iniziati a creare eventi in strada, in particolare la “tavolata di quartiere”, il format principale sperimentato a quell’epoca. Questi momenti conviviali avevano un richiamo e sono riusciti a far partecipare la città di Catania. Erano molto frequentati anche da chi in quartiere non c’era mai stato.
Res publica temporanea, un gruppo di artisti ha fatto street art sulle porte murate, così da metterle in evidenza, hanno scelto di ritrarre vari soggetti, con un contributo di idee venuto anche dagli abitanti, nell’ottica di vederle distrutte in futuro, evento infatti che si è verificato.
A mano mano che questi eventi aumentavano, se ne realizzavano altri come “Porte aperte a San Berillo” che univa punti di ristoro in tutte le strade e i vicoli, con i luoghi in cui avvenivano performance, installazioni, esibizioni di musicisti.
Questo è avvenuto intorno al 2014. “A questo punto,”, mi raccontano Flavia e Alice, “Ai membri del comitato è stato fatto notare che quello che stava accadendo fra loro e il quartiere aveva una progettualità, poteva creare relazioni più forti, pratiche di rigenerazione umana, attraverso progetti finanziati.
“In seguito alla vincita di un bando da centoventimila euro si è costituita l’associazione Trame di Quartiere (che oggi è una cooperativa) e si riesce anche ad avviare la ristrutturazione del Palazzo De Gaetani da utilizzare come sede di lavoro e spazio espositivo, classico palazzetto con un basso di botteghe con volte a crociera che affacciano su strada e due piani, risalente al XIX secolo.
A novembre 2016 le prime porte della nostra sede di Palazzo de Gaetani sono state abbattute. Ne abbiamo aperte altre in seguito, ma le prime sono state demolite nel 2016, quando abbiamo iniziato i lavori di ristrutturazione.
Il proprietario ha predisposto un contratto di comodato d’uso, ha messo in sicurezza il palazzo, l’associazione Trame di Quartiere (che da giugno 2020 è una cooperativa) ha potuto avviare la ristrutturazione del piano terra (abbattimento porte).
Il gruppo di persone che occupava lo stabile, in concomitanza con un altro finanziamento per un secondo intervento di ristrutturazione – nell’ambito del nuovo progetto di Trame, “SottoSopra: abitare collaborativo” –, ha lasciato il palazzo per un’altra casa nel centro storico, con un contratto regolare. Il palazzo de Gaetani con la sede di Trame svolge un ruolo e di investigazione in un quartiere che va in direzioni diverse.
Le prime attività finanziate e attuate sono state alcuni laboratori di drammaturgia urbana e videodocumentazione dai quali sono nati eventi performativi di drammaturgia di comunità e una web serie curata dalla regista Maria Arena, con lo scopo di intensificare la relazione con il quartiere. In questi laboratori, oltre ad alcuni abitanti, sono stati coinvolti giovani dai diciotto ai trentacinque anni che hanno avuto opportunità di formazione gratuita e la possibilità di lavorare con professionisti.”
Flavia e Alice, le due socie di Trame con le quali stiamo dialogando, hanno fatto il loro ingresso in Trame di quartiere grazie a questi laboratori. Precisano: “Siamo entrate in relazione con il quartiere, con la sua storia e i possibili modi di raccontarla. Questo è stato il nostro atto di cittadinanza attiva, è un confronto. Le passeggiate in cui oggi raccontiamo il quartiere, tra le attività che ci aiutano a sostenere il progetto, sono attività di narrazione ed educazione al patrimonio.
Maria Arena ha condotto i laboratori di documentazione, mentre le operatrici di teatro sociale dell’associazione Officina Socialmeccanica (hanno organizzato due biennali di teatro sociale a Catania e in altre sedi in Italia) si sono occupate dei laboratori di teatro sociale e drammaturgia di comunità.
Al momento stiamo portando avanti questo discorso sulla narrazione che è una nostra costante, anche con l’archivio e le mostre. Abbiamo due laboratori permanenti: uno si occupa di servizi culturali, di educazione al patrimonio e ricerca d’archivio. Il lavoro si orienta sulle passeggiate urbane – una delle forme di narrazione che stiamo sperimentando sempre di più – sul turismo responsabile e puntiamo al coinvolgimento del tessuto culturale anche all’estero.
Facciamo attività con gli studenti che li rendono coscienti delle dinamiche del quartiere. Via Vai era un evento diviso in tre puntate che ha avuto lo scopo di sperimentare percorsi sui quali stiamo ancora lavorando.
L’altro laboratorio si occupa di innovazione sociale. Le attività sono incentrate su una rete da noi promossa e costituita di organizzazioni che lavorano sul territorio, alcune delle quali e hanno aperto uno sportello nella nostra sede. Rispondono a bisogni dei cittadini, specie di fasce sociali fragili, o che vivono situazioni complesse, di disagio e di ambientazione, posto che oltre ad abitanti stanziali immigrati, transitano molti giovani extracomunitari. Questo è un quartiere di grande passaggio.