Drammaturgia Urbana e performance

Drammaturgie Urbane, blog di Sonia Arienta, Milano

La mia idea di Drammaturgia Urbana

comprende essenzialmente due indirizzi: uno affidato a testi teatrali da rappresentare in spazi teatrali o luoghi non convenzionali, l’altro estraneo all’attività affidata a un attore consapevole di recitare un ruolo, così come a quello di finzione.

In questa seconda categoria di progetti, a differenza di quelli incentrati su una pièce, escludo volutamente la “mediazione” attoriale di uno o più interpreti (professionisti o “casuali”), la fisicità, la gestualità di un performer cosciente del ruolo, così come i codici e le pratiche mimetiche” o stilizzate della realtà proprie del teatro.

Un teatro anti-teatrale o anti-performativo?

No, soltanto un modo diverso di considerare la teatralità e il concetto stesso di performance. Come evidenzia Richard Schechner “non ci sono limiti storici o culturali definibili a ciò che è o non è performance” (“there is no historically or culturally fixable limit to what is or is not “performance”).

Piuttosto il minimo comun denominatore fra le molteplici possibilità di intendere questo termine è l’idea che ogni azione “incorniciata”, agita, presentata, evidenziata o mostrata sia una performance” (“any action that is framed, enacted, presented, highlighted, or displayed is a performance” p. 3, in Performance Studies. An introduction, 2002-13).

Ci sono altri modi e mondi di rappresentazioni, di trame e personaggi da mostrare e da guardare, al di là delle convenzioni e delle strutture di pensiero abitualmente legate alla prassi attoriale.

Lo spazio abitato ospita la nostra vita quotidiana e ci parla di lei. Perciò, in questo ambito, desidero investigare le interazioni umane, i giochi di ruolo, l’uso delle maschere sociali, gli elementi simbolici, drammatici – nascosti o evidenti – che abbiamo tutti i giorni davanti agli occhi senza notarli, o senza rifletterci… insomma tutto quello che c’è già a disposizione attorno a noi con tutte le contraddizioni, i conflitti, gli stimoli possibili. A questo proposito gli scritti di Erwin Goffman offrono da sessant’anni molteplici spunti di indagine e di ricerca…(in particolare Presentation of self in everyday life, Behavior in Public Places: Notes on the Social Organization of Gatherings, Interaction Ritual: Essays on Face-to-Face Behavior, Strategic Interaction, Where the action is, Relations in Public: Microstudies of the Public Order); sono fondamentali per definire e pensare nuove forme di drammaturgia, in particolare di Drammaturgia Urbana.

Osservare e Agire. Osservare e essere osservati. Con consapevolezza o senza saperlo. Cerco la dimensione teatrale nascosta nella realtà quotidiana, le storie in apparenza irrilevanti sotto gli occhi di tutti, ma con un senso metaforico o simbolico di forte impatto.

I gesti, il contesto, le situazioni sono lì, in attesa di essere colti… aspettano di essere inividuadati, osservati e che qualcuno ci rifletta sopra. Così penso che individuerò quelli che di volta in volta riterrò più significativi da trasmettere al pubblico: attraverso le tecniche più efficaci per quel preciso progetto. In alcuni casi la partecipazione è consapevole e si può lavorare insieme per “costruire” qualcosa, un prodotto finale,  in altri casi invece lo spettatore è chiamato a osservare con occhi nuovi immagini familiari e quotidiane.

Possono esserci interventi che coinvolgono  gli abitanti invitati a collaborare attivamente secondo linee guida (o attraverso una serie di azioni prestabilite come in Codex); a trasformarsi in “reporter” (come in Aiuole Clandestine) oppure a dare un contributo scritto (come in osservAzioni, dove i cittadini rispondevano a questionari). In altri casi sono invitati a camminare e a riflettere lungo percorsi stabiliti, o a piacere (Collezioni Private).

In altri progetti, i protagonisti saranno le condizioni più teatrali dello spazio: per esempio, la luce, il “dietro le quinte”, i fondali, il dialogo fra piani… Luoghi abitati e dimenticati, belli, brutti, squallidi, pericolosi, malinconici. Gli stimoli provengono da pensatori che hanno a lungo esplorato l’uso che facciamo dello spazio e i rapporti che instauriamo con il medesimo (Henry Lefebvre, Yi Fu Tuan, Christian Norberg-Schulz…)

D’altra parte, poiché la centralità garantita agli umani, l’antropocentrismo sono fin troppo imperanti con i risultati catastrofici in termini di benessere, equilibrio ambientale…. penso sia fondamentale mettere al centro dell’attenzione tutti gli altri esseri viventi e, perché no? Anche gli oggetti inanimati…  I personaggi delle storie sono infiniti…

Eccesso di emozioni e individualismo rendono le persone poco propense rispettivamente all’esercizio del pensiero critico e alla collaborazione, alla disponibilità, alle relazioni sociali solide e profonde, al rispetto dell’altro e del bene pubblico.

Per questo, mi interessa ricorrere innanzitutto a necessari filtri di distanza per sollecitare le persone a riflettere, a prendere consapevolezza di quel che accade, di guardarsi attorno in modo critico.  La distanziazione è necessaria per il giudizio e la riflessione.

La mera sollecitazione di emozioni, legata alla soddisfazione immediata di un desiderio, di un istinto è quella sfruttato dai politici in cerca di consensi facili e dalla macchina della pubblicità e del marketing.

La strada per la consapevolezza, l’indipendenza, l’autonomia di pensiero, ovvero il pensiero critico passano da un equilibrio fra il ragionamento e la sfera emotiva.

Che cosa si può trovare su questo Blog, nei prossimi numeri? Approfondimenti dedicati ad autori, a studiosi, libri, manifestazioni (festival, convegni) che si sono occupati o che si occupano di progetti al confine fra teatro e arti visive, dove le distinzioni e le catalogazioni, le appartenenze a un genere sono scomode e pressoché inutili, poiché diventano prive di senso.

Ci sono progetti che sono “ibridi” per loro natura e, pertanto, volerli inserire in una casellina o in un’altra, oltre a complicare le cose, conduce a fraintendimenti concettuali e teorici. Forse, se proprio si desidera ricorrere a “etichette” occorrerebbe creare una casellina nuova, dove inserire questi lavori “ambigui”, “anfibi”, sconfinanti.

Cercheremo quindi di mappare in Italia e all’estero queste situazioni, ripercorrendo la loro storia, a partire dagli happening degli anni Sessanta, con qualche articolo “storico”, ai quali si affiancano soprattutto i lavori della contemporaneità proposti in ambito internazionale, con particolare riguardo a quanto avviene in Europa, America, Cina, Australia e Nuova Zelanda.

 

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