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Danae Festival – Teatro delle Moire – II Puntata – DRAMMATURGIE URBANE – playwriting in urban space

Danae Festival – Teatro delle Moire – II Puntata

Elvis Star dust, Teatro delle Moire, Sant'Arcangelo Festival
Elvis’ Stardust per Santarcangelo Festival, foto di Valentina Bianchi, gentilmente concessa da Teatro delle Moire.

Drammaturgia urbana. Il rapporto fra personaggi, spazio e pubblico.

Quando si riflette attorno al concetto di Drammaturgia Urbana, fra gli elementi fondamentali da considerare, la questione dello spazio ha un’importanza centrale, posto che si è usciti dalla “confortante” sala teatrale per inoltrarsi in un ambiente esterno, più complesso. Di conseguenza, anche il rapporto con il pubblico implica rapporti e percezioni completamente differenti. Ho chiesto ai direttori artistici di Danae Festival e fondatori di Teatro delle Moire, Alessandra De Santis e Attilio Nicoli Cristiani di spiegare il loro modo di intendere e rapportarsi con lo spazio, il pubblico e i loro personaggi. Cominciamo dai personaggi in dialogo con il mondo circostante e con lo spazio in generale.

Il punto di vista di Alessandra: “Le cose sono accadute in tanti modi diversi … volevo parlarti di un’esperienza particolare, ovvero, di un personaggio a cui abbiamo lavorato e che avevo impersonato io: Elvis Presley. Questo personaggio è fuoriuscito da uno spettacolo, perché chiedeva di “uscire”. Aveva già in sé una scrittura, una drammaturgia, era molto caratterizzato dal punto di vita psicologico. Era un personaggio tragico, malinconico, al limite della sua vita, con un bagaglio di rimpianti, forse anche di rimorsi alle spalle. Una di quelle figure che ha raggiunto l’apice della notorietà, ma per la quale – come Michael Jackson e Marilyn Monroe considerati da noi in altre occasioni – l’impatto con la società dello spettacolo è stato devastante.

Mi è stata proposto di fare una performance di un minuto al festival Gender Bender a Bologna, alcuni anni fa. Ho vinto il primo premio e lì è nata la storia del personaggio di Elvis in esterno. I direttori artistici di Santarcangelo Festival presenti in quell’occasione, Enrico Casagrande e Daniela Nicolò (Motus) hanno ascoltato un mio discorso al ritiro del premio in cui ho dichiarato che, come giustamente mi aveva suggerito Attilio, Elvis era un po’ come Ginger e Fred nell’omonimo film di Fellini, un personaggio fuori contesto. E così lo immaginavo in Arizona, in una pompa di benzina, nel deserto… Uno passa… fa benzina… e vede questo Elvis che esce come un fantasma…

È stato così che Enrico e Daniela dopo una settimana mi hanno proposto di lavorare in un’autentica pompa di benzina a Santarcangelo. A quel punto, è nata una vera e propria storia, una drammaturgia di una quindicina di minuti: il personaggio esce dal gabbiotto della pompa di benzina, fa piccole azioni, anche molto surreali, canta e poi se ne va. Con una magnifica limousine color rosa.

Sempre a Santarcangelo ho lavorato a questo personaggio anche in un negozio di arredamento (cosa che poi si è ripetuta in altre città) di cui mi ero innamorata, perché sembrava proprio di entrare in un’abitazione. C’era la cucina, il soggiorno, il salotto e tutto fantasticamente in vetrina, sotto il possibile sguardo dei passanti/spettatori. Ho pensato subito che quella fosse la casa di Elvis. Anche in questo caso c’è stata un’azione di scrittura, un breve intervento di una quindicina di minuti.

Questo iconico personaggio in una vetrina era come dentro un acquario, pesce esotico esemplare, ma anche soggetto sotto osservazione, si muoveva in questa sua residenza completamente esposto,   dove tutti potevano vederlo, “spiarlo”. In questo caso la scrittura è nata dall’incontro tra gli spazi e il personaggio. Per noi, ha funzionato spesso così.” Attilio conferma: “Sì, lo spazio e il personaggio sono entrati in dialogo.”

Nel parlare del personaggio emerge quindi una forte connessione con la situazione spaziale, con il luogo dove si svolge l’azione. L’attenzione si sposta così verso la questione dello spazio, senza soluzione di continuità, in un rapporto fluido.

Aquamama di Cinzia Delorenzi
Aquamama, foto di Lucia Puricelli, gentilmente concessa da Danae Festival- Teatro delle Moire

Chiedo quali differenze ci sono state nel rapporto con la dimensione spaziale fra le scelte relative alla progettazione del Danae Festival come organizzatori artistici e il loro operare, a loro volta, da artisti (fuori e dentro il Festival). Per quanto riguarda Danae, si possono riconoscere due situazioni: l’identificazione di un luogo adatto da parte degli organizzatori e il confronto fra direzione artistica e artisti che porta alla scelta di uno spazio.

Il punto di vista di Attilio: “In alcuni casi abbiamo identificato lo spazio da usare in modo preliminare. Per esempio, la banchina del tram davanti a Palazzo Litta, perché in quella situazione eravamo già operativi al Teatro omonimo nel corso del Festival, perciò aveva senso usare lo spazio urbano antistante. Era una collocazione che poteva creare una relazione, un rimando o collegamento imprevisto con quello che accadeva “dentro” la sala. In quell’occasione avevamo un format, una sezione, a cui avevamo dato un titolo: Body Stop – perché il corpo creava un momento di fermo (immagine) nell’agire cittadino e perché è innegabile che,quando la performance prendeva il via, si creava un momento di surreale sospensione, fosse anche per pochi attimi, in cui tutto e tutti/e si lasciavano distrarre dalla propria attività.

Per questo progetto avevamo convocato artiste e artisti senza pensare di chiedere loro uno spettacolo, ma piuttosto di rielaborare dei materiali dei loro lavori come punto di partenza per la performance. In particolare ci eravamo rivolti a compagnie emergenti.

In altri casi con gli ospiti abbiamo ragionato insieme su progetti più articolati e ci siamo messi a cercare luoghi insieme a loro, per capire dove poterli collocare. Mi vengono in mente alcuni lavori che abbiamo fatto con Cinzia Delorenzi o con la compagnia Animanera che hanno realizzato performance indimenticabili nei primi anni del festival, quando si collaborava attivamente anche a sviscerare la questione drammaturgica e di svolgimento del progetto.

Per quanto riguarda il nostro lavoro artistico in spazi urbani, il nostro punto di partenza è stata spesso la relazione tra il personaggio e lo spazio. Tale rapporto può innescare una drammaturgia che non è mai mossa dalla scrittura iniziale, perché non è quella la nostra esperienza, ma si appoggia a testi, letture, visioni d’arte, cinema etc. Per esempio, nel caso di Violently Snow White – originariamente nata per il teatro – per le azioni abbiamo attinto materiale dai Fratelli Grimm, fino a Disney- Parlo di “azioni” perché il nostro è stato spesso un lavoro dove il testo era quasi assente, ma si appoggia proprio alle azioni, al movimento e alla nostra idea di danza che viene da quella che è la nostra esperienza formativa. I nostri lavori sono, infatti, inscritti in una zona ibrida, non è teatro e non è danza in senso canonico.

Abbiamo costruito le scene attraverso le immagini che ci hanno attraversato in questa ricerca testuale e iconografica: per esempio, Biancaneve sperduta nel bosco. Avevamo tre Biancaneve. Appariva la prima, quindi la seconda, la terza, in una sorta di incubo. In un momento successivo, il progetto si è trasformato un’azione urbana. Le tre figure che correvano, disperate, da una parte all’altra, diventavano immagini astratte: si muovevano in un “bosco” che non c’era, i personaggi erano, infatti, circondati dal cemento.

Violently Snow White, Teatro delle Moire, mercato di Bassano del Grappa
Violently Snow White, foto di R. Rognoni, gentilmente concessa da Teatro delle Moire

Le Biancaneve agivano come se non ci fosse il pubblico, andavano dappertutto, urlavano, rompevano le architetture della città. Coinvolgevano le persone che rimanevano disorientate. In questo caso, abbiamo spostato un elemento nato per la scena, per un teatro, in un luogo della città: in particolare per le banchine del tram.

Un’altra esperienza è stata la Pop mobile. Per questo progetto abbiamo raggruppato una serie di personaggi: Biancaneve, Clarabella, Minnie. Ci siamo immaginati una macchina che potesse essere simile a quella dei personaggi di Walt Disney: abbiamo trovato una maggiolino decapottabile e da lì abbiamo immaginato un percorso. L’occasione per dare vita all’idea, realizzarla è stata la festa dei teatri della Provincia di Milano.

Abbiamo pensato di attraversare la città, di coinvolgere molti luoghi. Ci siamo concentrati sul concetto di piazza, scegliendo anche gli ipermercati come piazze del contemporaneo. Ci interessavano non solo piazza Duomo, piazza Cordusio, ma tutti possibili luoghi di aggregazione. Abbiamo cominciato da sud, dall’ipercoop di piazzale Lodi, per arrivare fino a sesto San Giovanni, a un’altra ipercoop.

Abbiamo attraversato la città. A ogni tappa portavamo azioni puramente improvvisate, non c’era un copione, c’erano dei “perimetri/paletti” dentro i quali però eravamo liberi. I personaggi, ognuno secondo le proprie caratteristiche, si scatenavano e agivano. Inoltre le persone stesse che incontravamo, a loro volta, generavano una drammaturgia. C’era chi si metteva a ballare con noi, perché avevamo una colonna sonora pop, rock, dance di quei tempi; chi reagiva, chi urlava “andate via”, e la performance si sviluppava, come sempre accade in urbano, anche in reazione a quanto accadeva nel qui e ora dell’incontro.

Pop mobile, Teatro delle Moire
Pop Mobile, foto gentilmente concessa da Teatro delle Moire

Se, all’inizio, uscire dal teatro è stata una questione di fare di necessità virtù, in seguito è diventato necessario per noi che quel personaggio “uscisse”, come per Elvis. Era una nostra esigenza portarlo fuori”.

Caleidoscopio propone un’altra situazione.

I personaggi sono stati affidati ad attori che avevano partecipato a un laboratorio, con cui però si era creato un linguaggio comune che permetteva di poter rischiare anche nell’esterno. L’occasione di realizzare questa performance ha avuto origine da una commissione.

Alessandra e Attilio hanno chiesto ai partecipanti alla performance di dipingersi di bianco, indossare costumi d’epoca e di muoversi con un altro tempo, per poter generare semplici e lentissime azioni diventando quasi elementi scultorei, fotografie, fermi immagini in contrasto con  la frenesia di quello che succedeva intorno – tutto questo con una colonna sonora che potesse creare un nuovo mondo visivo.

Un giorno, a Brescia, finita la performance, mentre i performer stavano andando nell’albergo dove si potevano lavare e cambiare è avvenuto un fatto significativo. Lo spostamento dal luogo dell’azione all’albergo si è trasformato esso stesso in performance. Gli attori, che avevano scelto di non parlare una volta terminata l’azione e di muoversi lentamente, hanno incontrato una fontana di marmo particolarmente bella e l’hanno circondata silenziosamente, rimanendo lì per qualche minuto, immobili.

A quel punto, Attilio ha compreso che era stato introiettato il discorso relativo all’uso dello spazio urbano e che quella era la performance. Erano autonomi. Si era creata una dinamica di gruppo e di ascolto molto forte. Attilio, tiene a sottolineare che questo, cioè la capacità di ascolto, sia dovuta al fatto che le loro performance siano sovente silenziose e nella condivisione dei corpi avvenga un’attivazione dei sensi a 360 gradi:

“Sei in continuo ascolto di quello che sta facendo l’altro, per cercare di entrare in sintonia e ovviamente l’altro significa il compagno di lavoro ma anche il pubblico, cioè quello che sta succedendo intorno a te, per far crescere la performance stessa.”

(Fine della II puntata. prosegue…)

Elvis Stardust, Teatro delle Moire
Elvis’ Stardust, Teatro delle Moire, foto di Valentina Bianchi, gentilmente concessa da Teatro delle Moire

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