Se digitate sui motori di ricerca le parole “DRAMMATURGIA URBANA” o se preferite “DRAMMATURGIE URBANE” al plurale, la Lampada di Aladino vi elencherà una serie di progetti fra i quali anche il nostro……se provate a tradurle letteralmente in inglese o in francese la faccenda si complica…
Nel mondo anglosassone e francofono l’equivalente della traduzione letterale di “Drammaturgia Urbana” sembra desueta. I termini con i quali nella cultura inglese si designano i progetti che, almeno in apparenza, possono essere riconducibili a ciò che indica l’espressione in italiano sono i più noti “PARTICIPATORY THEATRE” (Teatro partecipato) e “SITE-SPECIFIC THEATRE” (teatro progettato per un luogo, uno spazio specifico).
“URBAN THEATRE” si riferisce a un particolare tipo di drammaturgia vera e propria, fondata su testi scritti e rappresentati, incentrati su problematiche legate all’ambiente delle grandi città, alla convivenza e ai conflitti fra culture, strati sociali diversi e solitamente rappresentati nel contesto di sale teatrali. A titolo esemplificiativo citiamo l’Urban Theatre Project australiano e l’Urban Theatre Company di Chicago (fondato nel 2005 e che reca un sottotitolo molto eloquente “from the streets to the stage”).
Queste definizioni, tuttavia, non è detto siano davvero esaustive e adatte per indicare tutti i lavori che ricorrono, fanno riferimento al mondo della “Drammaturgia Urbana“. Di certo non sono sempre compatibili con i progetti che saranno qui proposti e con le idee, i concetti che li supportano. Per questo, sembra utile aprire una parentesi riguardo lo “stato dell’arte” riguardante questo contesto così “sfuggente” alle catalogazioni.
Le scelte di aggettivi quali “Participatory” e “site-specific” rivelano la vicinanza, lo scambio, gli incroci con le parallele esperienze di arte contemporanea relative ai progetti di arte Site-specific, di arte partecipata, di arte relazionale e di arte pubblica. Da questo punto di vista si spalanca un universo di progetti di ricerca, di ibridazioni fra arte e teatro e viceversa, nonché una serie di importanti riflessioni critiche.
Ripercorriamo in breve la storia dell’uso e del significato dei termini applicati al teatro. La definizione di site-specific performance è ormai “antica” e assai conosciuta/usata, risale ai primissimi anni 2000. Mike Pearson (artista specializzato in performance, in particolare con il Cardiff Laboratory Theatre e Brith Gof e più tardi con Good News From The Future) e Michael Shanks (archeologo) la adottano nel libro Theatre/Archeology (2001):
“Site-specific performances are conceived for, mounted within and conditioned by the particulars of found spaces, existing social situations or locations, both used and disused[…]. They rely, for their conception and their interpretation, upon the complex coexistence, superimposition and interpenetration of a number of narratives and architectures, historical and contemporary, of two basic orders: that which is of the site, its fixtures and fittings, and that which is brought to the site, the performance and its scenography: of that which pre-exists the work and that which is of the work: of the past and of the present. They are inseparable from their sites, the only con-texts within which they are intelligible. Performance recontextualises such sites: it is the latest occupation of a location at which other occupations – their material traces and histories – are still apparent: site is not just an interesting, and disinterested, backdrop.[…]” p. 23
Questi progetti sono pensati, realizzati e condizionati da spazi, situazioni sociali e luoghi preesistenti, frequentati o in stato di abbandono. Una delle loro caratteristiche è la coesistenza fra narrazioni e architetture, fra elementi storici e contemporanei intrecciati.
In sostanza, secondo la prospettiva di Pearson e Shanks si fondono gli elementi del luogo e quelli portati dall’esterno (ovvero la performance), ciò che preesiste e che è immanente al lavoro, in uno scambio continuo. Attraverso la convivenza fra presente e passato, questo genere di azione performativa ricontestualizza i luoghi selezionati.
Di parere opposto, lo studioso e curatore Nick Kaye nel suo libro Site Specific-art (2000). Egli sostiene, infatti, che i progetti site-specific mirano a destabilizzare, a turbare la contrapposizione che nasce fra il luogo e il lavoro dell’artista (“frequently works to trouble the oppositions between the site and the work’ p.11).
Il concetto di “Participatory theatre”, “teatro partecipato”, indica il lavoro svolto da molte compagnie nate nei primi anni Settanta, soprattutto in Gran Bretagna, alcune di loro ancora attive e tese a coinvolgere attivamente fasce di persone che abitualmente non frequentano le sale teatrali. Un elemento comune è lo stretto contatto con la comunità locale e il territorio.
In realtà non appena si osserva la programmazione di tutte queste compagnie emerge come il teatro site-specific e quello partecipato spesso si fondono e si confondono….
Il People Shows, per esempio, è uno dei teatri di ricerca più longevi della Gran Bretagna, con sede nell’East End di Londra. Fondato nel 1966 da Jeff Nuttall, John Darling, Laura Gilbert, and Mark Long è stata la prima compagnia britannica specializzata in performance d’arte e si sono occupati di teatro “site specific”.
Interaction Dogg’s Troupe (fondata da E.D. Berman nel 1968) esplora nuove forme di creatività e di teatro partecipato con lavori rivolti soprattutto a famiglie disagiate, giovani, bambini con difficoltà di apprendimento e persone in cerca di un percorso di formazione.
Actions Space (fondato nel 1968 da Mary Turner, Ken Turner e Alan Nisbet e ricostituito nel 1981 ome Actions Space Mobile) si dedica ai rapporti fra arte e disabilità.
Eastend Abbreviated Soapbox Theatre (1972, noto poi come Soapbox Children Theatre, a Newham) è creato da Matt Mathews e Jenny Gould, diretto a un pubblico il più vasto e diversificato possibile, in una zona dove nessuno si occupava di offrire alcuna forma di fruizione artistica.
Il Bubble Theatre di Londra, fondato nel 1972 ha lo scopo di portare il teatro professionista nei quartieri periferici della capitale, a tutti coloro che di solito non vanno a teatro. Ancora in attività, questa istituzione è particolarmente attenta agli scambi fra differenti generazioni nella zona di Southwark. Inizialmente erano molto orientati all’offerta di divertimento, sull’informalità, sulla musica e su spettacoli di magia. Negli anni 80 il loro lavoro si concentra sullo sviluppo di competenze teatrali nelle persone.
Dopo vent’anni la diffusione e l’interesse per questo genere di teatro è mondiale. Nelle grandi città della Cina si incontrano compagnie o artisti che si occupano di progettare lavori per gli spazi urbani. Nel 2013 fiere d’arte contemporanea e istituzioni promuovono progetti teatrali fuori dagli spazi tradizionali.
In particolare il Wuzhen Theatre Festival, dove alcune aree attorno alla città sono state usate per le performance: spazi quali i battelli galleggianti tipici della regione meridionale del fiume Yangtze. Così come il ONE Arts FEstival di Beijing promosso dai curatori Niu Ruixue e Yu Ge, dove sono state rappresentati progetti e lavori di visual art in cortili, caffé, vetrine nella parte antica della città. Nel 2015, sempre a Beijing, il Nanluoguxiang Performing Arts Festival include una sezione chiamata “Changing the Public Landscape” per incoraggiare l’uso di spazi alternativi e usare l’arte come mezzo per rendere più coesa la società (per approfondimenti cfr. articolo di Chen Ran sull’arte negli spazi pubblici e il teatro site-specific, pubblicato sulla rivista on line del Goethe-Institut China)….